IN LIVORNO COI TIPI DI FRANO. VIGO, EDITORE 1875 FILOSOFIA DEL BRUTO E SINGOLARMENTE DEL DIRITTO DI PUNIRE lettere DI TERENZIO MANIAM E DI PASQUALE STANISLAO MANCINI ACCRESCIUTE HI QUATTRO DISCORSI 1)1 TERENZIO MIMMI SULLA SOVRANITÀ E DI UNA PREFAZIONE DEL PROF. P. L. AERINI fondamenti: BELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO E SINGOLARMENTE DEL DIRITTO DI PUNIRE LETTERE DI TERENZIO MASIANI E DI PASQUALE STASISELO MANCINI a ccr ferrimi DI i h fatto o stabilito per regolare ì rapporti giuridici degli uomini t cono¬ scendo anche la ragione della raceesdone do!In leggi e delle in- stituzioni sociali, sappiamo forse se l'attuale legandone e In stato^ attuale delle leggi e delle inetituriom civili e politiche sia migliore dei precedenti ? se siasi o no progredite) verni il perfe¬ zionamento sociale ? Se v’ha dei pi&cipii di giustizia superiori ad ogni umana autorità; se vi ha verità giuridiche anteriori ad ogni legge ed instiamone positiva, delle quali la legislazione non pub Mere che L espressione più o meno genuina, pio o meno completa, la piena attuazione ed esplicazione delle quali debVe*- rintento dei legislatori; ehi non dbe-.sta pripeipii, queste verri,I , sa «• debbono il principale oggetto delle indagini di chi si applica agli «tudii del diritto e della politica? che por questa guisa soltanto possiamo « in grado di giudicare della buntu intrinseca delle leggi e delle induzioni Joritivrq di di- ; * b dlf ; avvi «« di assoluto e di relativo, d ; inmnr abile e di ^dentala e variabile, di conoscere quali e,>cr deh- bano succivi loro miglioramenti e i progrJi beo futuri? lhn^mcntali Uim i T"^ ''" l dMtt ° " Ì! ' : I ("dneipu e illutìtnUi0 tutte le parti della »s ss ss*; >«“ « »»■ *» all 1 uomo rii . i . ■" " ' ® asa ^ necessaria, al lcgidlsi.tr ur, dino. È necessaria V ntile ®*ai i: " to citta . ono le nr i ‘Z °ff mo <>°®c ELLO STUDIO ridica, come mai può arrogarsi il titolo di giiimon.su Ito olii 1;< ignora? Und’è che io non potrei ronsi-otiro cui HtM, Ugnale a fi erma che la filosofia del diritto è la del legislatore, la gmriaprudcnza la scienza del giureconsulto; Je rifio iotii [xu 'ilììzì fatte dimostrano, a mio credere, che essa e la scienza di en¬ trambi. lvgli è inoltre collo studio della filosofia del diritto olle si va perfezionando quell'aggiustatezza ili criterio legale che nei unsi |>m complicati e più ardui sa diseornere vii) din é giusto mi iji- tpusto. Egli ì) con questo studio particolarmente che poliamo sperare di accostarci alla profondità, alla solidità all' r-attai di raziocinio che ammiriamo nei giureconsulti romani dei tempi classici, i riunii erano profondi giureconsulti, perché orano nello stesso tempo grandi filosofi e versati in ogni ramo dello scibile loro tempo. Egli « collo studio della filosofia del diritto as¬ sociato allo studio della storia del diritto che si preparano e si promuovono que’miglioramenti nelle leggi nelle sociali iwtt- tazioni che segnano i progressi della civiltà, u er .^ m0 ’ filosofìa del diritto ì» utili* ad npiu eoito citta,Imo, massime ne’paesi retti con libera iust.ituaoni. attl 1,0,1 * P ub meditare con fratto sulle umane cose, e ra- •onare con cognizione di causa di issiamone e di politica, scusa H a ™ a ì! ^ de ‘. la tllosr,fÌ!l '1-' diritto. Aliai, d„ fine iustitusdoni liberali non -inno iti- iM gl ' andÌ di giustizia sociale, . Per tal “u ’ W '"TÌ* natwnl ’ lo T^to e P importanza.. SSSE T rT*° We “ ««far 1 -gii. e se „e e la riverenza, E bisogna -ano in * 6 *“«*•. Per guanto getteranno mai salde radici’ fin ì ' ° m *‘ ham * >' rovn ' 0011 P opinione e nelle abitudini’dell’unirle ^ **' saranno convìnti rMh i . T j imn male, ed i cittadini non non troverebbero eoìì forile** 1 *’ r°“ ® a,fcr&>1 a dubitare che .-ni •aJETe^TÉf 1 " 40 “ te ° dC ‘ ed "’' i - tare tanta discordanza, ,f idee t, uni*'" T a Ia,ne "‘ oltre agli altri mezzi di istruzione J'"" * “ W T pul ’ bHwl ’ sr ’’ del diritto fossero diffuse nelle ,1 ’ : S ‘'- lC <ìot,tl ' 1TJH della filosofia e dirigessero la pubblica opinione 88 ' ^ ^ ° J iìlmthl ^ r0 Ad onta però della somma importanza ed utilità della filo- BELLA FILOSOFIA DEL DIE1TTO s „Ha del diritto, se volgiamo lo sguardo alla condizione degli stridii giuridici in Italia, dovremo pur troppo deplorare che que¬ sta parte noi òli ss ini a dell’umano scibile sia generalmente ne- ■ I, n.i. Molti i, ngoso in poco o nessun conto gli slmili filosofici dal diritto per la stessa ragione per cui spregiamo in generale gli stridii metafisici, risgua-rdamloli come inutili e vuote astru¬ serie. Nè lia certamente penuria ili que’còlali, che non apprez¬ zano e non ravvisano utili, se non le cognizioni che servono ad un ll30 pratico immediato. Tutto il resto dell’umano sapere fe per essi vanità ed afflizione di spirito. Coloro ohe si diurno il vanto di uomini positivi non s’avveggono dell’intimo legame Che unisco i priueipii più elevati della scienza colle ultime sue con¬ seguenze che sono contigue alla pratica e quindi immediatamente applicabili all’azione. Essi non s’avveggono che è la virtù di que’ principi; trasfusa nelle ultime conseguenze, che regola ja ilinana attività. Onde che escludendo o trascurando la parte più elevata del diritto c della, politica, sì sottrae alla scienza il suo elemento più importante e più vitale, s immiserisce e s isteri¬ lisce la stessa dottrina positiva e pratica- Altri avversano la filosofia del diritto per paura e per dil- faenza. Essi paventano il libero esame intorno alle «istituzioni sociali, temono la soverchia arditezza delle investigazioni, i tra¬ viamenti della ragione. Ma se si avesse a seguire la. logica di costoro, converrebbe chiudere le scuole, e per timore che gli uo¬ mini incappino nell’errore, interdir loro l'uso delle più nobili facoltà e proclamare il regno dell’ignoranza. Questi non si av¬ veggono che colla pretensione di tutelare le ragioni del vero ini- pov evincono l’umano capere, fomentano ima scienza, ni craca,. ini- perfetta, e superficiale, della quale nulla avvi di più acconcio per infiacchire le menti, darle senza schermo in braccio alle il¬ lusioni dell’ errore, e renderle corrive ad accogliere fallaci sistemi. Frattanto l’antipatìa e la non curari za degli uni, la paura, e la diffidenza degli altri per gli stridii filosofici del diritto, inol¬ tre le tendenze dell’assolutismo, che non poteva per fermo ve¬ der rii buon occhio siffatti stridii, furono cagione che dall’istru¬ zione universitaria o fosse affatto sbandita la filosofia del diritto, o venisse ristretta entro così angusti confini da riuscire un inse¬ gnamento illusorio, più di apparenza che di realtà. In fatti, a che -poteva giovare p. e. un corso annuale, in cui un professore doveva insegnare II diritto naturale privato e pubblico, o il di- SULL IMPORTANZA BELLO STUDIO rittn criminale, com'era stabilito e lo b tuttora in qualche ulti* versiti* i Ed io penso esser questa principalmente la emina db retta e immediata della genenile trocu ronza per la parte filo- sofiea dèlia scienza giuridica, Perocché le lacune e i difetti dei sistemi d f istruzione si tanno sentire nell 1 età adulta, ed influb scono in un modo piti o meno funèsto sulla vita d'uo i>opolo. DìffLcilmeiite 1' uomo si applica nell* età adulta n studii di cui non ebbe almeno gli elementi nell’età giovanile. La gioventù die usciva dalle università, unici centri dell'i uh egri amento sti- periore, o digiuna affatto delle doLfcrine filosofiche del diritto, oppure con alcune idee vaghe e imperfette su qu^ta parte della scienza giuridica, educata a tutt'altro che a «tudii gagliardi e severi, quale impulso od occasione poteva mai avere di orni* [jar^i di una disciplina che lo era ignota, o di cui aveva tutt’al più una cognizione incompleta e confusa e non conosceva bene l'importanza e !'utilitàV Quindi h die i giuristi italiani, od ec- cozioiie di quelli ch'ebbero la pazienza ed il coraggio di rifare kL educazione scientifica rimediando alla imperfezione degli ■ u negletti e meschini dell uni versi! li t non nolo por lo più igeo- ì ano 1 sistemi di filosofìa del diritto presso gli stranieri, segilft- anicn e e la Germania, ma non conoscono neppure i nostri piu insigni delittori che illustrarono questa scienza, come l>am- \ G genovesi, e sopra tutti fj* lì. Vico, e poco miratisi dei trin l T % 11 P r 0VEL del poco conto m cui sono tenute le dot- n “ e filoso f b f del diritto du quelli che coltivano la scienza le- !Ì* V LL 0I)erc , ‘ ecenti d,Q trattarono professo della dalla penna ,11 giurati, i/im- ‘i-lptt'i 1 1B ' L f 1 S U - 11 coll' essersi parti,:i«larmouti; ne- SSttii ^ + r “ lle ’ ha “^toBnudemcto. reme era da a^, a detenora» anche la giacenza positiva. U « S { am ò L “ a r. V “’?’ ! a ™8 iono precipua della penuria in cui fpun mèrito nei" 1 .^ mri8 ^ lu ^ eiJza qualche nerbo e che siane lidia di r a ^; n ^ u Ta Per W f mm d ’ inda ^ oi p per wli ' salvo qualche * opere di giurisprudenza che ■ , libiamo. "*.*■-« P,;P ’ iinpcrfczione e mancanza di «tudii SlSàTT^ M '”'° antorÌ ‘ C d * ll,V recar meraviglia, se fatta «/ 8 fJnu , slp di>’jf-T.o. Onde non dee sifone, la nostra gùirieprucWaT 10 ^ ^ stat ° della fine ad essere un’eco delh „;, n e “5”® 6 P ratloa *> ri(ìuoa »'* Linrispvudnnza francese, E terno che DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO gli stufili giurìdici non migliorerebbe*’! gran fatto neppure in Pie¬ monte, ove per altro avrebbero tanti elementi per prosperare* se, oltre al lasciare Pinsegnamento nelle pastoie dalle anali tro¬ vasi inceppato, prevalesse l’opinione di taluni i quali reputano imitile e ben anche dannoso un insegnamento distìnto della filo- sofia del diritto e della storia del diritto, e vorrebbero abolire l’ooo e V altro, distruggendo nna delle piu utili innovazioni di recente fatte, e pretendendo che ciascun professore avesse ad esporre la parte filosofica, la parte storica e la parte dogmatica della materia che gli fe assegnata. Infelice pensiero!, che potrà forse illudere coloro che non bene conoscono lo stato attuale delle scienze .giuridicite e politiche , e non hanno un idea ben chiara n precisa della filosofìa, del diritto* Questo sistema, ove venisse attuato, non potrebbe che riuscire dannoso al V istruzione legale; sarebbe Don un perfezionrmi enfio, ma un deterioramento, un ritorno al vecchio sistema. Esso sa- irebbe coli egnal favore accolto e da coloro che spregiano come un ammasso di vane astruserie hi, filosofia del diritto, é da co¬ loro che ravversano per paura, c per diffidenza, e dai nemici del progresso, perché ben comprenderebbero che una scienza la¬ cerata in brani e dispensata a frantumi non ha alcuna impor¬ tanza: e sarebbe a temere che i nostri giovani uscissero dai- 1‘ università senza sapere ne la filosofìa del diritto> ne la storia ilei diritto, ne la giurisprudenza positiva. Non e però a diro che so la filosofia del diritto e stata gin da lungo tempo assai negletta in Italia, sia stata del tutto ab¬ bandonata; che, ad onta, delle circostanze poco favorevoli, ad onta della mancanza d'incoraggiamenti e della generale apatia, non mancarono udì 1 età nostra stessa uomini valenti che colti¬ varono con successo più 0 meno felice questo ramo importantis¬ simo dell'umano scibile, e diedero non inefficace impulso a tali studi ù Fra gli scritti che negli ujjtimi anni ora scorsi comparvero alla luce in Italia sii questa materia sono degne di particolare òooéiAerazione lo Lettere intorno alla Filosofia del Diritto, e sin- (piamente intorno alle origliti Ad diritto di punire Ai Teressmo M.vmiani odi Pasquale Stasimi» Maecibt, Questo libro, quanto piccolo ili mole, altrettanto è prezioso per la gravita delle quiatìoni Che vi si trattano, e per L’acume e la profondità dei ragionamenti con cui sono discusse. 1 due illustri autori, che ora 12 SULL IMPORTANZA DELLO STUDIO scontano coll’esilio il loro amore alla patria comune ed alla li¬ bertà, che il Piemonte si reca a ventura e ad onore di acco- glieie, rendettero un importante servigio alla scienza del diritto coll assentire ad una nuova edizione di questo loro egregio la- voio. Le lettere, di cui parlo, discutono con ampiezza e con ac¬ curatezza maggiore che non siasi fatto finora la capitale e sca¬ brosa questione dei rapporti tra la morale e il diritto. Due sistemi trovansi a fronte: uno, propugnato da T. Mamiani, secondo il quctk Li, morale assorbe il diritto e 1" domina ne 1 suoi pria* cipn e nelle sue conseguenze: V altro, difeso dal Mancini, che, se mal non mi appongo, è «pollo della Bouola italiana fondata pe ico, nel quale, senza disconoscere il vincolo strettissimo eie congiunge il diritto colla morale, che ne costituisce anzi il piecipuo elemento, si ammette una distinzione reale tra il diritto e . a mora ^ e > e si mira a conciliare il principio morale col prin¬ cipio politico. La diversa soluzione della questione preliminare conduce necessariamente i due illustri autori ad una diversa ri¬ so uzione di altre quistioni che toccano più direttamente la ma- ena. Le le quistioni non sono sviluppate come si esigerebbe in la ato Completo sulla materia, veerffonsi rliar.naap r»rm orrende nuovo ed inedito lavoro delMamSii i° e importanza maggiore da un Mamiani intorno ad uno dei più DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO ■ n-ui lì scabrosi argomenti che offra la filosofia del diritto, 1 on- „me la natura c la costituzione essenziale della Sovranità Ci¬ vile L'insigne filosofo Ha, trattato con quella maestria, con mieli’ acutezza e con quella profondità che suole recare nello piu difficili al astruse quistkmi, Chfe se parrà forse ad aleum ene la dottrina da lui esposta intorno alla sovranità civile non dissipi ancora interamente i ilubbii e non risolva tutte le difficoltà offe s’incontrano nella soluzione dell’alto ed arduo problema, ciò nondimeno egli ha indubitabilmente il merito di avere luminosa- niente dimostrata la falsità di alcune famose teoriche, le quali per la loro speciosità illudono molti, e mentre ingombrano di er¬ rori lo serene regioni della teoria, riescono a funeste conseguenze nella pratica, J . , w . In un tempo in cui, merci; le riforme di recente introdotte nell’istruzione legale e quelle die si stanno aspettando, gli stridii giuridici sono per prendere in Piemonte migliore avviamento, toma opportuno che questa importante pubblicazione venga a chiamar l'attenzione degli nomini a cui stanno a cuore gli stuelli mi diardi e severi, del quali tanto abbisogna V Italia, sopra, mui disciplina di così grave momento, e che finora specialmente presso di noi rimase troppo mal curata. Torino, 23 luglio IB50, P, L. Albini ProfééMM 50 k ri0 "‘ .>-^d,.| si, M VNCINt le due su- Y-i’/ ^' "r * )U1 ' e * cune P alVl ''-‘ di lode l,eu giusta per ohV li elh, :'; e ,Jl nS|, '^ :, 1 - ^ «“ " 111.fir.H.i Céstir Srl e -. flC T SM " m,Ma . . <‘ a .. principi!. di rimrramid > «Ct* ? ^rg'plro dettato. Ma invece ni contenteremo ad uu Pile orTi ' f ” atl ,0 dono ; a con alacrità di animo adempiamo t vXau^frL ^ 6 a Al ttom& ^ |,l ! f,l : ; " "■ -l. ’ ■ molto.. in iv.mte alla f ih L c '" ' Va av1 ' !l chiari ingegni anche per noi tradotta alls^T dell' Attaess, opera stupenda sebbene té - ’■ 'l 11 ^/’ serviranno come rii bella prolusione, là lial é idee n'éléé' """ <*«$ riguardi ri trite**»» in mnS di ! ri- 1 ” ,,el lil)ro «'"> pure ai lettori in imania^'é 1 -'"? lm P orta ^ a !iarlL bene di venir mostrando dar ragione di alctmi ^ ,hWcor,/ ': I;L s * avvolge per funi potranno essere imi, f °™ e , C0S1 ,e wen '> speculative .li ut- intorno a sublimiti ìli (i a- riv " J fr fa f le loro profonde ricerche tengono in sosneso lé '; ln u . 1 ’ 1 bevo, che nell’interesse della nmanilà ° “ S0S1 ' es ° le P nra * iBWligen« di tutto ,1 mondo incivilito. F. Trincherà. lettera prima Eguegio Sigkohe, Voi con pappié umanissime e piene ili affetto mi ri¬ cercate del min parere intorno al Bene morale, e parti¬ colarmente intorno (di' orìgine cd alla ragione del dii din di punire. Certo, quando io volessi ricordarmi della scar¬ sità elei mio ingegno, e guardare alla difficoltà del sub- biotto, la quale è piuttosto suprema che grande, io dovrei, (tome quel greco, rispondervi sollecitamente die non la per me il maneggiare l’arco d‘ disse. Maio penso che, essendomi accaduto più. d’ima volta di meditare su quelle ardue materie, ed avendo abbozzato, è già qualche anno, un certo disegno di Etica generale e di Diritto filoso- lico, se io vi narrerò concisamente una parte di quei concetti, io potrò adempiere l’ ufficio amichevoli del quale mi richiedete, senza meritar troppo la taccia di presuntuoso. E per verità, io non intendo per nulla con tali meditazioni incompiute e fugaci di entrare m ridderà con quei filosofi gravi e solenni che in Italia e fuori spesero la vita loro onorata a cercare il vero di si fatte quia tieni. lo vi mostrerò i pensieri die son venuto raccogliendo in pili tempi, conio taluno krobbe delle masserizie migliori di casa, con semplicità e domestica¬ mente: c ciò, 'affine che voi reggiate per voi medesimo se io possedessi alcuno arredo degno di entrare m t razioni della seconda specie, le quali appartengono pnqimmmitf* alla filosofia naturale assai diversa dalla U emm q e la quale ragiona coi criterii ed assiomi in riti gli uomini riemio* scoilo per comune cnnsoutinmnto un evjdmìzu intuitiva pienissima e in essa acquetano il lor giudizio, firn di si- niiii pronunziati, anzi la tutela rnmun»' ■ l,i guarnì ligia ■ li lutti -di altri , è questo^ che la ìmlmra nè pub. nè vuoiti iìtfffwwuiMi. Consegue da tal criterio ed assioma elio le credenze onninamente spoìdance e pero universali 3 per- ])$ue. incessemii e di forma itlniiint in ogni lor varietà, dolendo essere attribuite ad essa natura, come fatti ope¬ rati da lei nell uomo, intus e immediate* suno testimo¬ nio certe del vero. Lio presupposto, paure a me che la lède in un bene supremo obbiettivo sia universale nel genere lumino e in- (lotta B8\ nostri animi per più vie e cagioni; e prima v’è indotta dalla credenza in un ente divino artefice di tutti ^li onti, dal rimile non possiamo escludere ima snimua perimorie e beatitùdine, senza annientare il pregio della i in nita e fai parere il suo concetto ri pugnante con sé medesimo. Secondamente, v’è indotta dalla aspirazione nostaa continua ài bene reale e non difettivo, o dal prò- liotsi e ie i a ciascuno in rpialunque studio ed impresa a i.uu < ic di esemplare perfette, t m scorrendo ima vis intuiita e all infinito anelando. Terzo, v'è indotta dalla necessita logica di attribuire un fine a tutte le cose, nò e ,hi èlfl Li' 1 'w leU'ii» terza - ìkirOnMW» “ Jl,t cal *- XV ^DMvvhi Ai p rim , 25 K SISaOLABSnjHTK DEL DIRITTO DI l’OKIEE ; vitro fino potersi concepire, salvo elio il Itene, ed un bene illusorio o. fallace non sembrar condegno o proporzionato col magistero deìTuniverso e non avere se non l’appa- mi/M di line. Quarto, v'è indotta dall'altra credenza, del genere umano al pregio incommensurabile della virtù, ossia del bene morale: onde, se ili tempi e luoghi diversi variano e mutano le opinioni intorno siila stima e al gin* (tizio- degli atti morali, questo rimano inconcusso e immu¬ ta,itile nella coscienza di lutti gli uomini, le azioni riputate buone assolutamente racebiudere un pregio ebe travalica oeni limite: e, per esempio,la fedeltà inverso la patria es¬ sere tal bene morale supremo, ebe a petto a lui qualunque licite mondano da guadagnare, e per contea qualunque tormento più atroce e squisito da fuggire non possono muffita ni ente far trai toccare la bilancia dui lato della colpa, nè questo pregio infinito essere vano e illusorio, ma ri¬ ferirsi all'infinità stessa di Dio, sorgente d’ ogni bene morale: il porcile > lo non istarò qui a dichiararvi con lunghe pruove, egregio Signore, se, assunta e vendicata cotal dignità, illcnc assoluto esiste, io abbia saputo effettivamente ri¬ cavarne per sillogismi la filosofia morale suprema, senza più dar luogo nè a nozioni mal definite, ne a giudicii del senso comune non dimostrati, e producendo ìnsomma una geometria (a così parlare) della scienza prima del be¬ ne, da cui discenda per vastissimi corollarn quella scienza del diritto e della legislazione , che Leibmizio chiamo per appunto la geometria degli atti umani. E già non solo io noi potrei per le angustie d’una lettera e per le esigenze speciali del suo subbietto; ma non vi nascondo altresì che molte parti del mio dettato giacciono o ap¬ pena abbozzate, o incomposte, colpa dell ingegno en -is- simo e della salute troppo mal concia. Non pertanto, io propongomi di mostrarvi in compendio quanta chiarezza mi sembra diffondersi sulle dottrine del gius crimmale (che è l’oggetto particolare delle vostre domande) da questa maniera di contemplarle e di derivarle, unifican¬ dole cioè colla scienza morale suprema, ordinata m se vie di teoremi l’uno procedente dall’altro. Incorninomio dal porvi innanzi espressamente alcuni di quei teoremi più cardinali che porgono la definizione vera e certa (per quel ch’io ne penso) delle nozioni piu famigliar i De uno universi juris principio et fine uno. Proloquium. 28 fondamenti della filosofia del l'HUTTO della giurispnidpnzft, e circa le quii ti l é infinita la nini- tipicità e la distìtepanza th‘ pareri* Avviatovi poi, clic sciali teoremi vedrete versare intorno a sublimiti rivelati dall* esperienza- e non assunti e posti (come suol dirsi ) a priori, ciò non ©fende la forma scicntiiicn rigorosa da me tifata; eonciossiachc quei subì uri ti « ! tmiunti iikuih in mano fra i mici sillogismi come flati nuovi ipotetici, intorno ai quali s'ha buon diritto di adoperare la virt.ii del ragionamento, © dedurne similmente verità nuove ipoteticile, le quali tutte poi rinvengono il lor valore ub- bfèttivo, qualora il primo supposto si attui fuor della mente in una reale esistenza. punto teouumà. Il bene assoluto ò insieme una bontà assoluta, e però serica limite. Bmo^lr anione. Se nel tene assoluto stanno comprese tutte le ma¬ niere ili beni, la bontà, oli è una fra esse, dee pure starvi compresa: e come ogni bene vi si stende in immenso, la bontà quivi inclusa elee pure estenderai inimitata ed immensa. SECONDO TEOREMA. li universo è ordinato alla massima partecipatone m assoluto, secondo la capacità e la finità pecu¬ liare di ciascun essere. nor^r T ! las ™ Vf - rt '' la dimostrazione che è patente dieta- V Tr" ° S ° SU ° ( ' Uest0 coro ^™ d* 1( ' tien 6 al fine, premo. ' ° <8 ® 1 " 0 * com POm V ordine morale $ti- PCr ,1WSte parole si assai nettamente 1‘origine, 29 E SINGOLARMENTE DEL DIRITTO DI PUNIRE la natura e la definizione dell’ordine morale, che po- trebbesi anco più semplicemente domandare ordine; im¬ perocché l’ordine fisico divisato in sè stesso appare per certo un concatenamento direi materiale e cieco di po¬ tenze e di atti, di cagioni e di effetti; ma guardato m rispetto del fine, cioè nelle rispondenze sue necessarie ed ultime, esso pure è ordine morale ; il perchè Aristo¬ tele tribui ad ogni ente la qualità essenziale di esser buono. Non ci ha dunque che un ordine solo nell uni¬ verso, e questo è il morale da Dio voluto e costituito. TEOREMI TERZO, QUARTO E QUINTO. Gli esseri intelligenti e imputabili hanno continuo dovere di operare il bene. Cotali esseri fanno il bene conformandosi all ordine, e il male non conformandovisi. Tutt’ i giudizii della niente o infusi o prodotti, che rivelano alcuna norma d’operare conformissima all’or¬ dine, statuiscono un precetto morale, e con esso 1 ob¬ bligazione di praticarlo. Unisco tali tre teoremi, e risolvo in una sola dimo¬ strazione le tre loro particolari. Primamente voi vedete supposta in ciascuno d’essi l’esistenza di esseri intelli¬ genti, cioè capaci di conoscere le condizioni universe dell’ordine morale perpetuo, o da segreta intuizione, ovvero contemplando il concetto del bene assoluto nelle attinenze sue coi fatti e coi sommi principn logici. V e eziandio presupposta l’esistenza di esseri intelligenti im¬ putabili, vale a dire dotati di libertà, e però capaci di meritare e demeritare, scegliendo fra il bene infimo e ap¬ petito dal cieco istinto e quello appetito dalla ragione, ira „li impulsi poi che menano l’uomo al bene razionale si¬ gnoreggia e tiene il principal luogo il sentimento intimo del dovere. Ciò importa che l’umano intelletto scorga 30 FONlJAìimr DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO assai cliiaraiDontrla tale opera o la talo ultra, essere crm- senUmea con F ordine, operò voluta da IT autore dell'or¬ dine, il qual vuole tutte le cose che trngpmo al bene. Ora, ima simile volontà che move dalla putenti, dalla bontà e dalla sapienza suprema, col fine santo della mas¬ simi diffusione e dispensatone del liene a-soluto, costi¬ tuisce di necessità un comando autorevole, |n-rollò di sua natura è buono e infinitamente superimi all'rasare a cui si rivela, il quale si trova in rispetto di lui indhi sog¬ gezione delFeffetto inverso la causa, e del fallibile e del peccabile inverso l'ottimo e l'infallibile'. Questo volere adunque divino, die tale opera e tale altra venga adempiuta cosi e. così, è per sua essenza un comando^ non violento o cieco o difettivo in alcuna guisa, ma essenzialmente autorevole, porcile uscente dalla sca¬ rni ìgme vera a ogni automa, noe dalla prima superio¬ rità razionale ed etica, o vogliala dire, dalla superio¬ rità effettiva della sapienza, della bontà e della efficienza somma, intesa all attuazione del massimo bene* H perche altresì cotesto cornami o a irton ve > I e è esse 11 - zialmente Mligatorio, cioè tale che ingenera dentro r animo fucila morale necessità die addiiuaudasi olili- gasione, o xìo-m-c. Di fatto, l’autorità della legge cono- scinta dalla coscienza induce a forza io questa un im- imko spirituale, e cioè a dire, elvella opera immediata sull stendimento e mediate sulla volontà. Cotesto na¬ ia so, considerato nella passione die genera, è ciò che si elnama costringimento morale, senso di. obbligazione e ui dovere* ■e «Sfersssif 8 ' Wle ° pKmtó OS «ma imlc opali * 1 *"*• m ‘ ,l *•" u ” «'«ione, cioè . din i principi! E SINGOLARMENTE DEL DIRITTO DI PUNIRE oJ. secondo i quali le azioni vengono giudicate conformi o disformi dall’ordine, sono altrettante manifestazioni in¬ tellettuali dell’ordine stesso. In queste poi splendono altrettante manifestazioni del volere di Dio, e però sono comandi autorevoli e obbligatomi, chiamati con un solo vocabolo leggi del mondo morale. Si definisca adunque la legge morale : Un comando autorevole e obbligatorio ; e perchè è legge suprema, anzi è la vera e la soia, da cui per partecipazione attingono tutte le altre il grado dell’ autorità loro, diremo essere questa la definizione vera ed universale della legge. Im¬ perocché, come non v’ha più d’un ordine, così non v ha più d’una legge, la quale è il comando di tutte le azioni conformi all’ordine. Di qui si vede quanto s’ingannano coloro i quali so¬ migliano la legge morale alle leggi della natura fisica, come fra i moderni italiani praticò il Iiomagnosi ; dovi che invece le leggi fisiche furono chiamate di questo nome per certa rassomiglianza con la legge morale nei carat¬ teri della universalità, della immutabilità e della po¬ tenza ineluttabile: ovvero, perchè in quella guisa che la legge morale eterna si fa norma a tutte le azioni de¬ gli enti liberi, così nei fenomeni corporei la cognizione astratta dell’ operare delle cagioni c’ insegna la norma , o la guida universale e immutabile, secondo la quale 1 corpi debbono agire in ogni luogo ed in ogni tempo: ovvero, infine, perchè tutte le forze fisiche sono vere at¬ tuazioni del volere provvidente di Dio, e sono istrumenti mediati del fine ultimo che è il fine morale. Altrettanto s’ingannarono coloro che dissero, in Fran¬ cia la legge civile essere atea, quandoché essa legge ci¬ vile non deriva, nè può derivare altronde la virtù sua di costringere le volontà, se non dal girne morale su premo. La legge adunque naturale o positiva, generale o particolarej d’un alto magistrato o d’un infimo, è pia 32 FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO e religiosa di propria essenza, e attesta col latto della, autorità sua resistema d’im comando razionale assoluto. Tra la legge 0 Tessere intelligente imputatole corre una relazione, i cui due termini opposti., a Tene osser¬ varli, generano il diritto 0 il dovere L'essere imputabile clic riceve e riconosn - il mmmiulu autorevole della legge è in relazione di dovere^ ci.of" in uno stato di costringimento spirituale che non pud [as¬ somigliarsi a venm altro genere di passiono o di costri¬ zione , perchè si origina da una io rza e da itiT attività specialissima , come è quo 1 ! a de ÌY auto ri t; u Di qui pro¬ cede ^ se ben si nota, la impossibilità di dodi lire il do¬ vere e il diritto per generi e per differenze, alla inamena delle scuole. 11 che non bene osservato da pu n■celli filo¬ sofi, ha lor fatto inganno più volte. Diciamo pertanto* il dovere essere la condizione passim spcriala ddV ente imputabile in riguardo della legge. Tal condizione, avvi¬ sata dalla coscienza, genera il eoncdto del dovere, 0 quindi la convinzione dell’ hit elletto e il moto dell’ anh juo, ossia il sentimento del dovere. Ognun sa poi che il termine contrapposto al dovere 0 il diritto; e come il primo risiede a forza ordì*ussero subalterno, il secondo per altrettanta necessità risiede nell essere superiore. Il diritto adunque speculato nel- 1 alta e vera sita fonte /• In legge in facoltà imperativa, acoltà che si attua e si determina nel comando di essa legge. . Lll( ™ tle ’ diiimqn,. partecipaall’autorità di lei, pavte- up.i a suo (iiiitto. Così, per dilatazione e .imiilitudine, g 111 1 L ^ ’^igente di egli lm buon dritto di escare sonaiuto dal liceo, staniseli è egli ì\ la, materia in che l t;fT e 1 C ?™ Ì0 Cftritativf * biella legge, evangelica : | * A * lU1 è tla P^e cUe debito permanente E SINGOLARMENTE DEL DIRITTO DI PUNIRE 41 del consorzio umano è di effettuare, nell’ordine secon¬ dario e imperfetto in cui trovasi, le condizioni dell’or¬ dine superiore assoluto ( come quelle che sono 1 es¬ senza stessa del bene), emendando quanto può il meglio, e combattendo gli accidenti, le imperfezioni e le insuf¬ ficienze che indugiano e viziano, per così dire, l’adem¬ pimento della legge suprema. Imperocché gli uomini, in virtù del libero arbitrio, vengono fatti capaci, conforman¬ dosi o no all’ordine, di perturbare o d’aiutare parzial¬ mente e temporalmente la massima partecipazione degli enti al bene assoluto ; nel che appunto consiste il più alto e peculiare titolo dell’umanità, vale a dire, nell'es¬ sere noi costituiti veraci e liberi imitatori di Dio. . Nè perchè la sapienza e la efficienza infinita della legge eterna non possono rimanere frustrate, debbono gli uomini sottrarsi a questa obbligazioni! perpetua di attuare, quanto è da loro, l’ordine supremo assoluto nel nostro relativo e inferiore. Così parimenti, se muna mal¬ vagità e niun errore umano valgono ad impedire sostan¬ zialmente l’effettuazione successiva del corso ideale delle nazioni preconcetto da Dio, incombe nondimeno ai po¬ poli 1’ aiutare per comune sforzo 1’ avviamento al bene di tutte le cose civili; le quali, benché non possano come acque di fiume pieno e veemente, venire impedite di avacciarsi al termine loro, possano tuttavolta avere corso più o meno diretto, e più o meno facile e pronto, tra¬ mezzo a pochi disastri od a molti. Perciò, se voglia innanzi guardarsi la cosa in uni¬ versale e in astratto, si fa debito alla società umana di avverare in terra la legge eterna dell equa retribuzione del male pel male, che è la sanzione medesima della legge, la sua efficacia e la sua ragione, dovendo il male per ogni rispetto essere male e non bene, e produrre ar¬ gine a sè medesimo e impedimento al moltiplicare ; onde con sottile concetto sentenziava il vostro Genovesi, ogni 42 rOlTOÀMÉKTI DELLA FILOSOFIA DEL MIOTTO legge essere lògge penale. E perchè ninno sognila il male se non sotto un’ apparenza mendace di bene, sante è Eytópdellaimpaciale giustizia, mostrando con l'opera sua h falsità di queir apparenza e la irrefragabile cer¬ tezza della sanzione delklegge, la qual sanzione quanto piu indugia e si nasconde agli occhi infermi dell’ uomo, tanto sembra perdere di efficacia e move a dubitare delle verità suggerite dalla universale coscienza. Non else dunque si debba affermare, come taluni pre¬ sumono, ninno aver ricevuto, o poter ricevere commis¬ sione di reintegrare V ordine perturbato, bisogna per opposito affermare assai risolutamente die non può uis- sistere un solo essere intelligente e imputabile, a cui ciò n on si a e otti an d ato 1 : i n i pero col i è qi i ella commi ssi one è da ultimo una specie particolare della obbligazione suprema e continui di fare il bene e d 1 impedire e di ri¬ parare al possibile il male, E stantechò il retribuire ( 11 ina¬ mente il male pel male è nel fatto un reintegrare V ordine etico perturbato e sconvolto dalla impunita, 0 bisogna negare quell 1 obbligo generale ed assoluto del reintegrare 1 or d ine, 0 con ce der e quo s t ' ob bligo parti c f >1 aro di rein¬ tegrarlo dalle offese dell' impunità ; conriossiachè nel- 1 uno e nell altro è una natura medesima di precetto. tale, al giudizio mio, è la vera e germana dimostra¬ ci 0110 dell assioma: U bene riscuote bene, e il mule tì- miole. mah; e perciò questo 6 il fondamento legittimo e ? fJ odtlLt giustizia punitiva, il cui esercizio è però santo Tir mec \ es ^ ni ° 7 110 mestieri di risguardar e al fine c f 11011111 quanto il consorzio limano dee in 11 11 precetti morali considerare assai i utenti- vomente e la opportunità e gli effetti pratici della giu¬ stizia, a infine perchè i danni cagionati dalla infrazione ùme^ 011 ^ ^ e le »***®*il teeCHtto nelle ehm uè Ietterò E SINGOLARMENTE DEL DIRITTO DI PUNIRE 43 della legge fanno con essa infrazione un complesso di perturbazioni gravi sì dell’ordine morale e sì del civile. Yedesi da ciò come non sipossapiù oltre rimproverare a’ giurisprudenti razionalisti di fondare il diritto di pu¬ nizione sopra sentenze non dimostrate! e vedesi d alti a parte quello che importino gli argomenti de’giuristi po¬ litici, i quali, rimosso il rispetto dell’utile pratico, chia¬ mano la pena un male gratuitamente aggiunto ad un male, e la reputano crudeltà e vendetta esercitate sotto il sembiante della virtù. Imperocché il male inflitto al reo in modo adeguato, e da chi è investito del formida¬ bile ufficio, restituisce in prima la verità , V efficacia e la bontà della legge eterna ed eziandio della umana,,co¬ pia e immagine della eterna; poi, distruggendo al male l’apparenza funesta del bene, vince le forze perturbatrici e ritardataci dell’ordine, le quali interdicono or più or meno l’adempimento del fine, che è (ripetiamo sempre) la massima partecipazione degli enti al bene assoluto. E però non ha luogo peli uomo il debito della giustizia pe¬ nale, tuttavolta che i fatti non lasciangli discuoprire aperto e chiarissimo l’impedimento grave recato da essi all’attuazione dei fini sociali e l’effetto pernicioso della ritardata giustizia eterna. Se il tema non m’incalzasse, io dovrei, egregio Si¬ gnore, fermarmi qui un poco a paragonare di nuovo que¬ sta origine razionale del diritto di punire con le altre pensate da molti giurisprudenti, perchè il confronto il¬ lustra la verità, e fa che brilli come un colore acceso accanto agli smorti e scuri. Ma voi supplirete al difetto con la perspicacia del vostro giudizio, e a me date li¬ cenza di svolgere in sino al termine il filo de’ miei ra- ziocinii. I diritti e i doveri umani, perchè vengano all’atto, ri¬ cercano prima la, possibilità, poi la convenienza. Se man¬ cano o in intiero o in parte le condizioni necessarie al- -14 voKbpcekti della filo -ori a del dieitto Y adempimento tuoi del diritto, vuoi del dovere, certo è che rimo e raltro si rimarranno una semplice incolta Per simile, se radeinpinierttoloro producesse c> più danno, o altrettanto di quello a cui vuoisi ovviare, debito è di astenni dall'opera; concìossiaclié le azioni monili, come parta dell'ordine, debbono con tutto l'ordine armoniz¬ zare, e Firn precetto con Faltro, Firn principio con ral¬ tro procedere accordatamente, il eli e io domando nel presente caso la convenienza dell 1 atto. Ora, avvi ap¬ punto una legge morale die dice: sopporta i mali mi- noriy perchè i maggiori non amuìmio: e piti brevemente: fra due màli, scegliti minore. E similmente avvi una con¬ dizione essenziale ed, universale del vero bene ebe è hi compiuta spontaneità; e questa in se e per se ri «guardata, non pur contradice ad ogni sorta di coazione, ma desi¬ dera ogni maggiore larghezza di libertà. Sotto questi ri¬ spetti raccoglie si la dottrina intiera della limitazione del diritto di punire, come nelle condizioni della possibilità raccoglievi tutta quella della competenza di tal diritto. 11 pi ir ai o i am p u i j es e rei ta re la giustizi a penale: F Perchè non possiede tanta potenza co stretti va, quanta ne fa mestieri, affinché il reo rimanga impedito affatto delF esercizio della propria. Ognun sa che la pena mtutta da particolare ubino a particolare trasformereb- asna otta feroce e in serie interminabile eli vendette. 7' }\ delia più parte de 1 mezzi die cono ne nesti^a guarentire la rettitudine del giudichi -i]c,i o scoprimento, 1 esame eia prova esatta cosi del eato come del reo, senza i quali tre atti non v’ ha com¬ pitezzam l^ta possibile di giudichi. Pitto ; non P° SSQ *0 reputare sé stessi af- dizione T 1 lr ° nte alkle ^°o e tutti sono in con* dor-mrir ^ peccàbile verso di lei. Or come pren* dòvrebh^ ' 1 " ^ miu ' k Strili quello che in sé medesimi doucbbeiu innanzi punire, o ad amministrare in lor E SINGOLARMENTE DEL DIRITTO DI TOTERE 4-J nome quella giustizia ohe potrebbe il di dopo cadere sul capo loro: « come, offesi da infermità di animo e da passioni violente oseranno assumere l'autorità sacra, di giudice? e d’altra parte in effe guisa il reo potrà sentirsi umiliato e soggetto dinanzi a loro? Però Cristo te’am¬ mutolire i farisei con quelle divine parole: colui in fra ■voi che è senta peccato, scagli la prima pietra. Solo la società umana considerata nella sua morale persona è innocente ed integra, è scevra di umiliazioni odi affetti disordinati; perchè mai non sono imputabili a lei i trascorsi e le infermità dell animo degl individui, a lei quindi, s 'appartiene il giudicare le azioni impu¬ tabili, e per lei a coloro clic in fatto o in diritto la rap¬ presentano. 4» È na turai cosa effe i maggiorenti, i quali presiedono ul governo elei consorzio civile ed alla conservazione del- l'ordine, pronunzino giuilicio delle infrazioni dell’ordine, stesso. D’ altra parte, eglino soli possono misurarne con giustezza la gravità e i rime-dii, misurare la convenienza ,t p utilità delle pene: ed eglino soli liauno facoltà c modo di far notoria la malizia di alcuni atti che non a tutte le cosciènze apparisce evidente: nella qual facoltà ap¬ punto si l'onda V opinione di quei giuristi che proclamano la necessità d’una legge positiva penale. . 5 ; 1 La forza elio la wmìrewM umana per I ufficio dei suoi capi adopera nel reo è forza razionale e buona, è vappresentatrice della forza razionale e provvidente di Dio, e a lei s’inchina ossequioso ciascun individuo, come razionalmente inferiore c subordinato a tutto il corpo sociale. Dicasi il simile intorno alla maestà e all’auto¬ rità del giudizio e della sentenza. Ora, tal maggioranza, morale manca di necessità in ciascun privatogli quanto privato, e non può risplcndere se non nei prèsidi, rap¬ presentanti la comunanza civile e investiti per tal guisa d T ima specie di sacerdozio. FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO Per tali ragioni ed altre ad esse attinenti, è impossi¬ bile e incompetente al privato di riparare V ordine pertur¬ bato dalla impunità, esercitando la solenne giustizia che retribuisce il male pel male. E queste ragioni provano bene altresì che non faccia d’uopo ricorrere alla dot¬ trina della difesa sociale per ispogliare ciascun indivi¬ duo della facoltà di dar giudicio e sentenza; e del pari non faccia d’uopo ricorrere alla supposizione d’un patto o d’una delegazione de’ singoli cittadini : come d’ altro lato non fa mestieri ai razionalisti ricorrere in nessuna guisa alle misteriose rivelazioni della coscienza per di¬ mostrare che il magisterio della giustizia non possa ri¬ siedere legittimamente se non ne’ capi e rappresentanti di tutto il comune. Chi guarda poi attentamente ne’nostri principii, ve¬ drà che alle restrizioni naturali del diritto eli punire non si conviene cercar le ragioni nelle differenze tra la po¬ litica e la morale, o tra 1’ ordine supremo assoluto e 1 ordine relativo sociale. Conciossiachè quelle differenze, come dicemmo più sopra, cadono sui soli accidenti, e non passano alla sostanza. Il Bossi, divisando i doveri del consorzio umano in ristretto modo, e definendo, poco diversamente dal Kant, l’ordine della comunanza civile con queste formali parole : La ragione applicata coattiva- mente, se bisogna , alla coesistenza e al libero sviluppa¬ mmo delle umane ugualità, ne deduce che quelle colpe e quali non contrariano sensibilmente nè l'uno, nè l’altro c ì cotesti due obbietti dell’ordine, non cadono sotto l’im¬ perio della nostra giustizia; quindi conclude fra le altre cose, % male puramente morale non ispettaro per niente alla umana giustizia^, e considera così fatto quel male e non turba in modo sensibile V ordine materiale del viver comune . L. II. E STKCiGLÀKMEfiFTB DEL Ul RITTO DI PENILE 47 Quanto a me, io non ini lascierò vincere da alcuna paura delle conseguenze che procedono legittimamente da una tèsi dimostrata e certa. L’ordine nostro sociale è la pienezza intera de’fatti sociali regolati, cioè di tutti quelli i (inali cospirano regolatamente ad effettuare il massimo Lene indi ri duale c comune, sotto la scorta del- l'ordini morale supremo: però ogni qualunque ingioile delle leggi di questo (che sono Y essenza propria del bene) torna di necessità perniciosa eziandio all’ordine sociale nostro, a cui riesce impossibile il conseguimento del fine fuor delle vie comuni e sicure a tutti del bene assoluto partecipata Debito pertanto delle comunanze umane, guardando la cosa affatto in disparte dalla con¬ cordia con altri doveri e in disparte dalla pp^siHMà e dalla convcnictìm del giudicio, è impedire quanto ella può ed il meglio che può, la infrazione e la perturbazione dell 1 ordine morale supremo che è in elusivamente danno e perturbazione dell’ordine di società. Di qui segue che ogni mal morale è in astratto ed in genere di buona pertinenza della giustizia umana, e la comunanza civile ha buon dritto, qualora le torni possibile, con ve mente e con¬ corde, dì punire in ciascun individuo le infrazioni gravi d 1 ogni precetto è sì di quelli che lmnno riferimento con Dìo e con noi medesimi, come di quelli che hanno rife¬ rimento coi nostri simili. E lo astenimento da ogni in¬ quisizione e punizione censoria move da cagione troppo diversa da quella supposta della sostanziale differenza tra la moralità e il diritto. Adunque ripeto che il vero e solo tempo l'amento del diritto di punire giace prima nella possibilità del giu- dieiq, vale a dire nella competenza del giudice, nella dichiarazione e dimostrazione piena del reato e del reo, e nella sussistenza e promulgazione di leggi idonee, frutto del miglior senno civile. Poi giace nella convenienza- ài esso giudicio, vale a dire nel principio morale che non 48 FONDAMENTI BELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO si po mi o non si debba por mano ad aleniti dfritto, dal Giii esercizio sia per sorgere piu nocumento eli' 1 borni di'ordine intero della umana repubblica; ovvero si op¬ ponga all 1 assetto e al progresso d’altra ©sscmzinl condi¬ zióne della, socievole prosperità e grandezza. Nelle cose poi criminali procedasi con tanta maggior cautela, in quanto die in esse l 1 atto della giustizia e !' mfliggimcnto d un castigo travaglioso ed infamatorio. Quindi è più- nato, die di quelle azioni, le quali prendono aspetto di reità piuttosto dalle opinioni e dalle credenze iY uomini particolari, che dal sentimento universale e istintivo, abbia parato temerario il pronunziarne giudi ciò e con¬ danna. Per tal guisa, di cautela in cautela, crescendo e moltiplicando la ragione civile e V amore e Y uso della libertà, il termine pratico della giustizia punitrice non oltrepassò quello opere le quali minaccianoinstnnt emonie la pubblica incolumità, e son di natura da spezzare i nodi sociali o. da non concedere tempo nò qui ite da sperimelo tare 1 efficacia d'altra sorta di riparazione e dì repri- mento. Ma pero ognuno vede ebe in coleste limitazioni, eque e salutari oltremodo, nulla v’ li a, d 1 assoluto T di ne¬ cessario e d’irrevocabile. Un altra differenza ili gran momento interviene tra i razionalisti ed ì politici, rispetto al proporzionare la pena, e di vero, questi ultimi, ricavando ogni ragiona¬ mento loro dal principio AdYuMità e della necessità, deb- lono divisare il caso in cui per isgo mentore con pili ef¬ ficaci a il maltalento degli uomini, sia d* uopo e re se ere a pena sino a promuovere ima ripulsione proporzionata ~ aUa ^H^one criminosa, ma sproporzionata alla intrinseca reità dell'atto, Imperocché, seia ripulsione <>emtrospwta (come usan chiamarla) rimane inferiore ^iss.rt a .a ì [pulsione o spìnta criminosa, i delitti non ve- nendo guari mpediti, la pena inflitta torna inutile o fiumd! ingiusta e crudele, conforme essi opinano. E SIXGQLiJìMENTE DEL DIRITTO DJ PIESTTCE 49 Ma i filosofi razionali gridano con sicurtà di coscienza e di mente opere ingiusta invece e crudele qualunque pena die per qualsia titolo di pubblica utilità oltrepassi (Tini ette la misura della reità. Conciossiaehè per co¬ storo duo rispetti distinti e diversi ha il giudicio: F urio immediato ed essenziale col reo, V altro mediato e non essenziale con la società umana: e i.1 primo consiste nel misurare la intrinseca, reità dell'atto, e nel pareggiar con quello la punizione, diligentemente procurando di. ■scarseggiare piuttosto ohe di trascendere. Per fermo, se il pensiero staccandosi dalla considerazione dell'ordine universale, attende a quello speciale e particolare die regge la ci vii compagnia, le attinenze del giure pretorio con essa compaiono prime e dirette, e la. pimi zinne com¬ pare mezzo e non fine. Ma hen fa mestieri d'altro lato che il mezzo possieda in se e da sè la bontà e giustizia propria. Ne buono e giusto sarebbe egli in sè medesimo dove oltrepassasse i termini del reato. Quindi rimane vero pur sempre che la punizione, giuridica deesi col reato proporzionare e non col profitto comune che ne procede. Ma qui cade per appunto il problema dilhcilis- simo di sapere come proporzionare col reato la pena, un mal morale con un mal materiale, Xuttavolta, guardando nelle nozioni e nei teoremi che rampollano dal concetto del bene assoluto, pare a me non essere impossibile il ritrarne le conclusioni che ora cerchiamo. E innanzi tratto è da considerare 0 da fermare solidamente che il mal morale in tanto si ma¬ nifesta., in quanto il raziocinio ed il fatto lo mostrano contrario alFordine, e però è cagione immediata di sen¬ sibili mali: perchè da ultimo non Vha bene, sentenzia il Pctlkmeino, se non si risolve in giocondità, e non vi. ha male se non si risolve in tristezza. E il nostro mag¬ gior poeta cantava: 50 fondamenti della filosofia del diritto D’ogni malizia ch’odio in cielo acquista Ingiuria è il fine, ed ogni fin cotale 0 con forza, o con frode altrui contrista. La relazione adunque tra il mal morale ed il fisico è da ultimo quella strettissima ed immediata che passa tra lo spirito nostro ed il corpo, e tra gli effetti partico¬ lari e la cagione universale. Il che aggiungendo a quanto abbiam dichiarato intorno all’assioma, che il bene ri¬ scuote bene , e il male riscuote male , non sapremmo in¬ tendere perchè il Bossi se n’esca dicendo: « certamente non è dato alla logica spiegare questa relazione fra '1 mal morale ed il patimento fisico inflitto in ragion di quel male K » Giova altresì considerare, dice Leibnizio 1 2 che il mal monde per ciò è grandissimo eli egli è fonte di mali fisici rampollante in quella creatura la quale ha forni e capacità maggiore di farne . A me sembra poi che la serie de’nostri raziocinai ne porga eziandio il modo di misurare la proporzione della pena in guisa razionale e certa. Vedemmo come per la natura intrinseca degli enti morali le operazioni contra¬ rie all’ ordine sono cagioni efficienti di danno e debbono partorir male in entrambo i termini a cui la legge ha riferimento che sono il genere e l’individuo. Or se tutta l’operazione è contraria all’ordine, tutto l’effetto che n esce è tristo e dannoso : e l’ente imputabile autore di quella dee riscuotere tanto male quanto ha saputo e vo¬ luto produrre. Se ciò non fosse, una porzione della sua malizia resterebbe impunita, conciossiachè avrebbe sa¬ puto e voluto produrre una parte di male senza riscuo¬ te! e male; fallirebbe adunque il principio dell’assoluta giustizia. Non volendo pertanto la umana repubblica oltrepas- 1 L. ni. 2 Tentamimm Tlieodiceae , Par. I, § 2G. K SISGOLÀMENTE DEL DIRITTO DI PUNIRE 51 sare i confini del suo diritto di punizione, prenderà per norma fedele ed assidua questo pronunciato: la mas¬ sima pena non -poter mai escare il mah saputo e volo do produrre dal reo * Intanto cotesto nude non pud conver¬ tir si in pena proporzionata, se il danno saputo e voluto recare altrui non sì ritorco, in danno del delinquente, e se il piacere saputo e voluto procacciare a se stesso non si trasformi in dolore. Di qui segue che la difficoltà del proporzionare la pena giace prie co palmento peli 1 equi¬ parar bene il danno col danno e certo piacere con certo dolore* Ciò pure ci rendè aperto perchè all 1 istinto mo¬ rate delle moltitudini abbia sodisfatto sovranamente ed in ogni tempo la pena del taglione, e sia sorto quell 1 ada¬ gio popolare: V òcchio per V occhio, ed il dente pei dei de. Di vero, se a ciascun danno recato altrui scientemente ed illecitamente vi fosse modo di contrapporre un danno affatto consimile nella persona del reo, chi non crede¬ rebbe la giustizia umana rimanere esattamente nei ter¬ mini dell'equità? Per la qual cosa io persisto nella sen¬ tenza, che non si possa altronde dedurre razionalmente Tcqua proporzione delle pene, salvo che dall’arto di pa¬ reggiare certi mali sensibili con certi altri, e alcuni pia¬ ceri con alcuni dolori Clio poi Duomo riesca a pesare assai per minuto e bilanciar tra loro molti mali sensi¬ bili e di natura differentissima, come eziandio molti pia¬ ceri con molti opposti dolori, prò vaici la quotidiana esperienza. Di qui scaturisce la possibilità di un'arte, direm¬ mo, pretoria da servire quanto Insogna alle spesse e gravi esigenze della giustizia. Molte cose poi che duomo non può misurare insieme direttamente, lo può mediante certi effetti regolari e continui di qualcuna di esse: ov¬ vero mediante una terza cosa, con la quale uno dei ter¬ mini del paragone serba proporzione esatta e durevole; comi vedesi manifestamente Ogni giorno negli specchietti -T s 52 im T 0 AM ESTI DELLA FIIOSOFlA DEL DIH i 1 IO delle statistiche- ove le nostre condizioni meno materiali e i nostri atti più vani e spontanei lasciano scoi e al¬ cune correlazioni durevolmente proporzionate ed esatta¬ meli te c o mp u tu b i 1 i . F u re i 1 il u « 1 c ) rag ima in n ■ n t o di s e il o p i e , non p o c he di tali c arrispontlenz e. Co s ì , a. e a. gi ori d e s em¬ pio, il delitto del parricidio arreca un massimo danno morale t che. non sembra potersi misurare con una de¬ terminata quantità e specie di male sensibile. Ma po¬ nendo mente al principio speculativo die ogni mal morale effettuato nella società degli nomini produce da ultimo ima quantità proporzionata di male sensibile, se ne in- ritevole del più gran male sensibile dm le leggi possono infliggere, e die quella sua pena segnerà il massimo della scala delle punizioni. Salendo poi con avvedimento e con lentezza dai casi ne/quali si giungerà a discuoprire con e video/; i la pre¬ fata proporzione fra danno e danno, ossia Ira. il danne e la pena: e tali casi debbono fare ufficio di punti deter¬ minanti e regolatori nella gradazione delle peno, ascen¬ dente o discendente. Per simile modo sussidiandoci di tutte queste arti e maniere di paragone e di bilancio die n o n so 11 p unto mi ove ; li giu ri spr ud e n 1 1 , a e c o s t o n ‘ in o i l paralellismo, se cosi è lecito dite, derelitti e delle peno ad una rispondenza quanto si possa miglioro ed esatta, sempre guidati dal filo delle intime analogie : quelle die gli antichi, non sapendo più là, scambiavano troppo spesso con le materiali ed apparenti, metaforeggiando a un dì presso come fa il nostro poeta maggiore nel suo Infoi no e nel suo Purgatorio; le cui immaginazioiii por altro, conformissime all’uso ed allo tradizioni doIP an¬ tica arte di esercitare la giustìzia, confermano quel ch’io diceva della coscienza del genere umano, la quale ha -T E SIXGOLABMEKTE DEL DIRITTO DI PUNIRE 53 principio razionale della proporzione fra il delitto e la pena giace unicamente nella contrapposizione de'danni, o come Dante la chiama, nel contrappasso. JSTò osta molto il dire che grandissime difficoltà si rincontrano nell'ap¬ plicazione di esso principio; conciossiàchè o altrettali o maggiori se ne rincontrano nell'applicazione di tutti gli altri in sino a (pii ventilati ; o si preterisca il testimonio dell'intimo senso predicato dal Mossi, o la massima del Filai (//ieri, il quale a ciascuna infrazione di dovere con¬ trappone la perdita di un diritto, od altre infine ancor più arbitrarie e indeterminate. E nè manco mi sgomenta quella sentenza del filosofo carrarese «sapersi da ognuno a quali ingiustizie una ricerca esagerata dell'analogia Ira le pene e i delitti possa trascinare il legislatore. La legge del taglione essere giudicata \ » Giudicata per certo, rispondo io, senza possibilità di appello, quante volte ella sia guardata non nel suo spìrito, ma nella suà forma materiale, e ricusandosi di cercare quelle intime proporzioni ed analogie che passano tra i mali morali ed i fisici, tra cagioni ed effetti, tra attinenze ed attinenze. Ma la proporzione tra il reato e la pena domanda eziandio, per essere equa e assennata, di aversi in con¬ siderazione la più o meno violenza, ostinazione e mal¬ vagità adoperata a consumare il delitto. Imperocché un medesimo fatto colpevole, produeente certi medesimi danni esterni, acquista agli occhi della giustizia mag¬ giore o minore intensione di reità, secondo che la ma¬ lizia dell'operante vi si scuopra maggiore o minore: e ciò vuol dire che la pena dee pareggiarsi al male olibict- tiro ed al suMiettìvo, al danno e al dolo ad un tempo; perchè infine, giusta i nostri principi!, ella dee pareg¬ giarsi alla efficienza intera della cagione criminosa, cioè n dire, alla ben deliberata volontà di produrre una certa 1 L, IH. r. V. FOKDAMENTI DELLA FILOSOFIA l'LL DIIUTTn 54 quantità rii male. Ora, innanzi a tutto, si porcamente die i danni morali altrui essendo porzione integrante del male obUùUm del delitto, gli accidenti materiali este- rioii non Lscemano e non accrescono, quanto può pa¬ rere, la proporzione e misura della cagione e limi uosa con l 1 effetto estrinseco. Cosi, per grazia d'esempio, il ladro die medita ed apparecchia da lungo tempo il furto, e se ne fabbrica gl'i strumenti con imi astri a lina, e (Vn- doBàj sebbene poi non adempia con essi un nibameuto notabile, o impedito da circostanze, o prevenuto dal magistrato, certo è die arreca altrui un donno nmrah maggiore assai di quello die accompagnerebbe altri furti consimili ; imperciocché preparare il delitto tir lunga mano e con gran freddezza di raziocinio e di calcolo, adoperarvi l’acume dell’ingegno ed il rigore dell'ani¬ mo, inventar mezzi fraudolenti e cercare con nuove arti Impunità, sono tutte comi bòri ni che da unii parte au¬ mentano il male mibhìettko, cioè il proposito termo ed attivo dì contrastare alle leggi divine ed umane: dal- 1 4ÌN> accrescono la perversiti dell’esempio, l’eccita¬ mento a delinquere, il turbamento delle coscienze, c mi¬ nacciano assai pici da vicino la sicurezza sociale umana, disvelando una volontà ed una potenza di mal Iure molto maggiore: tutte cose che noi domandiamo danno inoralo- Ad ogni maniera, i gradi di malvagità sono gradi di form morale attiva, intesa a recare ingiuria proporzio¬ nata alla propria efficienza; e presupposta la imrità delle delitti una maggiore intensione di malizia Tl ™ ^^ttanta maggiore intensione di pena identica: onde la difficoltà ver, ..... .... Vi , E SINGOLA EHI ENTE DEL LIMITO DI PUNIRE 55 Imiqne teorica di gius criminale, per rispondere a quella voce comune delle coscienze che va pronunciando dap¬ pertutto: a doppia malvagità doppia pena. [ giuristi sanno bene quanti ostacoli gravi sono da allontanare, quante ricerche minute dà compiere, quanta esperienza. Laboriosa da acquistare, die senno, che acu¬ tezza. bisogna al filosofo criminalista per giungere alla desiderata disciplina dell’equa misura tra i delitti e le pene, mediti, egli e professi qualunque sistema di diritto v qualunque forma di giudìeio. Nè la mia ignoranza nella pratica del gius penale, nè i confini di una lettera, nè il subbictto stesso di lei mi danno licenza di addentrare un po' meglio cotesto difficoltà, le quali d’altra parte non ponno venir dissi¬ pate mai dalla scienza pura, ma sì dai progressi del¬ l’arte. In queste ultime pagine mia intenzione è stata di segnare unicamente i confini indeclinabili della giusti¬ zi a umana, di chiarire per via discorsiva la relazione coe¬ rente tra il mal morale c il mal fìsico, e indicare il prin¬ cìpio vero, sul quale dee sorgere la dottrina del pro¬ porzionare la pena al delitto; il qual principiò, come vedeste, è Speculativo e logico, non istintivo ed empirico, quale appuntò il propone il Ilossi, affermando: nella sola coscienza potersi rinvenir eh stima giusta della espiazione, e da lei sola venire indicati i limiti della pena.... roneios- siacM in fama ad un delitto determinalo e ad una certa pena irrogala (di'autore, di esso giunge il momento in cui In coscienza esclama.: OR busta. Le quali sentenze, per mio credere, non solo introducono nelle dottrine elimi¬ nali un nuovo principio empirico, e diffondono l’ autorità sua su tutto il criterio dell'aggiudicazione delle pene, ma fanno abuso altresì, a quel, che mi sembra, della filosofia del senso comune; imperocché questa mantiene, il senso comune degli nomini apporsi alla verità ne giu- dicii universali e semplici, non mai ne particolari e coni- 56 FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO plessi, pei quali non v’ha criterio comune possibile. Ma T atto di aggiudicare una certa pena ad un certo delitto de¬ terminato è atto particolarissimo e molto complesso, e la voce della coscienza svegliata in quel caso individuo rimane pur essa un giudicio complesso e individuo. Chè se nondimeno vogliasene inferire un qualche cri¬ terio universale insito in ogni coscienza ed involto, per così dire, nel sentimento particolare suscitato dalla vi¬ sta del fatto singolo, ei si conviene mostrare per bene e lucidamente in che consiste per appunto cotal criterio, e qual sia la espressione sua generale, e come non si possa confondere con gli errori de’ giudicii individuali e complessi. Nè basta che il nostro filosofo c’ inviti a stu¬ diare profondamente il senso monde degli uomini nel linguaggio, nelle opinioni, nei costumi, nelle religioni, nelle leggi e insomma nel tutto insieme della storia ci¬ vile dei popoli. Conciossiachè, come puossi egli sperare di bene udire e distinguere in quella storia la voce ferma e sicura della coscienza, per rispetto al proporzionare la pena al reato, quando si pensa che il diritto penale s’è venuto spogliando, può dirsi, da solo ieri delle sue atro¬ cità e delle sue funeste preoccupazioni , e che tuttora le leggi penali inglesi (cioè d’una gente più che civile) ser- bano gran parte della barbarie di molti secoli, durante i quali mai la voce della coscienza pubblica non ha sa¬ puto nè abborrirle, nè correggerle? Cotal criterio adun¬ que della giusta proporzione tra il delitto e la pena cnedasi innanzi a tutto alla ragione speculativa, illu¬ minata dal senso morale comune, e poi giovi cercarne a \ a ìdita e la conferma nel testimonio più generale uè e coscienze; poiché, procedendosi di tal sorta, avremo una gui a sicura per non ismarrirci nel labirinto delle ipiniom, e piglieiemo buona speranza di raffigurare tra mille errori e passioni l’ ingenuo dettato della natura. - queste cogitazioni ed a questi pareri m’ha indotto, E S1MU>LÀEMKKTE 1>EL DIRITTO DI PUNIRE b7 «‘pregio tjigliGve, lii vostru lettera* e tuttodì è ei versino intorno a materie da domandare, per giungere a certe compitezza di analisi, altro ingegno, altra dottrina ed altro scritto clic questo non è: pure lio. voluto metterli in carta, pensando che forse voi, o alcuno intelletto si¬ mile al vostro, ruminandoli qualche tempo fra se, ve¬ drebbe se hanno, come io pretendo, certo succo di vera dottrina: e dove sia trovato il contrario, avrò latto gran senno a scrivere breve. Io reputo di non annunciare ve¬ runa idea nuova, e di non dimostrare principio il quale non venga tuttodì proclamato dal senso comune dogli uomini: ma il mio concetto è stato di dedurre tali no¬ zioni e tali sentenze comuni da un primo e solo princi¬ pio così semplice come evidente, e die ogni proposizione ne sia poi ricavata per virtù di solo ragionamento. Nel qual proposito non sono io entrato per vanamente sfog¬ giare in dialettica, ma sihbene per cimentare la scienza stessa e dis cerner e se le sia fatto abilità di vestire una nuda e severissima forma raziocinale, gran ripròva della bontà intrìnseca d’ ogni qualunque speculazióne. E perù Leìbnizio in quel suo famoso catalogo dei .Desiderati della Giurisprudenza registrava pur questo: juris natu¬ rai is dementa demostratwe tradita. Voi vedrete s’egli sia vero che manchi pure oggidì una scienza universale del bene, scienza suprema e apo- dittiea da cui primamente si deduca la dottrina dell or¬ dine, cioè de’ fmi coordinati di tutte le cose: e la dot¬ trina delle norme, cioè delle leggi moderatrici di tutti gli atti razionali e imputabili. Secondamente, se ne ri¬ tragga la teorica o V arte della felicità individuale, e da ultimo la scienza tVun diritto ideale eterno da cui flui¬ sca naturalmente ogni diritto positivo e particolare. Ve¬ drete se i dogmi morali cosi dedotti per sillogismo ri¬ mangano veramente tutti sotto il dominio della ragione, e possa la cognizione che se ne acquista fuggire quei 58 FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO viluppi e quelle incertezze, per cui alcuni scrittori tinti di misticismo vorrebbero ogni cosa sommerger nel dub¬ bio ed invocare poi ad ultimo soccorso V autorità rive¬ lata. Vedrete se egli è vero che tutte le umane neces¬ sità, tutte le convenzioni sociali possibili, qualunque autorità di legislatore e di popolo non valgano giammai ad originare un’ombra eli diritto, ove egli non sia tra¬ sfuso da quell’essere essenzialmente autorevole, e inverso cui tutti gli enti capaci di vero bene, e però intelligenti ed imputabili, permangono in istato di dovere , cioè in suggezione naturale e razionale ad un tempo. Vedrete se bassi a tenere per dimostrato che nessuna parte del diritto giunga a rivestire abito rigoroso di scienza qua¬ lora le dottrine morali continuino esse medesime a di¬ fettarne, e però se venga necessario incominciare da que¬ ste ogni meditazione intorno al diritto. Vedrete se il principio da me escogitato per fondamento dell’etica uni¬ versale sia il vero ed il solo, nè si dia modo o di ascen¬ dere più alto, o di movere da più basso, ed anche se le piove attinte alla filosofia naturale addotte da me, con- cedano o no di poter domandare positiva la scienza che da quel principio scaturirebbe abbondevolmente. Soprat¬ utto pondererete, se accogliendo quel mio pronunziato sovrano e scoprendo e divisando con esso le leggi su¬ preme dell ordine, vi sembri molto sperabile il poter isciog ere tutte le dottrine che versano intorno al diritto I a ° 1 at . e nozioni adoperate per pratica ed rlnn' 61 V'? 1 C0 P er ^ paralogismi che turbano e ren- rprptj ane i 6 tefinizioni d e ’ moralisti dogmatici. Ponde- ,? er )ene daanto io sia riuscito nel fatto a intrala- da^nupM- em P lr * C0 di essi adagii e nozioni e rimoverli ori rini rili 1Se ^ 1W COm P^iato che vi ho offerto sì delle dell’ unum ^ mr ®,P ena le e sì delle condizioni assolute ( eli umana giustizi. D a ultimo, pondererete se posta a segare le enne che io T „ **&$£££’££ E mXiOLÀKMKTfTE DEL DIRITTO DI PlLVIftE 59 xiona-listi, contemplata in ispide nel diritto di punizione, perderebbe quelle oscurità metafisiche, quella moltipli- cità di principi!, quei pericoli e quella incertezza nelle applicazioni, stata fin qui rimproverata ai seguaci di lei. Io so per prova quanto riesca dura al genio ipercri¬ tico de diostri tempi la necessità di fondare le dimostra¬ zioni sopra un ordine di fatti visibili al solo intelletto. So ancora quanto la dottrina del dogma politico ab¬ bia recato di utile all" umanità o di gloria all’ Italia, ove nacque, possiamo dire, e si fecondò, e pei 1 le mani del Koinaguosi lia toccato la cima del vigore discorsivo. Ma io so altresì, non darsi schermaglie buono e durevole contro al lume sfolgorante della verità: e coloro i quali fanno mostra di sgomentarsene e di temerlo appaiono all'estimativa mia indegnissimi del nome e del ministero di filosofi. E nè meno mi saprei accostare a coloro che, lasciandosi trarre dal mal vezzo del secolo, e più dal¬ li esempio degli stranieri, confondono insieme le dottrine più assolute ed inconciliabili, battezzando cotal miscu¬ glio del grazioso nome di edettteismo. 0 si pensa dai no¬ stri giuristi a produrre e a perfezionare un arte, ed in tal supposto io credo il principio politico poter loro sod¬ disfare assai convenientemente-, ponendo cura tuttavolta a non mai anteporre ai suggerimenti del senso comune certe conseguenze strane e paradosso delle teoriche. Ma se in loro è desiderio di edificare la scienza, e vogliono che ogni parte sia connessa logicamente , ed il tutto in¬ sieme risponda così alla realità delle cose, come ai con¬ cetti comuni degli uomini, io affermo che loro sarà fòrza, dopo un lungo aggirarsi tra vanissimi simulacri, di ascen¬ dere alla speculazione del bene assoluto, il quale è fonte d’ogni diritto e cagione d'ognì dovere. All'alta ed uni¬ versale filosofia del giure non basta trovare e disporre in buona ordinanza uu certo numero di definizioni chiare e grammaticalmente esatte, e innalzar sopra quelle tutta 60 FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO la macchina delle prove e de’sillogismi, quante volte cotali definizioni contraddicano visibilmente alla ìealta de’fatti morali ed alle nozioni comuni correspettive. Così, quando il Montagnosi chiama e definisce il diritto una forni utile regolata , la coscienza del genere umano ri- spondegli, la forza altresì delle macelline essere utile e regolata, ma differir dal diritto così pienamente e so¬ stanzialmente, quanto la necessità dell’ effetto loro dalla necessità del dovere, quanto la fisica dalla morale. E del pari, quando ei presume insieme con gli altri utilisti che la giustizia penale non ponga mente affatto al pas¬ sato, nè alla reintegrazione dell’ordine, ma la sua ra¬ gione e legittimità consista meramente nella sua virtù preventiva, la famiglia umana, com’io notava più sopra, rispondegli assai risoluto : e per V uno e peri 1 altro. Certo, le leggi tutte civili versano intorno all’ utile, ma all’utile, come sentenzia il Vico divinamente, adeguato alVeterna misura. Bel vanto d’Italia è avere spezzato con la dottrina politica del diritto quella catena dolorosa di processure violente, d’inquisizioni odiose, di preoccupazioni, di se¬ vizie, di errori che miseramente violavano e funestavano il santuario di Temide. Bel vanto del Montagnosi è l’avere sulle orme di esso Vico e dello Stellini cercate e ritratte con gran bravura le rispondenze occulte della storia col dritto, sbandite le ipotesi perniciose dello stato di na¬ tura e dei patti sociali, delineatala genesi vera effettiva del giure pubblico mediante la cognizione profonda del- 1 incivilimento e de’ suoi sommi periodi : nè per me si è mancato di encomiarlo altrove di ciò assai largamente. Ma quando, uscito sì dalla storia primitiva e sì dagli stuclii esegetici del diritto, ei si pone a statuirne la scienza asti atta e, come a dire, il dogma sovrano, niuno potrà non censurarlo di averne dimenticato la origine razio- E KJSUOLA JWESTTE DEL DIRITTO DI FL’MIKE 61 imi 15. suprema e di aver coni eri: pia La sempre una sola faccia della natura morale dell'uomo. Tempo è di allargare le nostre viste, e all’analisi far seguire la sintesi, all’arte la teoria. Imperocché Tinge¬ gno italiano è positivo e speculativo ad un tempo: vuol tutto incardinato ne’ fatti : ma vuol eziandio che la più alta ragione gli illustri, li colleglli, li deduca, li stringa all - unità dei principii ed alla immobilità della scienza. Cercammo col Beccarla di svelare gli abusi e di fondar l’arte: procacciamo ora col FttUavicino, col Gravina o col Vico di edificare i principii. Da Parigi, 15 Aprile 1840, INTORNO ALLO STESSO SUBBIETTO LETTERE DUE IN RISPOSTA III PASQUALE STANISLAO MANCINI AL (UUAIIISSniO T. M AMIA NI DELLA ROVERE LETTERA PRIMA -oG70«- Poiché vi piacque, onorandissimo Signore, con quella cortesia che è propria de’veri sapienti, satisfare assai più largamente dell’aspettazione alle mie richieste, e farmi aperti i vostri pensamenti intorno alle origini del Dritto , e precipuamente del Dritto di Punire . non so esprimere a parole la mia sincera gratitudine per sì be¬ nevolo ufficio, e per la luce di dottrina che avete sparso sull’ardua e malagevole questione con le due vostre pre¬ ziosissime Lettere. Pur tuttavia sarebbe compiuto il mio debito col rendervi le grazie che per me si potessero maggiori, se insieme per obbedienza al voler vostro non mi fossi creduto obbligato di meditare attentamente sulle cose da voi dette, di farne minuta disamina, e di ma¬ nifestarvi candidamente qual parte di esse abbia otte¬ nuto la piena convinzione del mio intelletto, e quale siami paruta più o meno dubbiosa o lontana dal vero : comecché in tutto il vostro lavoro non possa negarsi laude ed ammirazione somma all’altezza e sagacità dei concetti, ed all’invincibile nesso logico de’ragionamenti, che ad ogni altro ignaro elei valor vostro farebbero cre¬ dere esser questa vostra scrittura, anziché d’improvviso dettata, frutto di lunghe e faticose vigilie. Nè tali mie considerazioni avrei osato poi metter sotto gli occhi del pubblico, da ciò ritenendomi e la riverenza del vostro 5 ■ 66 FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO nome che suona a tutta ragione per quello di uno dei maggiori filosofi viventi, e ad un tempo la giusta diffi¬ denza di me stesso, massime in materie sì delicate e difficili, che hanno stancato il volo delle menti più su¬ blimi da Aristippo e Platone fino ai moderni, senza sgom¬ brar gran fatto le tenebre dallo spirito umano : ma an¬ che in questa parte non ho altro merito che quello dell’obbedienza, avendomi voi stesso assai umanamente confortato a farlo, pensando forse che dall attrito delle contrarie opinioni meglio sfavillar possa la verità, che noi uomini cerchiamo (come diceste), ma Dio solo vede e contempla. Questo pensiero ha dunque vinto la mia repugnanza, ed eccomi ad aprirvi tutto V animo mio in due altre Lettere: nella prima delle quali prendo a con¬ siderare le vostre dottrine, e nell’altra mi proverò a sporre un brevissimo saggio di quelle che ho introdotto nella Filosofia del Dritto e del Procedimento Penale , det¬ tata agli uditori della mia scuola, parendomi che esse possano servire di confermazione a parecchie mie osser¬ vazioni, che a primo sguardo sembreranno rimaner ne¬ gli angusti limiti di una lettera non abbastanza dimo¬ strate, e che mercè simil confronto confido render più chiare ed accettevoli. Voi, di grazia, non vi lasciate ca¬ der di mente innanzi tutto le mie protestazioni, e pro¬ nunziate libero giudicio su queste mie idee, come il mae¬ stro fa al discente , se volete darmi pruova novella e maggiore di benevolenza. L per cominciar dallo stesso vostro punto di partenza, riconosco primamente con voi la necessità di coordinar la scienza del Diritto con la Morale filosofia, come col suo piu saldo elemento. E quanto al principio da voi stabilito come fondamento dell’Etica, dopo lungo me- «oinni sopra, confesso risponder desso perfettamente, '■* m *° C1 ^dere, alle più rigorose esigenze propriamente fi SISGO' L AE-MENTE DEL DIRITTO DI PIIKIEIv 07 della scienza Morale; quante volte però si badi a non far servire alla dimostrazione dell’esistenza dell'Essere Supremo ed Assoluto la distinzione naturale del bene e del male morale, perciocché cosi ragionando si cadrebbe in un circolo vizioso ned dire, esservi un bene ed un male modale ed 'mia legge che li distingua, dal perda* ri è Dìo cioè il Bene A ss oh do : ed ed si ere Dio o il Bene Assoluto , dal perchè vi è il bene ed il male morale . Que¬ sta difficoltà pose a se stesso il Dugald-Stowail, né seppe trovare altra via per uscir d'impaccio, che ricor¬ rere al senso morale* Ancora non saprei dire, se vera¬ mente la credenza del genere imi ano nell* esistenza di Dio, come Bene Assoluto, avesse gli attributi della unì- versaii/à e della perpetuità, quando, lasciata a parte la schiera poco numerosa degli atei, apprendiamo dalla storia die molti popoli adorarono Divinità perfide e cru¬ deli, e gli antichi Persiani credettero in un Dio princi¬ pio del mede. Ma, senza insistere su questi argomenti, gli altri da voi addotti, e parecchi ancora che potreb¬ bero aggiungersi, compier possono irresistibilmente la dimostrazione della verità, da voi assunta per base della scienza: lì Bene Assoluto esiste ; e ciò busta. Fj mi compiacele a min in e ut are che molti grandi filo¬ sofi vi hanno preceduti in riguardare Iddio come il prin¬ cipio della Morale: poiché non barri forse, a, mio cre¬ dere, alcuna nuova, fondamentale verità, a scoprire nelle cose morali, nè è possibile che l'umanità nel giro dei secoli abbia del tutto ignorato una verità primigenia e di tanta influenza su i suoi destini: ma bisogna persua¬ dersi che sol rimane, a scegliere fra le tante ambagi e contraddizioni V opinion vera, ed a rigorosamente dimo¬ strarla ed ordinarla col resto delle umane conoscenze* Fin dalla più remota antichità in fatti Platone annun¬ ziò come fondamento del dovere la (eri dea za alla divina perfezione e Videntificazione dell'uòmo con la Divinità. FOSMSEETI DEILA lOUlSOm DLL 0 111 ITT C» mentre poco dopo Epicuro lo riponeva nel piaceri- ciim' nella sensibilità, e Zenone nella rirtn o nella raf/iùM. Queste due ultime scuole parve poi che si dividessero 'imperomonile del mondo: il concetto di fiatone iti cre¬ duto un misticismo inapplicabile al diluii/in dello uman azioni, e rimase poco men clic olddiato, tino a clic il cristianesimo non appelli) gli nomini a l'arsi imitatori dì, Dio. 1 neoplatonici di Alessandria furono i primi a riprodurre nella loro filosofia ipiesti ulti ino principio: ed in Italia lo troviamo poscia assai eliiarunicnto profes¬ sato dal nostro ALUiaiEKi nel sommo poema : Di L«tL« queste cose- Ravvimi. Aggiri L 1 umana creatura, ^ s 1 min nifi min. Di sua nobilita co arieti die cuuun : Solo il peccato è quel che la rlisfrutitm . E PALLA HTSS1.M1LK AL Su.MMo Jìl-'V-L Perché dei lume suo 1 Muco s'imi limici i ; Ed ìli sua dignità mal non rinviene, Se non riempie dorè colpa vdn Contro MAL DILETTA a rON' GIUSTE l'KXK. ^ cco im intero sistema (li morale, il coi tbmlamonto c ì esistènza del Sommo Bone. Ma l'immortale Vico, a toL'to sconosciuto e demo da* nostri antenati, fu colili che non solo la Morale od il Diritto, male scienze tutte riportò a Dio, cioè al Conoscere^ al Volere od al lUpre hìjììdto, corno al loro vero principio e fino, o ìu.i- 1 aureo suo libro Bàli* unico principia c fine del Diritto mmmrie gettò i semi fecondi di quasi tutto lo traseem dentali dottrine esposte negli ultimi tempi dagli serit- torj tedeschi, Liìlbnuz pure riconobbe nell'esistenza di uu jute sapientissimo e potentissimo il tonda mento ul¬ ti mio della Minale.!. e del Dritto Naturale. E queste sono h et pi csi nte olente vagì reggiate inUermaniadiiscion- 1 Ua 1Ugiq.su. E SINGOLARMENTE DEL DIRITTO DI PUNIRE (39 /iati di alta rinomanza, come è facile raccogliere dalla Storia naturale dello Stato di Errico Leo, dalla filosofia del dritto di F. J. Stahl, il quale pone la personalità di Dio come principio dell 9 universo e della scienza , e da altre opere contemporanee. Tolga il cielo pertanto che io creda, non essersi da voi che servilmente adottato il principio come per altri trovavasi fermato, imperocché è facile il ravvisare che esso non fu mai presentato in una forinola più esatta e scientifica della vostra: Il tene assoluto esiste; la quale riferendosi ad un tempo all’ e$ì- stenza ed all’ essenza infinitamente buona della Divinità, ha troncato felicemente non poche dispute di alcuni non recenti filosofi. Kant avendo concentrato T uomo nella contempla¬ zione di sé stesso, aprendo un abisso immensurabile tra V io, e’l non io e Dio , si vide costretto ad ammet¬ tere, oltre la ragion pura, una ragion pratica; e questa non avendogli somministrato miglior pruova per risa¬ lire alla conoscenza di un Dio, che quella poggiata sul- T esistenza de’ principii morali nello spirito umano, fece egli per conseguenza precedere V idea della Morale a quella della Divinità , come voi per l’opposto l’idea della Divinità considerate fonte e principio della Morale. Ma la legge fondamentale della morale da lui stabilita : Opera in modo , che la massima della tua volontà possa nel tempo stesso valer per sempre come massima di le¬ gislazione universale, oltre al rimanere sfornita di di¬ mostrazione, per essere da lui chiamata un fatto della ragione ed una proposizione a priori incapace di ogni altra pruova razionale, mentre a molti parve e parrà ben lontana dall’evidenza intuitiva, presuppone benan¬ che di necessità un altro principio secondo il quale co¬ stituir si debba una buona legislazione universale, e quindi ammette un altro sistema morale precedente. Inoltre, o il principio si tradurrebbe nel bene del mag- 7' 1 FOSDAJIEXTI BELLA FILOSOFIA 1>LL WH1TTO r;;}] numero, o cljvorrGblic £U.npÌFÌC!0 * o iotz li confessare che manciù ili ogni realità oliliiettiva. La sola opinione che ripose il principio della, Morale nella retta Magione può contendere senza, apparenza di audacia con la vostra: imperocché, essendo la ragione, secondo Dante, U lume di Dio, e Y Assoluto non rive¬ landosi ftir nomo che per lei, è (lessa Y unico legame tra l'Io e la Divinità: e d’altronde, non potendo Din proscrivere altre azioni se non quelle die alla, rotta ra¬ gione si conformano (quando non volesse sostenersi 1 ite credibile assurdo, in cui cadde Cartesio, di non esser la percezione di una, verità del pari nere ss aria al Divino come all 5 umano intelletto, ma tutto essere subordinato al comando ed all 5 arbitrio di Dio), no di scende die se¬ guendo i dettami della ragione, si segue dò che piace a Dio cioè la legge morale; il die volle significar Vir\- umu dicendo: idem est rationi parere ac Dea * Ma consideriamo più cose» La ragione è la sede, n se vuoisi, il criterio siMidiim della, legge morale, poiché dietro la sua scorta distinguiamo il bene dal -male mo~ m [ e ì e regoliamo lo nostre azioni; ma non c lo stesso principiò efficiente e l ’ obbiettivo della Morate * 0 dunque bisogna cercarlo fuori di essa, e per ottenerlo eterno, universale ed immutabile , è necessario slanciarsi nel seno dell assoluto, e riconoscerlo in Dio: o bisogna pri- vu la morale di ogni realtà obbiettiva, e dirla conio un chimerico istinto della ragione istessa. Nel quale scoglio manifestamente rompono i seguaci del senso intimo ; che 1 sd, mentre non confóndono il bene morale con ciò die c..un( Uct al hqpcs: sere, e mei r tre no n r isaigori o all’ o h biei- tav assoluto del Lene per impiegarlo, dicono esser bene mota #i quello die tale apparisce a «pesto misterioso c variabile testimonio interno. Inoltre, se non si procede ( à pnuite che dalla ragione come legislatrice doliamo- f 1 f ■ ^ 11JColrt " contraddizione di far uscire la forza E SING0LA.KMMT1-: DEL DlHìTTO DI PUSIEE 7L del costringimento, die si chiama dovere, dallo stesso es¬ sere passivo ed obbligato, cioè dall'uomo, poiché la ra¬ gione facendo al me interno una forza morale di seguire il 10110 , 0 j che vai lo stesso, essendo la causalità intera del dovere, si avrebbe nel medesimo oggetto ima coa¬ zione. attiva e passiva nel tempo stesso; il quale assurdo non i,-sfuggì a quel maraviglioso ingegno del filosofo di Koenisbcrga, benché avesse egli con industria tentato rimoverio. Si aggiunga che, non essendo tra gli esseri Uniti alcun tipo di assoluta perfezione a torsi come in esempio , il dovere del perfegìona/Avento di sè stesso ? o della partecipatane del Bene Assolato, il primo posto corno principio sintetico a priori dèlia Morale da Kant, e r altro da voi, rimarrebbero arbitraafii, incomprensi- bili, e non neeessarii, quando non si riponga it princi¬ pio efficiente della Morale in un Essere die è la perfe¬ zione infinita ed il Bene Assoluto, il quale non può volere il male, e lo cui leggi debbono per conseguenza pro¬ durre di necessità iicITimmo il dovere di tendere alla propria perfezione ed al massimo tiene. Finalmente non è da tralasciare che, dovendo 1 Etica trattar del doveri verso Dìo, e quindi introdurre nella scienza la perso¬ nalità Suprema ed Assoluta, è impossibile confina]'que¬ sta idea come in un angolo della scienza stessa, p e ron¬ di è da se stessa si eleverà facilmente nella mente di ognuno al posto che le conviene, e collocandosi in cirri e ■t tutte le deduzioni ed allo stesso principio della ragione , rie acquisterà il dominio, per la sua essenziale superio¬ rità ad ogni altra idea finita e secondaria, e cosi E auto¬ rità della ragione si vedrà- cercare appoggio e principio in quella della Causa Prima ed Universale. Tutte que¬ ste considerazioni provano la necessita di far entrare la nozione del Bene Assoluto.) come causa efficiente e realità obbiettiva, nel circolo della scienza inorale, lasciando alla Tedia rtM/iope l’ufficio di principio su imi et nv 0 , il 72 F'JSDAMOTf DELLÀ V tLOSOFLV DEI. 1 UliTTTO quale non crea i doveri* ma li scopre e li attinge filila natura delle cose, e scoperti , li prescrìve alla volontà come bene (li natura assoluta , eterna ed immutabile, e quindi da seguirsi. In quest’ ultimo senso ammetto anche ioconKàntlVrt^ ° il sUU imperati nt vnt&forico. 11 fine pratico della morale è che i suoi prin- cipii assoluti siano rettamente applicati ai tutti. Ma se principio obbiettivo della Morale è il Bene As¬ soluto } affatto diverso dal relativo e finito, in* seme' age¬ volmente chele umane azioni 1 come atti tisici e mate¬ riali, non bastano al dominio di essa, poiché sono per loro stesse essenzialmente impotenti a raggiunger \ as- soluto, cioè lo scopo della morale» Solo Y intelligenza può comprender 1 T assoluto e raggi tigne ri o: ninno in latti ii> alierà allo spirito umano il possesso dello idee assolute. E poiché ogni umana azione tende ad un fine, ed un fin® che noi ci prnpongMamó nel far qual ohe cosa non è che un atto dello spirito o ini idea, è perciò che per soddisfare alla Morale possiamo o dobbiamo proporci un fine assoluto nell'osservanza de* doveri» Così soltanto lo scopo della morale è ottenuto. Il qual fine altro non può essere che uno, perchè imo è Y Assolata* e quindi non può essere diè lo stesso Itene Assoluto . il quale perdo hen si dirà^r/ndpm ohliettm della Morale» ( Mu imitata esser la Morale contami nata ed offesa , quante volte I no- ino nell osservanza de doveri si proponga un tino rehi- tiro e sensìbile: e non potersi diro adoni pi ut a clic quando r >gli taccia il lene pel fine assoluto, cioè faccia il bene I > c; c]u- è lj @ i a f e non p er altra eagi < ) n e » E però pi 1 è 1 i 1 r i r c i dilaniar la Morale la Scienza M Fine , e non M fini, lioicliè non trovo coinè ammettere nel circolo dell’io- lato mdtiplieità di fini. Sicché ben si vede, F-èssenza * 1 nffizi mor!lli consistere noWnomo inferno e nel //«■ ri pararsi al testimonio empirico della coscienza, o sulxir- diàare (ancordiè no 1 pensi ) il principio della morale a quello dell’ utmà, e concliiudero che in tanto Vomici¬ dio è un mulo morale in sè, in quanto che è cannoso ad- im uomo , e che tutto le adoni dannose a'nostri simili sono trasgressioni morali perciò appunto clic son dannose. Chi non vedi' in tal caso, che l 7 ut-dita o il danno divengono la ragione e la causa, della qualità morale delle azioni, o che per conseguenza la monde diviene un codice di ni-iMtà, quale essa è. nrC libri di EÌMmó? Dal qual corol¬ lario e voi ed io di tutto animo dissentiamo. Or questo fermato, permetterete che io osservi, po¬ ter nella scienza ingenerar qualche confusione la regola sintetica fondamentale della morale da voi espressa collo parole : L'uomo ha il dovere deliaci àssjvlà partecipazione del Bene Assoluto, Imperocché, se esprimer vi piace con esse che la. partecipa none del Bene Assoluto sia la mas¬ sima di tutte le partecipazioni del Lene, la proposizione non ammette risposta: ma se per contrario intender vo¬ gliate che 1' uomo doro andare alla maggior paricei- pa,l'ione possibile del Bene Assoluto , pronta soccorre a chiunque ridea che il Bene assoluto è uno, indivisi¬ bile ed infinito; che non è tra. i possibili una maggiore o minor partecipatone di esso, anzi non v Iva nè gra¬ dazione nè via intermedia tra, il parteciparne ed il non parteciparne, siccome non vMia partito intermedio ira la intendane morale Inora o il fine assòluto, e V inten¬ sione interessata e il fine relativo non soddisfacente alla Morate. E dal dettò disopra discendo pure nuovamente che le adoni e la loro utilità, che sola ammette gradi, non costituiscono per loro stesse un bene assoluto; e sa¬ rebbe certamente 1" estrema delle contraddizioni un bene assoluto ed insieme graduabile. Anzi il concepir questo bene assoluto sparso, per così dire, e contenuto ne fono- 7(> FONTJAMHNTf UELLÀ FILOSOFIA DEL MMTTO metti mmÈSfodelP imi verso, cioè nello condizioni. tutte profluttiTO di utilità al genere umano, nuderebbe al noto pan teismo ili Plotino, il quali? aim'netteva I' funere l'a in* ed Assoluto, V Unità , P two, che chiamò nache il Bene, donde fosse emanato quanto esiste, fornito eli unii gra¬ duata parte di questo Bene. Sicché, u rimuovere ogni ambiguità, io accetto .il vostro principio con questo sem¬ plicissimo cangiamento: L'uomo ha il dnrrre tifila par - tedpamne del Bene A ssolato. Queste partorì pozione non può concepirsi che nell' Io subbi ettiveniente, cioè rid¬ i’uomo iutemo, e però ad essa può riferirsi P imperativo categorico di Kant: JMrfmontt ir desso* fusi Padempi¬ mento della Monile consisterà nel proporsi il fine as¬ soluto, nel fare il bene perche r bene, ne] seguirò tutto dò ilio conduce alla propria perfeziono maral e. Le azioni clic conducono alla nostra perfezione includono talvolta una manifeMamom di utilità sensibile (fo’nostri simili; ma nel sistema assoluto della Morale Pimmo Io pratica per Và propria perfezione ^ clic è ini do vero tutto morale, e non per gli effetti utili clic ne conseguitano. lh\ qui non lio fatto, chiarissimo Signore, ohe Papo¬ logia del vostro principio, deducendone alenine legittime o iazionali conseguenze* Ma lasciando a voi V edificarvi --ui ijUiiJi.i ìu |'uw 1:011 Vspoiiilere altezza del principio stesso o noni: generila® intera persuasione in ogni aftT1 „ intelletto, (Tebl C' 1 * ‘ '^saniti ili molto ila vostri pensamenti passarli ' & ^ e a l r ritto, Xon è giù die jo ah Ivi a < 1 irne , k mk Imposizione «li «Inversi riguardare. la ,1/ ’ ( ' 0l11t 1151 elemento del Dritto; thè anzi j^r dò a punto scorgo chiaramente die tra la parte e«l il tut mer * >U ° e g < ' 1 'V ^ntità , e che iivi altro demento nc . 11 g 088 # 0 bisogna introdurre nella emnposizim ÒMcologrra ih q, iest ’ulticoncetto. Divisi coli sul n E SIN COLMI MENTI: DEL MH-TTTO DI l'UNIItE i i hcere la Murale ed il Dritto, due diversi ordini di verità secondarie scaturiranno dai loro non identici concetti fondamentali, e q ueste condili'i i ann.o a conseguendo tra loro differentissime. Una Filosofia del. Dritto deve qui ridi indagare e sporre non i doveri dell litica, ma. le verità della seconda spe- eie mostrando innanzi tutto il punto di contatto della dio sofia morale, con la scienza del Dritto. Pertanto a cinque fard di ridurre quelle tra le idee cardinali del vostro sistema intorno al Dritto, delle quali non ha saputo appagarsi (chi sa se a ragione) la mia monte: e contro le medesime farò di ragionare libera¬ mente e secondo la mia, coscienza. lasse riguardano : I. Dei identità. o diversità tra la morale e l unii io. I L La definizione ed il concetto delia leuge : III. La genesi del mirro e del povere: 1Y. D origine ed i limiti dd dritto di funere : Y. La misura delle pene. Di queste, le prime tre riferisconsi alla Filosofia del Dritto in generale: e le due ultime particolarmente al Dritto dipunire. I. Diversità tra la Morale ed il Dritto. Fon sono da distinguersi, voi dite, la Morale ed il Dritto, perchè tendono cui uno stesso scopo, la maggior partecipazione dd Deuc Assoluto. Il Dritto non- è che una. specificazione estesa della teoria monde suprema. Fon esistono UH principio morale ed un principio politico : solo il primo esiste, C tutte domina le scienze civili. Fon hard che una legge , la Morale o Divina, e la società deve re¬ gi tare all' effettuazione di essa. _ 78 rOXDAMF.XTI DELLA FILOSOFIA I>RL BIUITTO Per isfuggir l’accusa che voi fate a coloro i quali hau messo innanzi quella elivisione, e provarvi che essa non è puramente scolastica e trovata per comodo degli studii malìtm, ma necessaria c fondata nella natura reale delle cose, ini farò da più alto che essi non fecero, a contemplar se le due parole corrisponderne veramente a due realità diverse» Quali sono gli agènti dell'ordine morale intero? Xon ne conosciamo che due: La Personalità di Dio , e quella dell' Uomo » Arrestiamoci per poco a consideri irli nella re¬ lazione coll'idea del Ikne. Dio è il lem assoluto e perfettissimo , e quindi ninna parte di bene può mancargli. So tutt i beni sono in lui, la giustizia e la felicità si congiungcmd in 1 )$0 in grado supremo. Egli quindi non ha don-ri, nò bisogni; se tali non volessero impropri ani (aito e con irriverenza chia¬ marsi la necessità e l’efficienza della propria infinita natura, per la quale può considerarsi come obbligato verso se stesso a creare gli esseri morali pel bmc ì per la tjimtmn e per la felicità. Egli non deve ad altri la propria wìsienm c consernamone^ nò alcuno può meno¬ mare i suoiindisfiittibili attributi. In conseguenza nulla mane and oglì, non può a Itti piacere che lo stesso fame am.ufo; il che Dante maravigliosamente espresse in quei verso : ' -urne, che solo a %k rf' altri esseri corali .sono egualmente I ■ 1 !° ne ^ a c^fUzione del fhvere assoluto y od a h] , 7t " P 7.ftnlmfi&i Vautorità di obbligarli allVttet- tuazione del lene doluto. mort-de ;Ld .Uomo. Essere fluito, fallibile e ’ J • CODdato dl Insogni morali e fisici, egli liete E SINGOLARMENTE DEL DIRITTO DI PUNIRE 79 cercare il bene per possederlo, può ingannarsi in que¬ sta ricerca abbracciando il male sotto le false apparenze del bene, e può essergli da altri o fatto ostacolo nello sviluppamento delle sue facoltà, o anche rapito il bene conseguito. Se Tuonio non fosse che solo spirito, egli non avrebbe bisogno e capacità che del solo bene assoluto o morale. Aggiungo di più; egli lo conseguirebbe sempre, non es¬ sendo obbligato a scegliere e ricercare, chè la scelta suppone più obbietti e non un solo, nè potendo un puro spirito desiderare altre specie di bene che il morale. Ma l’uomo è composto di spirito e di materia: è non solo un essere morale, ma benanche un essere sensibile. Quindi la necessità di ammettere per l’uomo due spe¬ cie di bene , due motori della volontà, due principii re¬ golatori delle sue azioni. Ecco sorgere la naturale ed innegabile distinzione tra il bene morale ed il bene sensibile, tra il dovere ed il piacere, tra il rispetto della giustizia ed il desiderio della propria felicità o benessere. Che cosa è il bene monde? Il bene assoluto , la virtù, V onestà, l’uniformità all’ ordine idecde supremo, in som¬ ma il giusto in se. Kant osservò che questa domanda era imbarazzante pe’moralisti, quantope’logici l’altra: che cosa è la verità? Ver altro ben si direbbe col Vico, essere il Vero ed il Giusto due rapporti di una stessa idea, significando entrambi la conformità cdV ordine delle cose. Che cosa è il bene sensibile? Tutto ciò che conduce alla nostra conservazione , al nostro benessere ; tutto ciò che ci arreca piacere , ogni forma di bene relativo e fini¬ to, ogni mezzo di felicità , in somma 1 utile. E si noti qui! estesa intelligenza noi leghiamo a questa espres¬ sione. 80 FOmVlLEKTf BULLA FILOSOFIA DEL DIRITTO Insistiamo fortemente sii questa sostanziale difFcren- m } perocché alcuni moderni scrittori, per accreditar la teoria di Bentham , limi cercato provare la perfetta iden¬ tità tm il giusto e Yuttìo b Primamente il bene monde omsóhitù trascende V ordine de'senri, nò può e-serr sen¬ sibilmente percepito: Videa del giusto è nell attiriti spontanea dell 1 io pusante: essa, al dir di un illustre filòsofo vivente 2 , e una delle glorie dello spirito un intuì. Per contrario Videa del lene eeimlita non può esser mai uno spontaneo prodotto dell'intelligenza senza, l'ufficio de’sensi e dell’esperi mm materiale. In fatti, dulie cose innanzi discorse può raccogliersi che Vuoimi, anche senza far uso del criterio sensibile, potrei dm acquistar la nozione di qualche nfficio puramente morale, come per es. del rispetto e della gratitudine dovuta, alV Essere Infinito: ma potrebbe similmente acquistar Videa di un piacére de' mm? Certo che no. Se cium pio i mezzi di cognizione di due obbietti sono di natura essenzialmente diversa, tali debbono essere gli obbietti ancora. — Se¬ condamente, se questi obbietti fossero identici, Vmi di essi non potrebbe coesistere nei medesimo soggetto col termine contrario dell 1 altro, per viriti del principio di contraddizione che no ' l consente : or nel fatto coesistono in una stessa, aziono il male morale col lem sensibile * coinè all ondi e taluno, a soddisfare il piacere c "l deside- no di vendetta (bene seimhiìe ) , spargesse Y altrui san- guè morale), o per atrieehirsi fraudale un suo sìmile dì ciò die gli apparteneva : e coesistono all'Op¬ positori nude sensibile col bene morale, come quando 110111 costretto a ferire o percuotere il suo ingiusto aggressore {mah sensMe) per difesa legittima rii & ^fesso (Ime morde). E poiché la relaziono d’identità ìtl t im 0 Ij^iettì include necessariamente, e sempre, la 1 XI Say tra gli altri. 2 Corsi n. E SINGOLARMENTE DEL DIRITTO DI PUNIRE 81 presenza deir uno nell’altro, farebbe mestieri benanche che fosse impossibile scompagnare il bene morale dal bene sensibile , e ’l male sensibile dal male morale . Pure è certo che l’ateismo o il perverso pensiero di un par¬ ricidio sono gravissimo male morale; e l’amore ed osse¬ quio all’Essere Supremo, o il vivo sentimento di carità di patria, purissimo bene morale, senza che traggali seco loro manifestazione alcuna di male o bene sensibile ; ed al contrario la morte di un uomo per causa di un ful¬ mine, o l’omicidio casuale, offrono l’idea del male sen¬ sìbile senza mistura di male morale; nudrire poi un fan¬ ciullo indigente , ed allevarlo tra gli agi e le comodità della vita, corrompendogli il cuore ed inspirandogli im¬ morali massime, sarebbe praticare un bene sensibile senza congiungervi il bene morale, anzi commettendo una mo¬ rale perversità. Concludiamo quindi, essere evidente la diversa rea¬ lità tra il bene o male sensibile, ed il bene o male mo¬ rale ; poter Y una trovarsi divisa dall’ altra specie di be¬ ne ; e nulla avere i due fatti di costantemente comune tra loro. Mi è convenuto intrattenermi alquanto nell’analisi di questa verità, benché sì semplice e triviale in appa¬ renza, perchè sembrami poco avvertita da’partigiani esclusivi de’ sistemi della giustizia assoluta e dell’ utilità, donde la sorgente de’ pugnanti errori. E voi stesso forse pagate un tributo a questa comune sentenza, allorché, indagando la relazione che passa tra il male morale ed il fisico, per ispiegare il patimento fisico della pena inflitto in ragione del male morale del delitto, affermate esser la strettissima ed immediata del¬ ti effetto con la cagione, perchè il male morale in tanto si manifesta in quanto è cagione eli medi comuni sensibili, e perchè da ultimo non v’ha bene, secondo il Pallavicino, 6 82 FON$plENTI DELLA FILOSOFIA DEL DUI ITT essersi m alcuna relazione di dritto, pt E SINGOLARMENTE DEL DIRITTO DI PUNIRE 85 senza ragione e senza libertà non potrebbero osservare e rispettare alcun diritto. Contro gli altri uomini ? Ma nella ipotesi non si sa se ne esistano. Dunque è chiaro, che non può concepirsi relazione di dritto, se non tra due uomini per lo meno. Il che importa, che Vuomo in¬ dividuo basta al sistema della Monde : la società di più uomini ò necessaria al nascimento del Dritto. Ora, ravvicinando tutte le enunciate idee, sarà facile, quasi per conseguenze spontanee dalle medesime, con¬ trassegnare le moltiplici condizioni che fan diversa la Morale dal Dritto. Essi differiscono come l’ anima dif¬ ferisce dall 'uomo, come il bene monde dal bene umano, cioè composto degli elementi morale e sensibile. E per ridurmi a forinole scientifiche, la diversità consiste : 1. ° Nell’ obbietto. Il Bene Assohdo, cioè la Perso¬ nalità Divina, lo è della Morale: il Pene relativo e finito, cioè la Personalità Umana, lo è del Dritto. 2. ° Nel fine dell’essere imputabile. La Morale vuole che il dovere sia fine a sè stesso, che l’uomo faccia il bene perchè bene, e fuori di questo fine assohdo essa non è soddisfatta, ancorché si facciano le azioni utili ai nostri simili. Il Dritto ciò non richiede, ma che si fac¬ cia il bene ancorché per un motivo sensibile, come per timore, per interesse, per forza. 3. ° Nella condizione. La coesistenza di più uomini e quindi la società, sia comunque limitata ed imperfetta, è una condizione necessaria all’esistenza del Dritto. La Monde regnerebbe, anche quando non esistesse che un sol uomo. 4. ° Nell’ estensione. La libertà interna , e gli atti esterni nè utili nè dannosi alla società degli altri uo¬ mini, non possono entrare che nel dominio della Mo¬ nde. La sola libertà esterna, ed in quanto produce idile o danno agli uomini, cade sotto la influenza del Dritto. 86 fondamenti della filosofia del d imito 5. ° Nel c rite ino. La sola Ragion*- lo è della Murali : la Ihgionc ed i Bensì debbono esserlo del Dritto . 6, ° Nella natura dell* obbugazione. 11 concetto della oìMìgamm dica , Ossia della morale, è semplice e non graduabile: quello della ohUìgimoue giuridica {officimi jttrìs) è composto e graduabile. 7/ Nella sanzione. La Morale non ammette costrin¬ gimento fisico da uomo ad uomo: il Dritto legittima l’uso della forza. 8a Nell’ effetto. La Morale non mira ad altro che alla conservazione dell'ordine ideale o del Bene morale ; senza poner mente agli effetti di utile o danno semibile, che derivino dall'azione: fìat jnstitia , et pereat mnndus: essa potrebbe dirsi la scienza del bene antecèdente nel- Vanimo dell’essere imputabile. Il Dritto, senza contrariar Lordine morale } mira precisamente a questi effetti sen¬ sibili delle azioni, in quanto manifestano Y elemento mo¬ rale; cioè mira al bene conseguente. Che cosa bau dunque di comune la Morale ed il Di¬ ritto? Nuli’ altro che la materia del Bene } ed il smm ietto dell una e 1 altra specie di obbligazione: V Uomo* La ragion di essere di entrambe! è differentissima, non per gli accidenti, come voi pensate, ma per la so - stanm e gli elementi costitutivi. Quello del Bene Asso¬ luto ì o della giustizia assoluta è la ragion di essere della Mov ale. Ma non può trovarsi la ragion di essere del Dir nido, che nell unione de T due elementi della morale e dell i tutta, da quali si compone la Giustizia Umana o Sociale, . ^ ' ( j lim i lie tanto declamato da 1 fautori del prioei- pnj moia e e dell utilitario, accusati do si a vicenda di nuttenaksmo, e d idealismo, Tuga costoro mutilarono la natura umana : chiusero gli occhi alla luce: videro o il spu do o il solo corpo ; e non conobbero la necessita E SINGOLAXtjM10$TE l'JHL DIBITTO DI PUNIRE 87 metafisica di ammetter r armonia ili due elementi, che ulTuna ed all' altra parte deir uomo corrispondessero. Nel Dritto avviene perciò la l'elice alleanza della ra¬ ti io ne e de' sensi , d el reale col 1 r ideai e , d el 1 e c olio s ce n z e a priori e delle sperimentali, della virtù e. della felicità ; e tutto per lo scopo del bene della Personalità Umana, considerata come mista dell* elemento morale e del sen¬ sibile: Eli ecco come nella sorgente stessa dcdla nozione del Dritto la filosofia e la storia , i principi! ed ! fatti, manifestami e guai m ente n ee e ss a rii, E non vi spaventi questa sembianza di ocelot!teismo che imprlmesi in siffatta guisa alla nozione del Dritto. Io non combatto già per le parole: e di più, sebbene io creda che grande obbligazione la filosofia tener de 1)1)a verso gli studi i promossi dal moderno Epdettidsm% pure non oserei chiamarmi responsabile, di tutte le teoriche, di un sistema qualunque, appunto perchè è un sistema. Ma non neghiamo il fatto, e siate libero di chiamarlo col nome che meglio vi aggrada. E che il fatto della con¬ giuri zio ne del giusto in se e dell'utile nella composizione ideale del Dritto non possa da voi venire impugnato, mi argomento a sperarlo da due luoghi delle vostre stesse Lettere, In uno dei quali dite che la sostanza del Dritto Eterno e Divino debba venire equamente ed imi .mente assestata a 7 bisogni della società ; ed altrove, che affili di mettere le vostre astratte teoriche morali in contatto colla società- umana, vi è stato mestieri andar contem¬ plando benanche le Uggì (MI 7 istinto individuale ncW or¬ dine relativo , ed armonizzarle con la Legge Suprema, Chi non vede che, vostro malgrado, avete dovuto con¬ cedere aH:elemento (ìo\Yutile un posto, sia pur secon¬ dario, nella vostra Filosofia del Dritto ? E può giudicare (dii guardi ne'nostri fondamentali concetti, se esso a]> 88 FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO partenga già sdY arte o alla scienza. Tale è il potere del vero sulle menti che con sincerità lo cercano, da mani¬ festarsi in quegli stessi ragionamenti che son rivolti a negarlo ! II. Definizione della Legge. Si definisca quindi (voi avete soggiunto) la Legge Morale un comando autorevole ed obbligatorio : e per¬ chè è Legge Suprema, anzi è la vera e la sola, da cui per partecipazione riscuotono tutte le altre il grado délV auto¬ rità loro, diremo esser questa la definizione vera ed uni¬ versale della legge. Siami lecito osservare che questa definizione si tro¬ verebbe imperfetta anche per la legge morale, senza le spiegazioni precedentemente da voi date sul senso in cui adoperate la voce Autorità, cioè della superiorità ef¬ fettiva della sapienza, della bontà e della efficienza som¬ ma, intesa all attuazione del Bene. Con questa dichiara- zione si comprende, che la nozione del Bene è di neces¬ sità insita nella Legge, come l’unica causa della forza o ligato ) ta della medesima e del morale costringimento tv 6 amane coscienze ; e °h e in tanto ogni comando di io e egge morale, in quanto è impossibile che un Es- seie m untamente perfetto ed assolutamente buono co¬ mandi il male . Quindi gli esseri liberi creati al bene, co¬ me a fine cui naturalmente debbono tendere, ricevono 1 V° r p ° ia ? bl '^“e di uniformarsi ai comandi del- dare i\male ^ asso ^ u ^ amen te impossibile coniali- soluto' 0 ]!] 1 E 1 "!' 1 " " oblre che ’ Piando dall’Essere As¬ soluto ed Infinito a’relativi e finiti, doC , agli uomini, E SINGOLARMENTE DEL DIRITTO DI PUNIRE 89 capaci di volere e di comandare il bene come il male, il fatto solo della superiorità e della esistenza del comando non è più sufficiente ad ingenerare una universale ob¬ bligazione. Ciò si prova: 1. ° Dalla ragione e dalla libertà degli esseri intelli¬ genti, a’quali la legge è data con la loro destinazione al bene. Se ogni comando di un superiore partorisse ob¬ bligazione, e fosse legge, anche quando spingesse l’uomo al male , la ragione sarebbe inutile, e la libertà contrad¬ dittoria nell’ uomo. Anzi la liberta data unicamente per seguir volontariamente il bene, rimarrebbe distrutta dalla cieca universale obbedienza al comando ; o non potrebbe esser conservata alla sua naturale e morale destinazione, che con l’infrazione della legge. In conseguenza, il ri¬ porre l’essenza della legge nel solo comando del supe¬ riore menerebbe inevitabilmente alla distruzione o della libertà umana, o della legge stessa: 2. ° Dalla relazione di causalità tra le idee di bontà e di superiorità. Imperocché la seconda evidentemente esce dalla prima, ma la prima non può procedere dall’altra. In fatti, nell’ ordine morale il buono per la sua qualità di bene è razionalmente superiore al meno buono ed al cat¬ tivo : ma non può dirsi già che il superiore per la sua superiorità sia più buono dell’ inferiore. Nella sola supe¬ riorità assoluta di Dio si riuniscono tutte le superiorità possibili, e quindi in primo luogo quella della bontà: ma si consideri, che non può ammettersi alcuna rela¬ zione di causalità ed anteriorità tra i varii attributi del- l’Essere Infinito, che tutti coesistono eterni ed in egual grado, altrimenti égli non avrebbe natura assoluta. Chè, se fosse lecito introdurre una immagine di simil rela¬ zione nelle qualità dell’Essere Supremo, sarebbe al certo più razionale il dire, essere Iddio supcriore all uomo 90 FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO perchè racchiuda la bontà e la perfezione in grado infi¬ nito, che il dimostrarne la infinita bontà e perfezione dalla sua superiorità all’uomo; potendo così al più per¬ venirsi a provare che la Bontà di Dio debba esser mag¬ giore di quella degli uomini, ma non già che debba es¬ sere infinita. Ragionandosi da noi però della relazione tra le accennate idee negli esseri morali finiti, sembra evidente potersi dire, la bontà essere per sè sola una su¬ periorità, ma non al contrario la superiorità costituire da sè sola un’ombra di bontà . E per conseguenza, ripo¬ nendosi la essenza della legge nel fatto della superiorità di colui dal quale emana il comando, si coglie un ca¬ rattere puramente estrinseco e secondario, e non rac¬ chiudente l’altro, veramente essenziale e necessario, della natura e della materia del comando, che dev’es¬ sere il Bene, e nuli’altro che il Bene : 3.° Dalla natura necessariamente relativa della idea di superiorità (che suppone un inferiore ), ed assoluta dell idea del Bene, per quel che ne abbiam detto in¬ nanzi. Come dunque potrà definirsi la legge, in cui si contiene 1 elemento assoluto del bene, con una voce in¬ trinsecamente relativa? 0 all’idea di superiorità vorrà aggiungersi quella del Bene, come costituente la vera superiorità del legislatore, in quanto si propone un tal ne ; ed allora è chiaro che l’essenza della legge consi¬ sterà nell’idea del bene, come causa della superiorità , e pero di necessità antecedente al suo effetto: autorità. sarà meno una legge universale il 91 K 3ISS0IAE3&HTE DEL DIRITTO DI PUNIRE rispetto iella vita altrui? E comandi egli in vece {'omi¬ cidio . il furto , la rapina : sarà meno una legge 1 * astenersi da siffatte azioni? Dunque la definizione data, esprimo la mctterkdifà e non la- moralità di una. legge, e quindi scambia nuovamente la sostanza intrinseca yetY acciden¬ tale ed estrìnseca. V'ha di più: nè anche la materialità «Iella legge racchiude sempre un coniando : come si av¬ vera in ispecie in tutte le leggi semplicemente dichiara¬ tive di un diritto, pari a quella che, a mo'd'esempio, dicesse: ciascwi uomo è libero ih difender la propria vita in pericolo: in questo caso india e comandato, tutto è ri¬ messo alla libertà dell’ nomo, e V lia legge senza comando. Di qui la nota distinzione delle scuole tra le leggi pre¬ cettive , e dichiarative; 5 .» Dalla possibilità di contrarii comandi da parte di uomini, i quali contemporaneamente credessero aver ti¬ toli di autorità a far le. leggi. Ma la nonna delle azioni umane dev’essere una ed immutabile. Sarebbe permesso il ritenere ad un tempo come legge il comando di ucci¬ dere e di non uccidere? Dunque nel conflitto di conti ai ie autorità (conflitto, che Y individuò è incompetente a de¬ cidere), egli seguirà il comando che gli sembri conducente al bene, e quindi non obbediva al comando, ma al bene. E perciò l'unica e vera legge dell’umanità dev’essere quella del bene ; e non può ammettersi una definizione che esporrebbe la legge ad urtare nello scoglio del prin¬ cipio di contraddizione: 0." Finalmente il comando non produrrà mai obbli¬ gazione morale per se, come non può produrlo la forza. ] n ima s0 la guisa l’uomo si sentirà obbligato dal comando, in quanto c°ioè questo sia conforme all'idea del Itene, cioè della giustizia e del dritto, quale è inerente nell u- maria natura. U2 FOSDAMEST l BELLA FILOSOFIA BEL DIBITTO Da tutto ciò sembra giusto il conc Illudere die la de¬ finizione tla voi proposta della Legge possa soltanto va¬ lere colle vostre spiegazioni per la Legge Morale f attesa la natimi assoluta ed infalli 1 >ile del Su|iremo Imperante dell’uni verso. Ma quanto alla Legge in genere, cioè com¬ prese quelle die sono fattura dogli uomini, essa defini¬ zione non soddisfa, a mio credere, a tutte le esigenze della scienza. Essa dice ciò die in ogni legge puh e suol essere nella forma (poiché nò pure ogni legge, lo nliliiam detto, deve aver forma di coniando) : ma non dice ciò che la legge dm' essere per necessità di essenza, per meri¬ tare di esser rispettata e riguardata come tale. Vn le¬ gislatore che con tal definizione si consigliasse, non do¬ vrebbe dire a se stesso; debbo io vietare o comandare tale o tal altra amami, cioè: il mio et marni o sarà una legge a un atto dì violenza? : ma domanderà solamente: ho io su¬ periorità su i miei soggetti? Se Vino , ciò ha sta ad obbli¬ garli: non debbo darmi altro pensioni al mondo: anche i mìei capricci espressi in forma imperativa saran leggi! Qual sarebbe, se non questa, la legittimazione del di¬ spotismo e ridia tirannide? Platone riferisce aver Trasimaco definito il giusto (punì potentiorì placet ? ed Ilobbes ripose il principio della mestizia nella potènza* Temo forte potersi scorgere nella proposta, definizione scambiato il vocabolo patema in puc o di autorità, a meno die per costituir l' autorità non si nchiegga prima l’idea del bene e del giusto; nel qua caso si darebbe luogo ad un véro circolo, dicendo essere bene e giusto ciò die è comandato daff Autorità, 1 la bontà e Vc^cimm intesa alV at¬ tortone u ene, cioè il bene ed il giusti^ stesso. Sia ^cnza intrattenermi di vantaggio su queste osser- szicm, mi Listi il rammentare die una quasi simile E SJKGOIiAEMEKTK DEL DIRITTO DI E UNIRE 93 definizione, fiata dal Puffendarf \ venné lungamente còli- lutata dal profondo ingegno del Leibmt& c on ragioni so¬ lidissime , eie superfluo stimo ripetere ed aggiungere alle esposte di sopra: e tanto stette fermo quest’ultimo in tal sentenza, ohe per l’identica considerazione trovò cen¬ surabile una dissertazione pubblicata nel 1669 ani Prin¬ cipio del Dritto., benché questo si riponesse nel Uivhw Comando: Principimi juri esse Jussuu Creatori?. Mou è questo il luogo di proporre alcun’ altra defi¬ nizione della Legge, non volendo anticipare lo materie della mia seconda Lettera, ITI. Genesi de’ Diritti e de’ Doveri. La relazione di diritto e di dovere è quella die passa fra la legge e Z’essere intelligente imputabile. Chiun¬ que partecipa (0autorità della legge, partecipa ni suo di¬ ritto. Così vuoisi dire dell' indignile, ch'egli ha buon di¬ ritto d’esser sovvenuto dal ricco, stantecihè egli èia materia. in che s’adempie il minando della legge. Perciò ogni di¬ ritto si origina dalla legge suprema cd ogni dovere del¬ ti-uomo; ma i diritti sono neW uomo per trasmissione, . i doveri per piroprìa natura sitlordincita. E se il comando è di sua natura anteriore all'adempimento, e se il diritto è da Lio, ed U dovere è dell’uomo, ne segue che il di¬ ritto antecede logicamente cd ontologicamente al dovere , cd il primo ha natura assoluta, il secondo relativa. Ma gli uomini non hanno in sè c per sè d-t.ritti anleììoi ì a do- i Le* difiiihur Decretwm (ecco il mnamla], quo mptrior (ecoo Vautorità. efl Miche I'uficudorf eopàderh Dio come fonte di ogni superi oriti) siti mt- bitdurn oHigat (ceco la forza, oMWtoriu). ni ad cjus prmscrirhtm «tttatt smas ctnnpùiutt. 94 fondamenti della filosofia del diritto reri, non retti, ciò che ripugna quanto il dire un retto obliquo. Il diritto è intrinsecamente giusto, se è conforme alla natura M soggetto cui si appartiene. K perciò le leggi diconsi fondate nella natura delle cose, perche in essa nietton radice i diritti ed i doveri. Quindi f che aia la dalla natura della Personalità divina si deducono 1 do¬ veri della morale, e gìrimproprii diritti o meglio 1 au¬ torità di Dio a. chiederne Y esecuzione : e la Légge Mo¬ rale non è che hi manifestazione infallibile di tal sistemi) e della influenza di questi su quelli. Dalla natura poi della Persomlità umana similmente derivano i diritti e §$veri. giuridici; e quindi le leggi naturali ^ e le positive che discostar non si debbono dallo naturali, perche da ultimo non può esservi diritto o dovere umano legittimo che sia contro o fuori la natura doli" uomo. 11 Diritto adunque è sempre ima qualità inerente alla natura del soggetto intelligente e libero: qualità buona* e conducente al bene. 11 perche tra gli antichi filosofi, anche i più ardenti seguaci del principio morato (come Cicerone ) dissero, doversi ripetere la genesi de dir itti deWuomo dalla Natura, e tutto spiegare con la scorta di questa 1 : ottima scorta, e degna di esser seguita ed ob - hedita, del pari che sì obbedisse a Dio 2 . Dio è in fatti T autor della natura, la quale, come disse FAf loiUERi, lo suo corso prende IhiL divino intellètto e da sua arte'. 1 Rtspitmn siijipuM jusis a Natuha. duce noM$ onvriis est disputali*} txpUcandtà. — Ha U$. 1. fi, 2 Nàtdilvm . opti tri o>fi thwm, ùmiputtn Emiri, seqitimir. ciqu-& pavemus. — IH Beimi. — Ed il Peteaica disse ; ChD obbedire 11 ÌSatuiea In tutto È roegLii, j; mmOl.AiLVOTb DEL bllùlTTO DI DI’NIKE e per conseguenza ninno degli clementi naturali della Farso^iià mima merita esser dimenticato o rigettato dalla nozione del Diritto: nè il far discendere gli umani diritti tank dalla parte morale che dalla sensibile della Natura de 11'nomo corrompe e falsifica la loro lègiUkwitù. Perciò il Palla vicinò), filosofo die voi nominate con giu¬ sta riverenza, non ripose altrove il criterio e la bas< di ugni di ritto, die in ciò che è conforme all' UMANA natura. jij dunque chiaro die il diritto dell uomo antecede ad ogni leg$e umana , come il diritto ossia 1 uo dori tu é 1 in¬ finita efficienza di Dio, è da concepirsi antecedente alla legge morale che da quel sommo diritto o autorità sca¬ turisce* La confusione del diritto con la legge non può dei i- vare che fiali' abusivo significato dato alla parola Diritto di esprimere talvolta un complesso di leggi; ma traspor¬ tar dal linguaggio dd pratici alla scienza indistintamente ogni voce con tuttii significati di cui è suscettiva sarebbe io stesso che pretendere di fondar la scienza sull uso e P ignoranza. Da ciò vieti dimostrato quel che debba pensarsi della inane quistione negli ultimi tempi dibattuta, se ad ogni dovere coirisponda un diritto ^ o vi siano doveri senza di¬ ritti corrispondenti. Ambe le opinioni hanno un lato di verità. Imperocché, se diasi il nomo di diritto alla su¬ prema autorità morale di Dio, ne conseguiterà che tutt' i doveri riferì scolisi a diritti T poiché a. tutt i dovei ì dello morale risponderanno i diritti dì Dio a doni andarne Padempimento* Ohe se ni contrario il filosofo si restringa, u, contemplar la. generazione de’ diritti e de doveri nel circolo dell 5 inn unità, senza, considerar Dio che soltanto come r autorità suprema di tutto il creato, ulloia saia 7 98 FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO forza assentire a coloro, i quali dissero la morale un te¬ sto di doveri senza corrispondenti diritti, perché in realtà in mima personalità umana saprebbero discoprirsi i di¬ ritti relativi all’ adempimento della nuda oWigazion mo¬ rale ,, essendo tutti gli uomini nella condizione del do¬ vere morale. E questa distinzione vuol esser riprodotta nell’altra quistione: se il diritto antecede al dovere, o questo a quello. Chi nuovamente chiami diritto l’imperio divino, dovrà ammettere che di tanto esso anteceda al dovere, di quanto Dio all’uomo, e l’imperio all’adempimento. Ma chi guardi l’uomo solamente, e’ dovrà dire che nel rispetto ontologico nè il diritto al dovere , nè questo a quello anteceda, spuntando entrambi dalla stessa na¬ tura umana; ma che nel rispetto logico sia il dovere che antecede al diritto, giacché i doveri trovansi senza cor¬ rispondenti diritti umani nella morale, e questa ha esi¬ stenza logica anteriore al diritto, il quale è informato dal beìie morale come da un suo specialissimo elemento, nè può aversi idea perfetta del diritto senza aver prece¬ dentemente quella del bene morale da cui vengono gene¬ rati i morali doveri : nell’ordine reale poi comincia in¬ dubitatamente nell uomo prima Y esercizio eie 9 diritti e, poscia quello de’ doveri , perchè il diritto esiste anche senza che il soggetto in cui risiede ne abbia coscienza, ma il dovere non è efficace che dietro lo sviluppamento della ragione: così il fanciullo ha diritti, e non è tenuto ancora all esercizio de doveri. E per necessaria illazione ( a c ^ff ere nze segue inoltre, non potersi generalmente a cimare con voi che il diritto abbia natura assoluta, 6 ì ovcì e relativa. La sola autorità morale di Dio, c e notammo potersi impropriamente appellar diritto , partecipa della natura assoluta del soggetto in cui ri¬ sme e. come di natura assoluta è pure il dovere esclusi- E SINGOLARMENTE DEL DIRITTO DI PUNIRE 99 morente morale dell’uomo, atteso Y obbietto ed il fine assoluto: ma i diritti umani, ne’ quali entra l’elemento del bene sensibile essenzialmente relativo, han tutti una parte relativa, egualmente che i doveri giuridici ad essi corrispondenti. E questa infinita varietà di rapporti, che nelle scienze morali e giuridiche può tramutare senza le debite distinzioni qualsivoglia proposizione vera in falsa ed inesatta, è la precipua cagione delle immense difficoltà di questi studii spinosi, e delle interminabili deputazioni e contrarietà di sentenze che sovente mi¬ nacciarono d’involverli nelle tenebre dello scetticismo. Ma tornando per poco al punto da cui ci dipartimmo, essendo dimostrato che i diritti dell’ uomo sono nella stessa umana natura, e tendono a conservarla mercè la effettuazione del bene morale e del sensibile che concor¬ rono a costituirla, non può in alcuna guisa concedersi che i diritti siano nell’uomo per trasmessane dalla legge morale o divina, e che non nascano con lui. 0 vuole con ciò intendersi che il diritto umano nell’ esercizio della sua attività deve rispettare la legge morale, ed informarsi dell’elemento del bene morale; ed allora nulla si dirà che da noi pure non sia detto. Ancora se piaccia aggiun¬ gere che la natura umana è opera di Dio, e che quindi i diritti che da essa germogliano han causa da Dio, sani 10 stesso che obbligarci a convenire che tutte le cose di questo mondo finito possono riportarsi all Essere Su¬ premo ed Infinito, come alla loro prima e lontana ca¬ gione. Ma se poi stabilir si voglia (come sembra) che 11 diritto sia una esclusiva emanazione dell’ autorità della legge assoluta , e che, senza combinazione veruna con l’ele¬ mento relativo e sensibile^ tener si debba come una pianta di cui sia seme il solo elemento morale , non sappiamo partecipare a siffatto pensiero. Chè un tal principio al¬ largherebbe innanzi tutto la sfera del Dritto sino ad 100 FQ3DA31ENT1 II HI, LA FILOSOFIA BEL MlllTTi) uguagliar quella della Morale, e tenderete di nuovo fi confondere due cose distinte. Poi, eonsidoiwadosi laZe^r come un comando autorevole* e non potendo gl interiori JlY er comando ed autorità su i maggiori di loro , rimar¬ rebbe inconcepìbile qualunque diritto ìsx essi interiori Terso i superiori, e però non tutte le sporto di diritti sarebbero spiegate con questa maniera di ragionare, Di più, come può dirsi che il diritto sio una parte* ipanom¬ ali? autorità della legge, «a prima dimostrare elio Vau¬ torità delta legge sia mnuniea'Me agV wtìiruìui t e che ogni individuo quindi contener possa in se Yautorità del legislatore? Il che ripugna, io credo, ad (igni possibilità tli dimostrazione, e sovverte tutte lo ideo del reggimento civile finora ricevute. Nò meglio risolve la ditliceità il dire che la materia in che si adempie il comando delia legge riceve la partecipazione del diritto die alla Legge medesima si appartiene. Con questo argomentare, allor¬ ché la legge ordina rispettarsi 1*altrui campo, c non in¬ cendiarsi r altrui casa, converrebbe riguardare il campo e la casa come partecipanti (Mautorità tirila legge 7 ed in conseguenza aventi diritto, non potendo dubitarsi essere 1 uno v l’altra la materia in che il comando delta legge si adempie ,Tutte queste forinole adunque riescono troppo inesatte, per non dir altro, a spiegare ruma \ autorità infinita della le no e morale partecipata, senza alcun al¬ tro elemento sensibile ^ si. trasformi nell’ autorità finita del luritto : e quale esser possa il visibile anello che congiunsi il relativo all'assoluto, e quale il criterio degli umani diritti, to stuellò questi non dall’umana natura, ma interniti ente dal seno dell'assoluto, uopo sic derivare. 1, cresce di lunga mano la forza del l'argomento nelle materie del Diritto pubblico: nelle quali volendosi ripor¬ tine il diritto d imperare alla trasmessione divina della pene sta, si ead e d i n e ce s s ìt à, s e n z a for s e voi c ì d o no no 1 a j E SIIfGGLABMEJffTE DEI. DIRETTO DI PUKIEE 101 pensarloj nel sistema teocratico: e si accusa la legge suprema della più grave inconseguenza ed ingiustizia, ili poter cioè privilegiare alcuni individui o alcune fa¬ mìglie per siffatta trasmission di potere, quando tutti gli uomini al suo cospetto sono unità morali di una perfetta egttal i ta. ( i al 1 ' op|} o s to si. vien e a con t o j id ore il (ì%r* f io col fatto, reputando delegato da Dio e nel diritto di co¬ mandare chiunque governi una società, sol perchè nel fatto la governa, e comanda. Così sarebbe distrutto ogni sempre legittimo governo, ovvero qualunque governo di fatto sarebbe legittimo; imperocché, qual significato aver potr ann o nel codice delle nazioni le parole di molenda e dì usuvpctgioytc, se an eli e le dinastie clic si as sisero | un somigliante origine su i troni della terra in tanto impe¬ rarono , perchè ebbero da Dio trasmessa la potestà? h per la stessa ragione i diritti degli uomini verso i capi della società crebbero ridotti a tacere sotto qualsivoglia oppressione o immorale reggimento: e la libertà de po¬ poli resterebbe annullata nella storia morale e politica del mondo. Quale analogìa e somiglianza inoltre può ravvisarsi negli attributi , ne mezzi e nello scopo del- lauto rità il ivi. n a e dell 1 uni an a ? Xes sana ceri am ente . Come giudicare tra due che si contendono 1 imperio, (piale di essi vi abbia- diritto, se non potrà sapersi a quale di loro Dio abbia trasmesso la potestà d’imperare? Quali saranno i segni di tal divina, concessione? il volere dei popoli, la conquista, rinvestitura sacerdotale, 0 la suc¬ cessione ereditaria,? e quali nel conflitto tra questi spesso discordi titoli? E qual sarà il confine, di quest’autorità, trasmessa da Dio, se essa in Dio si estende quanta la potenza, e può fino sos pender le leggi della natili a? t he se l’autorità de 5 terreni governanti altro non fosse fuor¬ ché V autorità stessa di Pio in loro trasmessa, non sa¬ rebbe d’uopo coucluudere die ad essi ogni libito fosso licito t e la misura del loro diritto esser la potenza, si- 102 fondamenti della filosofia del diritto nomino della forza ? Queste lontane cnnsepueoaff del principio mettono spavento* Insoinraa, io veggo un abisso immensuiiLhile ih 1 pas¬ saggio dall'autorità assoluta di Dio, legislatore eterno, buono ed infinito, a quella relativa peccabile e finita bel legislatore umano.L autorità di Dio e tale, die non può ^ risiedere in altro soggetto T Inorobè nel 1 tasserò infinito. e però è imomunkalMe. Negli uomini poi non può con¬ cepirsi altra autorità che quella della ragione , e questa autorità è la stessa in tutti gli uomini. Ben c vero die alcuni tra essi primeggiano per virtù e per prudenza ci¬ vile : ma con buona pace del Gravina, io non su come ammettere in loro un. la. p o s - sibiliti* < ed essere per varie ragioni impossìbile al pri¬ vato riparar l'ordine perturbato dalla impunità, eserci¬ tando la solenne giustizia che retribuisce il male per m ale : quia di essersi t r a. s fé ri t o t al d i li tt o n o 11 a s oc i e tit. Al che io rispondo chiedendovi se intendete parlare iV impossilnlìtà costante ed assoluta, ovvero di un impos¬ sìbile relativo ed accidentale t che riguardi il maggior nu¬ mero delle volte, ma pure ammetta contrarie eccezioni, fi, nella prima ipotesi, io non veggo come conciliare tra loro queste due vostre proposizioni: ogni private ha il diritto dì retribuire nude per male , cioè di punire : è as - sohdmicnie e e ostante mente impossìbile al privato eserrì- tar la solenne giustizia che retribuisce il male per nude. 0 dovrà ammettersi, a, dispetto del principio di con¬ traddizione, resistenza di diritti assolutamente impos¬ sibili, vai quanto dire che esista quel che ha impossi¬ bilità ed inutilità di esistenza, o converrà rinunziare ad una delle cerniate proposizioni. Nel!’ altra ipotesi poi, voi attingete la impossibilità dalla mancanza di suffi¬ ciente potenza coercitiva nel privato, dal difetto dà mezzi che richieggo usi a garantire la rettitudine del giudizio circa la pruova del reato e dèi reo, e dal non potersi molti privati reputare affatto innocenti a fronte della legge: ma la società sola, .affermate, aver forza e mezzi, ed es¬ ser innocente ed integra, considerata nella sua persona morale, il perchè a lei appartiene giudicare e punire. Ma poiché la ipotesi è di una impossibilità relativa, la quale ammette pure qualche eccezione: e poiché è cor- 112 ramuunori della filosofia del di ritto tissimo esservi nelle società costituite individui potentk- mn, come t capi degli eserciti e delle masse popolati, ed individui inteMgmitissmi, ovvero casi di specchiata prora della reità e de T rei, ed individui similmente di morale Mutata ed esemplare * cotesti privati, trovandosi iti tuli casi nella possibilità dì giudicare o di in andare ad esecuzione Ì loro giudizi b avranno dunque indubi¬ tatamente il diritto di retribuir male per mali!, e di eser¬ citare la facoltà, di punire innata in ciascun uomo, E quindi in mia società, dove un solo ili tali individui sì rinvenga, o il diritto di punire non sarà ad essa trasi e- rito, o sarà tra 1 T individuo e la società conteso. Giudi¬ chi ognuno della regolarità di tali illazioni. Quanto a me, io credo altresì, le condizioni da voi enunciate non esser punto essenziali alb esercizio del diritto dì punire. La potenza ola form che mai aggiunge in fatti al diritto? Nulla, se non vogliamo raccomandar le idee di Hobbes, che proclamo la forza madre del di¬ ritto. Che mille ribelli o masnadieri si presenti un in un borgo, dove si trovi un pieeoi numero di giudici inermi ed impotenti: direni noi forse die in costoro e cessato il diritto di giudicare e di emettere ima condanna con¬ tro a que’malviventi, perciocché mancarlo della forza necessaria a farla eseguire? Dicasi lo stesso del difetto de’ mezzi conducenti alla piena prova del reato e del reo, jfpn obbedisca la po¬ polazione a questi giudici, ponga ostacoli agli esperi¬ menti ed alle investigazioni che essi tenteranno di feto per raccogliere le prove del fatto criminoso, non per¬ metta alla maggior parte dd testimonii di presentarsi al loro tribunale, Hi vuol di più? non sì ubbia che un sol testimone, il quale dia qualche cenno doli' avveni- mmio. La prudenza e la morale consigliano , non v’ ha < tedio, in tal caso a quo' giudici dì astenersi dal con- E SIN00 L A ESENTE DEL DIRITTO DI PULIRE 113 dannare : ma ciò non e lo stesso die dire, esser essi per ciò solamente divenuti privi di gmrÌsdhiom 7 perda* non possano disporre di l.utt'i consueti mezzi di pino va. Anzi credano essi degnissimo di fede runico testimone venuto al loro cospetto, si convincano del reato e de] reo, pro¬ nunzino quindi una condanna: chi potrà a questa con¬ traddire da! lato della giurisdizione de’ giudici ? Ninno al certo. Da ultimo estranea affatto air esercizio del diritto di punire semiira la ricerca deir i^vmmiBa del giudice e punitore delle morali offese. Non so già concepire conte mai la Società possa riguardarsi innocente ed ìntegra e scevra dì umiliazioni e di affetti disordinati, a fronte de¬ gli indivìdui che son fochi in rondinone caduca epcmabMc verso dì hi. Se la Società non ò die il complesso degli individui, non so in verità pinti altra idea diversa noni possa formarsene. Essa dunque riunisce in se ì falli di tutti gl 1 individui: e però, tanto è più colpevole di cia¬ scun individuo, quanto le colpe di milioni di uomini su¬ perano quelle di un solo. Sicché, sé dovesse attendersi a questa condizione, V esercizio del diritto di punire ri¬ pugnar dovrebbe assai più alla Società ed ni suoi rap¬ presentanti, che a qual si fosse individuo. — Ma doV è poi die sia incompetente ad amministrar giustizia colui die senta colpevole se stesso, e degno ili essere il dì ap¬ presso giudicato? DovVè die cessa il proprio diritto nel violatore del diritto altrui ? il ladro non perde per ciò il diritto sulla sua proprietà; E adultero non perde quello di far rispettar la pudicizia di sua moglie, e Yindividui* die si suppone naturalmente folcito del diritto di punire i falli altrui, cadendo in fallo egli stesso, perderà questo diritto naturale e sacro come gli. altri ì Da tutto ciò (Mucesi che, accordata una volta ad ogni uomo la missione di reir itaci re ((' colpevoli il nude per nude , è vano ogni sottile concetto ed ogni sfòrzo per 3 114 FONDAMENTI DELLA FILOSOFI A DLL DIRITTO imo vani ente ili quella spogliarlo, e trasferirla nella so- metà, E considerato immanente in ogn'individua il di¬ ritto dipimirc, non si può, senza contravvenire alla logica, non identificarlo colla più detestai file delle umane pas¬ sioni, con la vendetta, quasi specie di essa 13.° Ma procediamo innanzi, e taccialo di penetrare nel cuore dell'argomento, clic voi con gli altri di Sensori del principio della, giustizia morale adducete per edificare esclusivamente sul medesimo il diritto di punire. Lo scopo , voi riite, dèlia pena non è di prevenire nuovi reati, o d- intimidire c frenare le perverse volontà, ma solamente di -REINTEGRARE IV ORDINE MORALE 0 ili lUJ'ARAUE IL MALE, Questo è il fondamento legìttimo e sedo della gitisi ima pe¬ nale, nè ad essa fa mestieri dì risgìtardarr al finn: dd- V utilità, se. non in quanto la società umana dee in virtù di altri p remiti j no vali co ■} i s idem i *e a s sa ì ì utenti vmnent e e la opportunità e gli effetti pratici della yìnsium. Ma adagio: non prendiamo le parole per obbietti reali, (die vuol si¬ gnificarsi con le espressioni : reintegrare Vortlme, riparare d mede? L’ordine perturbato non è spesso capace d t ma¬ teriale reintegratone: il nude prodotto non può ricovero sovente coni pi età r ìparàzìo ne. Si tolga in pniova V esempio dell omicidio: la pena non fa rivivere Y ucciso. Dunque tutto riducesi ad una reintegrazione morale , consistente nell 'mpvdm ì tristi effetti ddrimpmtiià. 1 quali effetti sono immorali } se si guardi all 7 attenuazione, cui me¬ nano dell efficacia della legge morale nell 7 animo sì Sci delinquente che del resto degli uomini, e si consideri (come già fece Platone nel Gorgia) elio la impunità di uu offesa all’ ordine è ima seconda piti grave. i ìvlrstzioii© dell ordine stesso: e sono nel tempo stesso e immorali e sensibilmente nocivi, se si guardi alla moltiplicazione r ' 1 èk& è figlia dell’impunità. Dunque, non altri” nienti la péna operar potrà la reintegrazione dell’ordine E SI N GOLA EVI ENTE DEL DIRITTO DI PUNIBE 115 e la riparazione del Diale, che prevenendo nuovi mali morali e sensibili, a 1 quali b impunità- darebbe luogo, il die importa la più esplicita confessione degli stessi fautori del contrario sistema, di non potersi dall’ idea, della pmmùme sociale separar del tutto lo scopo preventivo ed utile. Ed acciò non sì dubiti di essersi da me inesattamente interpretato il senso delle vostre parole, gioverà che io le dichiari con altri luoghi delle stesse vostre Lettere: « li seguita-merito del male sensibile (della pena) all* in¬ frazione della legge limita di necessità esso male, ed im¬ pedisce che si moltiplichi: il contrario apporta V impunità. Adunque si fa debito alla società umana di avverare in te n + a 1 a 1 e g gè ctei ' n a d el 1 ’ e qua, r e tri buri oi r e del m al è per male, dovendo il male èsser male e non bene,, e produrre argine a sè medesimo ed impedimento, al moltiplicare. Il retribuire equamente il male per male è nel fatto un rein¬ tegrare F ordine perturbato e sconvolto d$V impunità. * Ed il Kos si, propugnatore del principio morale^ mentre a questo unicamente riporta, il diritto dì punire, e dice la giustizia mezzo e fine a sè stessa, nè pur disconviene che ella non deve agire se non quando gli effetti naturali della ? melos ini a , c io è la f r; e yen z i qke , l'ese mpio e si ini 1 i, possono Svilupparsi a poco a poro daM* ordine sociale. Or qual si rimane questo principio e qnési) scopo morale tTKieo del diritto di punire, e come gli si nega ogni co¬ pulazione eli un demento e di uno scopo aneli e. politico. se la prevenzione e E esempio riguardanti da- tutti come condizioni indispensabili a legittimar la punizione de" col¬ pevoli? Queste scolpite contraddizioni ìucontransi in tuttii più sottili scrittóri che professano il sistema della giusima assoluta. Una sagacissima logica può fino ad un certo segno velarle in taluni eminenti ragionatori: ma ogni mente non volgare giunge agevolmente a sco¬ prirle. E talvolta esse sono evidente indìzio dì un certo Il 5 FONDASI ÉTTI Di- L DA FILOSOFIA DHL MIOTTO quasi direi istintivo senso ilei vero ni telimi uii iute l- letti, sì elio lor malgrado colgono la verità, ed anelli provandosi a sconoscerla e dispregiarla, non lasciano però di sorprenderla. Ciò die panni assai giustamente poter dire di voi T il quale nell'un a e nell'altra delle vostre Lettere scriveste : « Interrogate le moltitudini intorno alle cagioni della giustizia, ri sponderanno la ra,gionejmi(t - non soli’ getti a veruna punizione di legislatore umano, prende¬ rebbero luogo a poco a poco uè codici penali, c rice¬ verebbero, se non enormi e crudeli pene, qualche pena senza dubbio. Sarebbe dunque impossibile con la mas¬ sima della convenienza pervenire a restringere il diritto dì punire nella sola sfera delle offeso alla civile incolu¬ mità, come voi mostrate di credere: sili atta limitazione, che la ragione addimostra giusta, e necessaria,, e chiaro doversi ricercare in altro principio. Riguardo all"ultima, delle tre proposizioni, avendo io dimostrato precedentemente esser naturali, necessarii ed invariabili i confini tra la Morale ed il Diritto t non mi resta che rappresentarvi, come funesto ed esiziale al genere umano sarebbe il ridurli rdaikì e variàbili libito e consiglio de’ governanti delle nazioni, a frenar r arbitrio de 1 quali tendono oramai do piu secoli gli stridii de’ cultori della scienza del Diritto Naturale. No, egre¬ gio Signore, non rendiamo inutili i generosi sforzi delle precedenti generazioni, che troppo la nostra, travagliata da sventure (fogni maniera, sente il bisogno di più li- bevo sviluppamento, e di obbedire non ni)'arbitrio, ma alla ragione, Chiari ed assoluti contini ha posto la na¬ tura alf autorità cLo’ domina riti, oltre i quali v T ha farsa e non diritto;. Quos udrà cìfruque xuqrrr coesistere oro. h sacro dovere della scienza elevarvi sopra le colonne di Creole, per le quali vengano mostrati a tutta l’ulna- nifi, L immenso numero delle vittime drd despotismo 6 del capriccio ad alta voce lo domandano, per quanto vasta è la terra, dal fondo M loro sepolcri. lonelùiideiÉf] reste dimostrazioni con richiamare alla \ostiu memoria 1. unifoiTnità de'miféi concetti con le idee E RINGOI ASCIENTE DEL DIRITTO DI PUNIRE m del Vico, che voi stesso tanto venerate, e le cui vesti¬ gio dite oggi impossibile a qual inique ingegno di. non seguitare. Anch'egli, il gran filosofo, benché avesse fatto entrare nella nozione generale del Dm j"ito in modo se¬ condario e condizionalo V elemento della ntidìfu, non du¬ bitò intanto di attribuire quasi ad esso la maggiore in¬ fluenza nella generazione del diritto di punire. Non disse egli, come voi ed il Rossi ed i seguaci del sistema mo¬ rale, che questo diritto fosse mia necessità della legge morale, e non dovesse punto riguardare al Yidile; né affermò che le pene applicate ai colpevoli dalla giusti* zia umana fossero quelle comandale dalla giustizia eterna di Dio. Ni un altra pena di divina o eterna origino quel- V austero intelletto seppe trovare in questo mondo, die la coscienm del ned fatto, ovvero lo stupore dello coscìmm ed una certa morie dell 9 umano sentimento, sì che gli stessi rei considerò come i necessarii ministri delle pene di tal fatta, che loro in tiigge V eterna ragione, l’ eterna giu¬ stizia, Iddio. « Ma quelle pene (indi assai chiaramente .soggiunse), che altri uomini infliggono ai rei, sono pene elio vengono inflitte nella società dell equq-BUONO, irro- gar 1 e q itali n atura 1 m ent e È giovevole, v a. xo x è D] XA- TURA NECESSÀRIO : Cioè, la UTILITÀ CONGIUNTA ALLA RAGIONE NATURALE persuade che s‘infliggano, non già la stessa ragion naturale di necessità il comanda. E nella so¬ cietà dell' equo-buono resta la pena contro tutti i peccati : contro JF ignoranti la schietta confessione dello stesso peccato, e 1 pudore ; ma contro i maliziosi, ove si speri che vengano migliori, sta. una pena mite perdio si emen¬ dino. Ché se siano al tutto perduti, resta la pena severa, r esempio : la quale utilità può solo ad essi recare lo •Stato, utilità dm è pure agli altri vantaggiosa, affin¬ ché coll'esempio vendano essi atterriti » \ t pi mio unii. jur. ptei». LXIN. 122 fondamenti della filosofia del diritto Lascio a voi il considerare di quanta sapienza vadano onuste queste poche parole.* e vi piaccia riguardale 1 al¬ tra mia Lettera come un comento ed una dimostrazione più ampia della sentenza del A ico. Quali sono i corollarii che fa d’uopo dedurre da tutte queste considerazioni? I seguenti, se non vogliasi legit¬ timare infiniti assurdi, e preparar 1 esizio dell umanità. Nè l’uomo, nè la società lian diritto di esigere con la forza l’adempimento della Legge Morale, e di punir le offese fatte alla medesima. Il diritto di punire non deriva dal solo principio, at¬ tribuito alla giustizia morale assoluta, che il Lene deve riscuoter bene , ed il male deve riscuoter male ; ma anche dall’elemento della utilità socicde: quindi la pena non ha solamente lo scopo espiatorio, ma di necessità be¬ nanche quello della prevenzione de’ reati. La società ha diritto di punire quelle sole tra le offese alla morale , le quali includano benanche danno materiale o sensibile dell’uomo. In ciò consiste la limitazione prin¬ cipale del diritto istesso. Far poi con altri diretti argomenti la dimostrazione di questi corollarii; additar la combinazione de’ due ele¬ menti nella genesi del diritto di punire; stabilirne la re¬ ciproca azione, i confini, le condizioni, lo scopo e l’ap¬ plicazione al sistema penale, mi condurrebbe ora fuori dell esame delle vostre idee: e però ogni regola di metodo vuole che la trattazione di tali cose venga riserbata alla Lettera seguente. y. Misura delle pene. Lon manifestandosi il male morale che in quanto e cagione di mali fisici e sensibili, e spiegata la relazione E SINGOLARMENTE DEL DIRITTO DI PUNIRE 123 del patimento fisico inflitta m ragione dèi male morale. Xe coj^mne aZT ordine morale sono ragioni efficienti di danno privato e generale. Con la pena il danno saputo e voluto recare altrui deve ritorcersi in danno del delinquente, ed il piacere saputo e voluto pro¬ cacciare a sè stesso^ trasformarsi in dolore . La pena equi¬ para danno col danno, piacere con dolore. Quindi segna che la pena dd taglio® (guardata nd suo spirito e non nella sua forma materiale cioè la contrapposi-zione dei danni , o come Dante la chiama, il contrappasso, è la sola assolidamcntc gin sta e razionale : e su questo piriti- àpio speculali ro e logico, non istinti co ed empirico, deve sorgere la dottrina dd proporzionar le pene d delitti Una maggiore mtensità di madida ricerea altrettanto maggiore intensità di pena idei dica: ma data la deliberata volontà di produrre una certa quantità di male 1 gli accidenti ma¬ teriali esteriori, come per cs. V effetto va parie fallitonon ìscemano la proporziono esatta della ragion criminósa con V effetto intrmsexo. Non si potrebbe cortamente trovare ima norma giusta alla qualità delle pene da applicarsi, ove si trascurasse di tener ragione della qualità del male ohe si racchiude nel commesso reato; il che Dante dice necessario a ri¬ guardarsi, Parche sia colpa e duol cTima misura. Ma questa massima è generata, come molli pensano, dal solo ]il'incipit) morale? Noi abbiam dimostrato die la Morale non considera il male semilile, nè misura la quantità del reato dagli effetti: che ].'intenzione, morale non è graduabile: e effe la retribuzione del male pei male, sebbene non offenda in cèrte condizioni il Dritto, pure non può concepirsi comandata dall esclusivo prin¬ cipio della Morale. In conseguenza, è chiaro non potersi 124 FCCSfimiEUm I) ELLA FILOSOFIA DLL IH RITTO ottenne, secondo questo solo principio, giudnzioiic e misura di eguaglianza tra i reati e le pene, perche l’in¬ finito non può misurare le cose finite: uè potersi, secondo il medesimo, retribuir tanto male di pena che eguagli il male del fatto: nè da ultimo togliere a base del com- peimmento la qualità del danno sensibile od esteriore 1 , causato dalla violazione della legge, senza abiurare il proprio principio, ed a fianco di esso introd urne benanche un altro capace di apprezzare i mali sensibili. Il che ci riconduce direttamente alle cose innanzi dimostrate. A questo si aggiunga che, non appoggiando siffatta teoria della misura delle pene che sopra I idea della perenne ed immediata relazione di causalità che passa, a sentimento cfe T moralisti, tra il male morale ed il male sensibile, non essendovi, come essi dicono, alcun male morde che non sì risolva in mah: ’ibnsiMle; ed essendosi da noi precedentemente Fenduta manifcst ■ la incostanza di questo fenomeno, e quindi la inadeguatezza, di tal concetto, chi non vede esser venuto cosi a mancare alla teoria medesima il suo piti saldo fondamento ? Sì, barn un immenso numero di mali morali, che han per loro teatro di azione il me interno e la coscienza, e che ri¬ mangono infecondi di effetti sensibili: anzi il loro nu¬ mero supera di lunga in ano quello de* mali mordi che ammettono manifestazione sensibile. Or se la società ha il diritto, anzi, secondo voi, il dovere di punire tutte lo offese alla inorale, qual sarà la misura dèlie pene a questi falli dovute, non essendovi in essi alcun elemento di ìwiì e sensìbile che servir possa ili misuratore ? i Ionio si presterà adunque il principi) del taglióne , guardato anche nel suo spirito e non nella forma materiale, a regolar questi casi che occuperebbero nel vostro sistema non poca parto della penalità? E lo stesso si dica per que' reati , nè* quali la mani- hts ione sensibile trovasi gran den t ente di sj irò pf ) rzion a té 125 E SlEIGClAE.JIEKTli DEL DUUTTO DI DUKlllE lidi' elemento del mah morale, per que’ reati cioè die offrono leggiero effetto di danno, ma contengono ecces¬ sivo dolo cd animo profondamente malvagio. Il nel senso contrario per quelli altresì, che presentano danno grave ed esorbitante, ma di dolo pochissima parte. Tu tali con¬ dizioni, o il legislatore si ostinerà a non misurare la pena dio dal solo male sevaibilr prodotto dal reato, e violerà ogni norma di eguaglianza e di proporzione: o vorrà mettere a calcolo anche il mule morale, e nuova¬ mente sarà impotente a misurarlo, mancandogli altro diverso misuratore fuori àéW' (jfetto sensibile. Cosi in tutt i casi la massima dell ’eguale retribuzione del male della pena al male del reato si dibatterà invano per non rom¬ pere ad uno de’ due scogli , T ingiustìzia o 1 ‘ impossibil ita. In fatti se, a ragion d'esempio, l’uomo clic uccidesse volontariamente il suo simile, meritasse in pena venire ucciso egli stesso, per la norma del, taglione giuridico, colui che uccidesse tre uomini o distruggesse tre esi¬ stenze, non potrebbe soddisfare alla- giustizia che col ve¬ nire tre volte ucciso e col soggiacere al dolore, di tre morti: il clic basta dire per introdurre il riso nel serio delle nostre disquisizioni. Dicasi lo stesso degli altri piìt gravi misfatti. Ma questo è poco. Non dubiterò di aggiungere ebe l’eguagliare il male sensibile della pena al male sen¬ sibile del reato è contrario ad un tempo al principio della Morale ed a quello della Utilità. Al principio mo¬ rale, perché in tanto esso approva, e legittima la pena, in quanto ella sia innanzi tutto giusta , ciò clic non av¬ viene, come abbiam detto, nel connato sistema: e però cesserebbe, in rapporto al medesimo principio, il diritto di punire, dove cesserebbe la possibilità di punire giu¬ stamente: oltre a che la Morale, torniamo a dirlo, non comanda agli uomini che di far sempre il bene, c tende 120 FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO inconseguenza costantemente a restringere le quantità de 1 nudi] nè pretende die le pene, per equipararsi perfet¬ tamente ai reati, si aggravino fino a divenir crudeli tor¬ menti e sevizie ferocissime contro di coloro i quali già avesser fatto soffrire, altrettanto di male ai loro simili, f! principio di utilità poi impone che le pene non ecce¬ dano la quantità necessaria a produrre il legittimo ef¬ fetto, cioè k prevenzione di nuovi reati nella società, e la coscienza nel delincjuènte di essere,il malo ria lui com¬ messo male e non bene, e di voler la giustizia che glie ne sia retribuito anche male. Ma questi effetti possono ottenersi anche senza die il male sensibile della pena sia accresciuto fino al punto di eguagliare il nude sen¬ sibile del delitto: ed allora è secondo VutiUfiìj che ossi avvengano eoi menomo dispendio possibile dell'umana sensibilità. Che un omicida in fatti, in vece di essere condannato a morire, sia chiuso pei 1 tutta la vita nel fondo di orrido carcere, dove sarà colui che possa sin¬ ceramente prendersi giuoco di siffatta pena, e disporsi ad imitare il colpevole per venire alla medesima sotto- P osto ? 8 e n on a v v i al cu 1 io che non apprezzi quest a p e n a e non si senta mosso a respingerne da sè il dolore, essa ha già prodotto i due effetti di prevenire e di espiare* ancorché non abbia eguagliato :Ì1 male sensibile pro¬ dotto dal reato. Talvolta le pene troppo severe non tro¬ vano giudici disposti ad applicarle, e si preferisce Vini- punita, la quale anziché prevenire, moltiplica in vece i reati. Talvolta ancora il mitigare o il togliere affatto la pena in alcune condizioni può servire di salutare impe¬ dimento ad un maggior reato; corno accado quando il legislatore penale dichiara impunito il tentativo di un misfatto, allorché la consumazione non abbia avuto luogo pei volontaria desistenza o pentimento del reo: quanti pugnali mi petti delle vittime sono da questa promessa d impunità arrestati, che vi sarebbero immersi portan- E SINO CLANGENTE DEL DIRITTO DI PUNIRE 127 dovi la morto, se la legge invece di dare interesse a* rei di fermarsi alla metà del cammino criminoso, li condan¬ nasse inesorabilmente a patire Vagiteti retribuzione del male per male? È dunque certo che la stessa impunità, con sobrio aelórgirnenta disperata, ed a maggior ra¬ gione la minàccia penale di un inule non del tutto eguale ni a inferiore a quello del delitto, basta in molti casi a produrre i legittimi effetti ed a contenere la maggior parte degli animi. Imperocché non è vero clic la volontà umana istituisca sempre, pria ili decidersi a delinquere, un paragone tra il piacere, del delitto ed il dolorò della pena minacciata (come pretendeva la scuola psicologica di Germania), e quasi nella bilancia deir orafo pesando le due quantità,, venga detenni nata costautera ente dalla maggiore. Coloro che siffatta,mente ragionano mostrano d T ignorare i secreti dello spirito umano, perdono di mira le tante azioni commesse per impeto o sotto lo pressure di furiose passiti!ti, o dimenticano che anche quando il malvagio calcola, non sottrae già dal piacere del reato il dolore della pena y quasi a questo rassegnatamente appa¬ recchiandosi; ma paragona d’ordinari# la certezza del piacere prossimo del reato con la incertezza del doloro lontano, delia pena, cioè con V audace speranza della- im¬ pani!!. N inno com prese questa verità inolio del Beccarla (a cui Tumanità non sarà mai grata abbastanza de so¬ lenni benefizi ricevuti), potendo e dovendo, come egli diceva, le pene scemar di gravezza a misura che cresca la certezza della loro applicazione. Non è già che io prenda questo canone come l'unico da seguirsi nella mi¬ sura delle punizioni; perciocché esso deriva dal solo prin¬ cipio della utilità, ed io ammetto ancora la necessita di una progressiva proporzione tra il grado della reità e quello della pena: senza di che sì minerebbe nell ec¬ cessoopposto, invocandosi cioè il principio politico a cri¬ terio della misura delle pene, e negandosi opti influenzo 128 F0K1AA3LEETI DELLA mOSOFìX DEL DIRITTO al morale. Ma si nati, che io dissi avvedutamente pro¬ porzione e n or cfjìuujUnìuv, per significare che la pena può essere proporzionata al delitto, senza consistere in un male eguale a quello del delitto. La quale proporzione è quella appunto addinlaudata dal Vico misura (feomc- Irka , propria della giustizia rettrke, ossia del merito e demèrito delle persone, alla quale egli dimostrò appar¬ tener le peno: e non già l 1 arìtmrìica, propria della giu- sima equfftrke o conmwfafìnt, che restituisce a ciascuno equamente il suo. 1 Finalmente, come enumerare tutti gli altri inconve¬ nienti che il sistema del taglione giuridico, sceverato quanto si voglia della sua grossolana materialità , si trar¬ rebbe diètro in ogni penale ordinamento? Qual parte rimarrebbe alla forza delle tradizioni e de'costumi par¬ ticolari di ciascuna nazione, secondo i quali varia l'esti¬ mazione della gravezza di uno stesso reato? In clic sì potrebbe mai consultare ! opinione e la suscettibilità di sentire, relativa e variabile da popolo a popolo e da una regione al! altra del globo, per effetto della quale lo stesso male missile non è sentito egualmente da per tutto, ed in alcuni luoghi T educazione o F abitudine gli han tolto anche il senso del dolore ? E per non dir al¬ tro, può darsi vera eguaglianza tra il inalo del delitto e quello della pena, senza tener conto delle immense gradazioni di sensibilità de 1 singoli individ ui ? e di quelle specialmente clxè intercedono tra l'individuo colpevole e 1 offeso? Il male sensibile dette percosse sarà eguale sulle membra delicate del ligi io del lusso e della- mol¬ lezza, e su quelle del rozzo agricoltore, bruciate dal sole od incallite dalla fatica? La solitudine di un carcere pe- nitendale saia del pari penosa al filosofo incanutito su i libri e tra le quattro mura della sua stanza, che al LAI e LX1I. B SIN G 0 LA R M KM TE BEL DIRITTO DI RUM RE 1-- J damerino elegante il quale non sa vivere che tra i giuo- ehi* le veglie e le allegre brigate ? Se dunque la misura della giusta pena esser dovesse Feguaglianza de' mah sensibili) il legislatore, dovrebbe, scoraggiato, abbando¬ nare il pensiero di punir con giustizia, o dovrebbe fare un codice a parte per la sensibilità di ciascun individuo. Ciò attesta pur troppo che il principio della eguaglianza tra il male del reato e quello della pena è un fantasma specioso, ma che non può ottenere realità veruna. Sarebbe forza concludere, inoltre, che ai reati contro le proprietà niun' altra pena potrebbe con giustizia ap¬ plicarsi, fuori di una pecuniaria. Intanto questa pena non può soddisfarsi da col oro che nulla posseggono, e de’ quali componesi ordinariamente la classe de ladri e predatori delle altrui sostanze. Allora il legislatore non applicherà a costoro alcun’ altra pena per non violare il principio ; ovvero, se vorrà giusti ti care la pena corpo¬ rale, dovrà dire che gli è dettata dalla necessità della prevenzione de’furti, cioè da un ordine d'idee ben di¬ verso da quello dell’ eguaglianza de’ mali. Quali pene si applicheranno poi ai reati di adulte¬ rio, di stupro, ed altri somiglianti ì Si tormenti qualun¬ que ingegno per escogitare qui la possibilità di raggua¬ gliare male con male. Nè credo già che voi sapreste dividere l’opinione di Kant, il cui inaraviglioso intel¬ letto non pensò mai al certo più strana cosa e men de¬ gna di lui, che quando per cieca predilezione al taglione (fiuridko propose per simili reati (incredibile in tanto uomo!) la pena della castrazione! ! ! Or ciò basti sulla dottrina della eguaglimim tra il male sensibile del reato e quello della pena. Siami solo permesso chiudere queste mie osservazioni, notando 9 130 FOmULOTI BELLA FILOSOFIA DEL MIOTTO schiettamente corno a me soia brino inconciliabili col vo¬ stro stesso sistema, 0 con la giustizia intrinseca delle punizioni, queste parole da voi aggiunte: Data la ddn Imita volontà di produrre una certa quantità di mìe, gli accidenti materiali ed esteriori (e per es. V effetto m parte fallito) non {scemano la proporzione esatta della ragion criminosa con V effetto, Noi vostro sistema il male morale del reato non ammette altra misura che il mah SènsilM cagionato: come dunque gli accidenti materiali ed esteriori non debbono mettersi a calcolo'' Quanto alla ffiusUzia poi, il vostro concetto moti crebbe a far punire i tentativi come i reati consumati; e di più nella misura delle pene il maggiore 0 minor danno avvenuto non eser¬ citerebbe alcuna influenza, (Inveralo attendersi solo alla deliberata volontà di produrre una verta quantità di nude. Ed ecco rinnegate lo stesse vostro procedenti idee, che facevano primeggiare nella misura della pena l'elemento del male sensìbile prodotto dal reato, cioè del (tanno: ec¬ covi condotto, vostro malgrado, a quel canone ferreo, per legittima necessità in tutti I tempi nato dal dominio esclusivo del principio morale, e che ne è quasi di ve¬ li ut 0 ile arati ere disti iti vo néfla seienza.pe t > 1 1 1 e : c 1 1 e tiitto il reato, cioè, consista nel dolo r* non nel danno; canone professato una volta dalla giurisprudenza romana, e fi* nera da tanti scrittori maledetto ed esecrato: in mie- fiéìs voluntas spextatu^ non cxdus. i utte queste idee si risolvono in una, quella cioè di non essere necessaria, nè consegui Ini e la perfetta uguct gl ut H£ a del male della pena a quello del reato ; essere beu^ì necessaria una tal quale proporzione, sì che il reato minore non venga più aspramente punito di un reato maggiore; ma siffatta proporzione dover procederà se- ( onrlo ambi gli elementi regolatori, quello cioè della monde- e della iiidità. Perciò ogni pena che sia essa E SINGOLA UDENTE DEL DIRITTO DI PUEIKE 131 stessa mmiomle, o non richiesta dall’ utilità e dalkjire- venmone de’ reati, si rimane illegittima. Si scelga dunque una scala di pene, non reputando le migliori quelle che meglio servano alla egual contrapposizione di danno a danno, ma quello innanzi tutto che non oltraggino la morale, e che sic no di maggiore utilità produttrici, spè- guercio principalmlnte le cagioni del delinquere, ossia della moltiplicazione del male: e così il legislatore per questa scala asconda ritenutamente, elevando la pena in ragion composta inversa della morale e diretta della utilità ^ cioè in ragione degli antecedènti e de' museguenfi della pena istessa: sempre perù facendo di contenersi anzi ne 1 limiti di temperanza e di moderazione, che di aceri) ita, con sili ermi do che la pena è un male e non un bene ; che le .epodie de* più efferati sappimi, quelle de’ Fatar idi, de' Nero ni e di altri somiglianti mostri fu¬ rono pur tuttavia le più insozzate di misfatti: e che in line la colpa, benché degna di persecuzione e di pena, pur non si trova sventuratamente che sotto le spoglie deir umanità. Ma io mi avvedo, egregio signore, sebbene un po' tardi, che la mia lettera minaccia dì trasmodare da’ suoi naturali confini. Però è mestieri che io faccia qui fine alle mie osservazioni, protestando mni per tanto che esse avrebbero ancora bisogno di sviluppamento mag¬ giore, il quale agevolmente sarà loro conceduto dall"acu¬ tezza del vostro intelletto- Voi vedrete se altra cosa me le abbia dettate, fuorché V amor del vero c la difesa di alcune dottrine scientifiche de' precedenti scrittori ita¬ liani : i quali non si avvisarono già (V invocare il prin¬ cipio dellWffiiò e della prevùnmcme a fondamento deh Yarte, ma sì della scienza; e se ebbero un torto, fu quello soltanto di aver troppo esclusivamente propugnato que¬ sto solo elemento, quasi a gratitudine delle benefiche ri- 132 FOXDiUllSNTI DEUiA FILO SOFIA DEL DIRITTO forme da esso operate nella legislazione penale del loro paese. Inori (li tal santo proposito, nimi altro n ebbi : che il piò caldo io sono de' moltissimi ammiratori del vostro ingegno, i quali da questa Italia, che si gloria di esservi madre, v’inviano sovente nella terra dell’osigli» un saluto ed un sospiro. LETTERA SECONDA È comun detto, onorandissimo signore, che più fa¬ cile di lunga mano è il distruggere del Y edificare. Terrò non per tanto la mia promessa: e farò di ricomporre in certa guisa, alcune idee sparse qua e là nella lettera precedente, e disporre per sommi capi come un saggio delle mie dottrine, se non coll'intendimento di som- ministrarne ora distesamente le dimostrazioni (che ne tempo, nè luogo opportuno sarebbe questo), almeno per desiderio òi lasciarne veder Y ordine complesso, e di ren¬ der possibile un vostro giudi ciò sulle medesime e sulle conseguenze della loro applicazione alla vita dell’uomo e della società. Esiste il Bene Assoluto: esiste la Personalità divina. Questo bene è infinito, e quindi nulla contiene di gra¬ duabile o divisìbile. Esso non può volere il male. Dun¬ que per V efficienza della sua perfettissima natura ha ordinato gli esseri morali finiti alla pmieciptmone del bene assoluto. Così si esercita V autorità morale di Dio, che in hi solo risiede, perchè egli solo è V Essere As¬ soluto. 11 bene assòluto non è nella natura fisica e materiale , perchè questa può dividersi ed ha qualità graduabili. Ma 134 FORZAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO la natura fisica non essendo dotata di liherfb, obbedisce con inalterabitó costanza alle leggi in ossa impresse dal- l 1 Autor dell'universo, nò awien mai ohe discosti dal- 1 T adempimento del fine generale «lolla creazione ; nel qual senso può dirsi die resistenza e. la conservazione di tutte le cose create secondo la loro natura infera, bem cliè non siano un lene assoluto, siano cospiranti al fine ed alla volontà dell’Essere supremo; o per conseguenza siano ima manifestazione del lene assoluto. Solo nella natura deir uomo trovasi una sostanza spi¬ rituale 7 libera , attiva , e capace, per rjmulto il possa un ente finito, di comprendere V Assoluto, sotto le tre forme snidimi del Vcro } del Dello e del Dmw. Le idee assolute, figlie della spontanea attività della uaoione, sono Y aurea catena che fa comunicare 1 T Essere morale assoluto ed infinito co' finiti e relativi, Iddio con gli nomini. E poiché 1 Essere assoluto e perfettissimo ha ordinato questi esseri morali finiti alla partecipa,:ione del lene as¬ soluto, come sopra notammo, essi non possono cospirare al fine generale della creazione od alla volontà ddV E$- sere s-upremo T che uniformandosi alla legge di siffatta pai te cip azione. L obbligazione di uniformarsi a questa legge, senza altro riguardo che allo stesso Bene asso¬ luto ed alla sua autorità morale, dicesi dovere o obbli¬ gazione MORALE. r Q liali c 0 11 d iz i oni e ran o ne c ess ari e p e re 1 1 è questa oì >- } Spione sì adempisse? Che l'uomo conoscesse , volesse c potesse, filino, come disse il Vico, è Conoscere, I V tcre e Intere infinito: E uomo poi Conoscere , Volere e ofnr finito , che tende all'infinito. In fatti, egli ha la ragione, e per essa (lo abhiam detto) conosce T Asso¬ luto: ha la volontà Ubera mossa or dalla ragione , or dai mm ' perchè e 8 ]i componevi di spirito e di. materia: ha lì 8IXOOLA11MKXTE DEL DIRITTO DI PUMEK in fine un attività libera del pari, die può essere diretta secondo il bene assoluto, cioè secondo i dettami della ragione, e non W sensi. Dunque Fuomo, nel volgersi alla p? irte cip azione dell Assoluto , ha solo il Ooìwsgbtc non libero, ma WECESSAMO, cioè non può far che ima ve¬ rità, assoluta non sia verità per luì e per tutti gli altri uomini (donde la comunanza dell'umana specie nel cre¬ dere alle verità necessarie ed assolute , e quindi F auto¬ rità del senso comune); ma nel Volere e nel Potere è LIBERO. A quali condizioni per conseguenza Y obbliga¬ tone morale sarà adempiuta? A quelle di determinarsi uberamente il volere cd il potere dell 7 uomo a parte¬ cipare al Bene assoluto, che necessariaménte .si mani¬ festa al Conoscere. Quindi derivano i seguenti assiomi, ne' quali com- prondesi, a mio credere, il germe di tutto, la filosofia morale, delPJSèco, propriamente detta. l-° il IPne assoluto o la personalità di pio è il prin¬ cipio ed il fim della morale. Non può esservi dmnpc una morale vera ed obbligatoria per Fateo. 2. ° E inerente alla sola natura divina Vautorità mo¬ rale di chiedere dagli uomini la paHeelpamom del bene assoluto. 3. u Le cose materiali e sensibili, perchè incapaci dì partecipare al bene assoluto, sono per loro sole estranee al dominio della morale. 1 beni rélMim e sensibMi paiono semplicemente manifestare il bene assoluto ? in quanto sieno l'effetto dell'opera di Dio, o della retta ragione umana rivolta, ovvero libera di rivolgersi alla parteci¬ pazione di tal bene; ma non sono, nè contengono il bene assoluto. 4. " La ragione sola è capace di questa partecipazione, e per conseguenza la morale riguarda Y nomo interno , ed il fine assoluto delle azioni. T fini sensibili, relativi 136 FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO ecl interessati sono diversi dal fine della morale, che dev’essere sempre il bene assoluto . Non si adempie dun¬ que alla morale, che quando si fa il bene, sol perche è bene. 5. ° I doveri mondi dettati dalla ragione sono assoluti, immutabili, non graduabili , e necessarii , come è il bene assoluto. 6. ° Il Volere ed il Potere dell' uomo debbono libera¬ mente determinarsi alla partecipazione del bene assoluto, e perciò la morale non ammette la forni fisica per ri¬ chiedere l’osservanza de’ doveri. E impossibile coman¬ dare alle intenzioni. Senza la libertà mancherebbe inol¬ tre il fine assoluto , e quindi il valor morale delle azioni. Perciò Dante disse a ragione : Lo maggior don, che Dio per sua larghezza Fesse creando, ed alla sua bontà te Più conformato, e quel eh’ei più apprezza, Fu DELLA VOLONTÀ la LIBERTATE, Di che le creature intelligenti E tutte e sole furo e son dotate 1 . Se dunque la partecipazione del bene assoluto non appartiene che al me interno e libero, ne segue che la morale non può indirizzarsi che alla coscienza, dettando alla medesima regole costantemente subbìettive , ma nel tempo stesso rappresentative del bene assoluto e quindi indipendenti da fenomeni sensibili. La regola sintetica fondamentale della morale posta da Kant : Perfeziona testesso, x al quanto la vostra: Partecipa al bene asso¬ luto. In fatti, non v’ha tipo di perfezione fuori dell’Es¬ sere assoluto; e però non vi è per l’uomo perfezione lo «rtPQsn. Un 7 1 , a ancne nel suo libro I)e Monarchia aveva d< mnm dmìn V ! er as • sne pnneipium hoc totius nostrae Uberiatis, est nmm donm kumame mtnrue « Deo collatmn. E SINGOLA BAIENTE BEL DIRITTO Di PUNIRE 137 fuori della partecipazione al bene assoluto. Il precetto poi così dei proprio perflmonammito , che della j-?tìr^cy)rts-ioné al bene assoluto t è necessariamente sub¬ bici Uro, perchè, rigorosamente parlando, la perfettibilità è solamente della ragione , ed essa sola è capace di tal Non vi è dunque che la sola ragione com¬ petente a manifestare all'uomo il bene assoluto } ed a rivelargli in tutti gl* istanti della vita se pel che egli vuole conduca, o no, alla sua morale perfezione, e sia virtù o vmo> Il qual giudizio non è de’ sensi, perchè i fenomeni materiali c sensibili sono estranei al dominio della morale, come si è detto: e però il bene morde non è tale perchè include il piacere sensibile di uno o più uomini, ma perchè la ragione lo addita condii,conte alla perfemme morale di chi lo pratica, (..he anzi, se una stessa azione fosse dalla ragione mostrata conducente alla no¬ stra perfezione morale, ed i sensi la mostrassero pro¬ duttiva di male o dolore sensibile ad uno o più uomini, o a tutto il resto del genere umano, non però cesserebbe la nostra obbligazione di cercare la perfezione morale , ossia di partecipare al bene asso lo do, a costo di tutti ì da nni senti'tirili e relativi nostri o di altrui. Così vi cu infermato, che la morale non procede dalle relazioni sensibili tra uomo od uomo, u tra 1 uomo e la natura tìsica: ma nasce e si compie nell interno del nostro spiritò. Da ciò può dedursi che Kant non ebbe ragione di aggiungere a questa piima regola fondamentale della ni orai e ili i a s e co nd a., co sì co nc e pi ta : c r? ' cti l all ru i j c l ì- cita, ama gii altri uomini Questa può ben riferirsi alla prima, ed in essa risolversi: perchè la beneficenza, la bontà, l'amor dell’umanità, sono tutte forme di maral perfezione dell’animo che la possiede; e (pùtidi ùobbli¬ gazione di perfédonar noi stessi comprende anche p nel la 138 FOXL 1 AMENTI DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO rii cercar tutte queste virtù o forme di perfezione. Ma quando pure da esse discenda r effetto del Y utile seri sti¬ lile altrui, V obbligarmi morale in noi non sorge in con- templazione di questo eit'etto; anzi essa sussiste sempre, sia clic gli altri adimmo, o no, desiderio e scienza di siffatto utile die loro arrechiamo: ina timeuniente si esercita in rapporto a noi stessi, cioè per Li nostra mo¬ nde perfezione. In altri termini, la monde dev'essere praticata per sè stessa, e non per le sue conseguenze. Dunque i domi della morale possono tutti ridursi a doveri verso Dìo , perchè Dio è il Bene assoluto ed il principio obbiettivo della morale* Possono del pari ridursi tutti a doveri verso noi stessi, perchè la perfezione &éW Io morule ne è il principio suh- 'hìrftìro. Ma ciò basti della morale. Per passare al motto, basta allargare le viste sull 1 uòmo , e considerare che il cerchio della morale, lungi dall'abbracciare l'intera natura di lui. non no contempla che un lato solo, cioè quello del bene, morale o assoluto , e nulla di più : i sensi e la materia, lo dicemmo, sono estranei agli assoluti con e et ti cì e 1 1 a tì t orà le , Ma la personalità umana si compone di spirito e di materia, di ragione e di sensi. I sensi per loro soli non sono nè buoni ne cattivi innanzi alla monile, nè pos- sono p||durre alcun die di assoluto ed eterno o superiore corpo. Essi sono dalla natura conferiti all’uomo, per- 1 ì{ 00 ^bùd di piacere e dolore manifestino le cose utili o c-annose all essere ed al ben essere. Le cupidità sensibili \engo no eccitate da cose corporee finite, e quindi non possono pioporre all - uomo che fini sensibili e relativi, ma non fine assoluto. Il loro soddisfacimento cliia- lnasl sensibile : per natura essenzialmente relativo E SilfiG0LAli3iENX li DEL UIKITTO DI PUNIHE 130 ed inferiore al òene marche o assoluto. Ma il bene sen¬ sibile può cospirare col bene morate; porcile abbiala dette» innanzi che anche le cose corporeo e sensibili possono essere una mamfestasiane dèi bene morate o assoluto , in quanto sic no l'effetto dell’ opera di Dio, o della retta ragione umana, rivolta r Se Sproporzionate sempre al nefandissimo 6 °\ 1 a ^ a Sa riceve maggior lume e vigore, ove I * ien ^ e a ^ a inefficacia della forza a ristabilire 1 n 1 °. t 1 ra le naz ioni, non altrimenti che da individuo ad m dmdl i ° : non yince in fatt . de , due popoli chi ha r i one ne aggetto della contesa, ma chi è più forte, più pifnrp o me ^° P rovve duto di eserciti. Sia anche vin- ok mano il popolo che ha le virtù del coraggio, E .SIKGiJLAMETTE DEL DIRITTO DI PUKIRE 15-5 della pruderne e della j meviSmm de’ pericoli ; sia scon¬ fitto r altro che ha i vizi della viltà, dell " imprudenza e della inerzia: che perciò? Ha dunque sempre ragione in ogni subbietto eli contesa il primo popolo, e torto il secondo? Spesso i popoli forti e valorosi sostengono una causa ingiusttì, abusando della loro potenza; e non è giusto al certo che essi vincano, sol perchè serti valorosi e forti. Il che dimostra quanto io sia lontano da’ con¬ cetti antisociali del CousiN (uomo d’ altronde dottissimo e degno di venerazione), il quale ebbe vaghezza di so¬ stenere esser sempre la guerra, non che giusta , utile al¬ tresì e necessaria \ Ben so che alcuni penseranno che io divida con Kant la speranza dì una. pace perpetua ed universale y avuta da moltissimi in conto di un sogno scientifico: ma mi contorta il rammentare che anche co¬ loro i quali così appellarono questo sublime desiderio del filosofo di JioenisTjerga, no ri mancarono di aggiun¬ gere che era il sogno di una grand' anima 7 c di un amico (Iella umanità. ila tornando al nostro proposito, se la sola società può usar la forza in sostegno do diritti , la forza indir ri duale (fuori del caso della legittima difesa) è sempre un fenomeno ingiusto e dannoso non solo alle personalità imlivid'uali contro le quali è diretta, ma benanche contro la personalità sociale. Questa sola che, conservando sò stessa, conserva i diritti di tutti, può e deve spiegarla sua legittima forza contro V abusiva forza indiridmde. Kd in tanto il può, anzi il deve, in quanto por mezzo della forza individuale un male morale prenda forma nella ì A nifi, elìci scrivo del Dritto, spettava solo favellar W^wtfinstMà dt-llu guerra figgi" FSfti va* Ma lift levato non lia i^ueliù la voce contro tutt i punti rlolF apologia degl guerra del O^UbÌn , un nostro illustre concittadino fi fi¬ losofo, Pasquale BoiìKella , in un suo discordo giù fenduto di pubblica ragione. FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO manifestazione di un effetto sensibile , cioè in quanto debba reprimersi un male morale e sensibile ad un tempo. E poiché il principio morale abbonisce dal male morale , e quello della utilità abbonisce dal male sensibile , ne segue che siffatta reazione sociale sia originata da ambi i mentovati elementi. Ed è chiaro che ogni diritto , pro¬ venendo dalla fusione di ambi i medesimi (come ampia¬ mente si è dimostrato di sopra), non altrimenti debbe dirsi del massimo diritto sociale di usar la forza nell’ in¬ dicato scopo, senza il qual diritto supremo tutti gli altri mancherebbero di sanzione e di osservanza. Ma il di¬ ritto sociale di usar la forza per reprimere il male mo¬ rale e sensibile nel tempo stesso è appunto il diritto di punire. Ecco dunque rinvenuta la legittimità e l’origine del Diritto di punire ne’ fondamenti stessi di ogni diritto cioè nell’ accordo della morale e della utilità . La sola morale , per quanto legittimo e sacro sia il suo scopo, riprova il mezzo della forza: la forza mossa dal solo principio dell’ utilità sensibile è forza bruta e cieca, gui¬ data quasi da meccanico impulso : dunque ciascuno dei due elementi non basterebbe a legittimar l’uso della forza ; poiché il primo non conosce questo mezzo , ed il secondo disconosce lo scopo a cui tender dovrebbe. L’as¬ sociazione de’ due elementi in conseguenza è dimo¬ strata di assoluta necessità. ^ ^ sostando per poco, ci si para innanzi una dif¬ ficoltà, alla quale non soddisfecero finora le soluzioni c ate dagli scrittori, e specialmente da’fautori del prin¬ cipio morale . Ond’ è che la società nelle contese private ta volta interviene per librar le ragioni de’ privati coli¬ tene enti, ed a colui che è dal canto del torto altro non impone che restituire a ciascuno il suo : e tal altra si costituisce essa stessa persecutrice e nemica del delin¬ quente, e quando anche il delitto non fosse che l’appro- E BIX GOL A E 31 EX TE DEL LIEITTO DI PUXrRE 157 priazione delle altrui sostanze (come per es. il furto e I T usurpazione), non si appaga con obbligarlo alla restitu¬ zione del mal tolto, ma lo assoggetta inoltre ad una pena corporale pino meno grave? In altri termini donde pro¬ cede la differenza delF&zion sociale nelle materie civili e il®És pénali? E questa differenza è razionale e neces¬ saria, o del tutto relativa ed arbitraria? Kaxt dall’altezza della sua metafisica non is degnò di scendere a questa quistione, e si contentò di dire che l 1 inadempimento della obbligazione civile costituiva un delitto przvctitO) e E infrazione della legge penale un delitto pubblico. La qual distinzione si parrà facilmente inesatta a chiunque facciasi a considerare die, se per delitto pub¬ bli co vogliasi intendere un’ azione die nel suo effètto prossimo e diretto danneggia F interò corpo sociale e non qualche individuo, V omicidio, la ferita, il furto, ed in generale tutte le offese contro i particolari non po¬ trebbero meritar quel nome, e quindi dovrebbero esser cancellate da’ codici penali, salva la sola azion civile del ristor amento de* danni : e se per lo contrario appellar si voglia dditto ptdMico ogni azione che produca anche indirettamente e per remoto e mediato effetto un turba¬ mento dell’ordine sociale, benché sia peculiarmente diretta contro uno o piti individui soltanto, in tal caso tutti gF inadempimenti delle civili obbligazioni dovreb¬ bero elevarsi a reati, perché ogni disarmonia di tubazione dalle leggi, se in una civ.il società avvenga, indubitata¬ mente viola ed infrange Y ordine di essa, che solo nel¬ l’esatta osservanza delle leggi consiste. Taluno, come il Bossi, reputò non doversi sublimare a reati che le infrazioni di que’ doveri soli, il cui adem¬ pimento fosse impossibile assicurare con mezzi meno se¬ veri e meno pericolósi della pena. Ma quanti doveri gua¬ rentiti unicamente da mezzi della istruzione, da quelli della polizia preventiva, da quelli delle ricompense e 158 FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO dall’ obbligo della riparazion civile son tuttogiorno violati e manifestano la inefficacia di siffatti mezzi? Questa espe¬ rienza basterà dunque a dare al legislatore il diritto di scrivere nel catalogo de’ reati le infrazioni di tutti i doveri sociali, sotto lo specioso pretesto della insufficienza dei mezzi diversi dalla pena? E di più il legittimar la pena dalla necessità di un bisogno di fatto non è forse per un moralista il rinnegare innanzi tutto lo stesso principio morale della giustizia assoluta? Altri men rigorosi ragionatori si argomentarono di ri¬ mettere alla prudenza ed arbitrio del legislatore Testi- mar la relativa gravezza delle violazioni di ogni legge sociale, ed elevare a reati punibili le maggiori tra que¬ ste, introducendo per tal modo l’arte nella scienza e confondendole insieme. Così un distinto scrittore mo¬ derno 1 , dopo essersi studiato di fornire una nozione scientifica e precisa del reato, dando questo nome alle azioni che attaccano la pace pubblica, soggiunge esser anche reato ogni altro atto contro gV individui, clic il le¬ gislatore abbia creduto nella sua prudenza politica dover assimilare alle offese della pace pubblica . A che dunque affaticarsi in ragionamenti, se il reato è quell’ azione che al legislatore piacerà di chiamar tale? L’arbitrio e la scienza sono due nemici inconciliabili, che non pos¬ sono trovarsi insieme. Or dalle cose per me innanzi discorse sembra fluire spontanea una spiegazione su questo punto malagevole. Notammo come T azione della forza sociale in tanto fosse legittima, per quanto si opponesse arinoti delle forze in¬ dividuali, tendenti ad uscire con un medesimo atto dai giusti limiti della morale e della ragionevole utilità per¬ sonale. e dimostrammo altresì, inforza individuale, fuori ] Il Rauter, professore di legislazione penale a Strasburgo. E SMOG Li -UDIENTE BEL DJJÌITTO DI FUSISI: 159 del caso estremo della legittima difesa, nel seno di una ordinata società civile esser per se stessa un fenomeno ingiusto 6 dannoso. Or nelle materie puramente -civili, a ben discernere, ogni violazione della legge rad noesi ad una omessionc: come se alcuno non vuol pagare il de¬ bito, rilasciare il fondo, prestar V opera processa, adem¬ piere alle obbligazioni imposte dalla, legge o da un con¬ tratto, Spesso ancora queste omessi orti non sono accom¬ pagnate da dolo, cioè da intenzione di violar la legge, essend o fre q u entissimo i 1 c àso in cui d u e c out e nd e n ti i 1 1 materia civile credano entrambi sinceramente ed in co¬ scienza di aver ragione innanzi agli ocelli della legge. Clic lar dovrà allora la società? Non li avvi in tutto ciò forza individuale messa inazione, acni resistersi debba con la forza sociale ; Non vi è dunque ragione di spie¬ garla, e quindi il diritto di punire non si estende a que¬ sti fatti. La società in conseguenza, arbitra pacifica, si assiderà trarr pii llamente in mezzo ai due contendenti, e sentenzierà soltanto quale di ossi abbia veramente ra¬ gione, Ecco la giurisdizione civile. Ma trasportiamoci col pensiero alla esecuzione di questa sentenza pronunziata dalla società. Sia essa di¬ venuta un giudicato irrevocabile, e ciò non ostante il soccombente, ricusi eli soddisfare la sua obbligazione, di pagare il debito, di rilasciar la casa o il terreno: s’in¬ vigili allora il braccio dell: autorità, e b affinale com¬ petènte accorra: l'individuo resista, e la forza indivi- duale si opponga alla esecuzione del giudicato. Ecco intervenire la sanzion penalo a danno del resistente; ecco un altro giudizio di natura diversa : ecco la società rudi'esercizio del suo diritto di punire ; ecco i reati di resistenza agli ordini ddV autorità ed alla forza puhhlim. Or vediamo quale elemento mancava nel primo caso, perchè la società, non trovasse titolo e ragion di punire? La fórni individuale. Dunque, se agli elementi del mah 1G0 FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO morale e del male sensibile , che s’incontrano in ogni vo¬ lontaria infrazion della legge, si aggiunga la manifesta¬ zione di questi mali col mezzo della forza individuale , illegittima sempre (fuori di quella unica eccezione), e perenne avversaria dell’ordine sociale, si avrà la no¬ zione scientifica ed invariabile del reato. In siffatta guisa ogni danno arrecato al privato indi¬ viduo si converte in danno pubblico, se vien commesso col mezzo della forza individuale , perchè l’uso della forza non è razionale e legittimo che da parte della so¬ cietà, e però, usata dagl’individui, racchiude una usur¬ pazione del pubblico potere, e quindi un’offesa sociale. Perciò i reati son perseguitati con l’ azione pubblica dalla società intera veramente offesa, e non dal privato dan¬ neggiato. E tanto è vero che V uso individuale della forza sia il precipuo elemento che distingue il reato da ogni al¬ tra infrazion di legge, che non v’ ha culta legislazione, la quale non abbia punito siffatto uso della forza, anche quando fosse stata adoperata dal privato in sostegno di un vero e reale diritto, diverso però da quello della con¬ servazione dell esistenza. In ciò consiste appunto il reato, che dicesi uso privato de’ mezzi della pubblica autorità. È famoso il rescritto dell’imperator Marco Aurelio : Tu vini putas esse solimi, si homines vulnerentur. Vis est et tunc , quoties quis id, quod deberi sibi putat, non per JUDICEM REPOSCIT. E necessario intanto considerare che la forza indi¬ viduale non sempre consista tutta nel moto esteriore e sico. Talvolta è disproporzionata l’esterna manifesta- zione dall energia della perfidia e della malvagità chiusa jmteino dell animo, la quale, perchè è direttrice dell azione esteriore al più sicuro effetto del danno sotto e n ^ e sem Wanze della concordia e della placidezza, menta essei addimandata forza morale. Ma semprechè E 83^00LARGENTE DEL DIRITTO DI PUMRE 1G1 vi sieno atti esteriori che la manifestino, ed effetti sen¬ sibili di danno, il pericolo della società è Io stesso, anzi maggiore (perchè meno evitabile ili quello che sia pro¬ dotto dall'uso della forza fisica): ed in conseguenza la ragion di punire è la stessa, sempre essendovi nell’imo e nel l'altro caso Fuso criminoso ed ingiusto della forza individuale in danno della società* La falsità, la frode, 6 somiglianti reati presentano ne’ loro autori immensa forza criminosa mirale, e pochissimo di forza fisica, e questa larvata anche sotto vesti pacifiche ed inganna¬ trici, Sembra che questa differenza della forza fisica , e della morale spiegata dall 1 individuo per delinquere, chiara e scolpita apparisse al nostro massimo poeta, al¬ lorché diceva che ogni ingiuria : 0 con Fon za o con frodi* altrui contrista* E poco apprèsso, a dimostrar quasi la maggior cri¬ minosità della forza morale , soggiungeva assai filosofi¬ ca mente : Afa perchè f roti e è delFuom proprio male. Piu a Dio dispiace. Osserviamo in line, che se qualche azione scevra dal- i uiia o h altra specie di forza volesse dal legislatore im¬ pedirsi, egli non potrebbe dichiararla vero reato offen¬ sivo della società, ma al più allogarla tra i lievissimi falli, a quali propriamente non sì applicano peno, ma lievissime correzioni, più per ammonire che per punire i manchevoli. Concluudiaino dunque, che le principali differenze tra V azione punii ile e razione civilmente riparabile si riducono, a parer nostro, alle tre seguenti: l.° Il reato, oltre gli elementi comuni ad ogiFinfra¬ zione di legge, deve contener Fuso, o per dir meglio l’ abuso della forza individuale, la quale metta in certa 11 162 FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO guisa T individuo in istato di guerra verso la società. Non altrimenti fu concepito dal Vico, che scrisse: « I « temerari fanno le ingiurie, i forti ripetono le pene; « giacché chi uccide un cittadino innocente e non con- « dannato dalla società , è temerario , il quale solo pu- « gna eolia legge e perciò col volere di tuffi i cittadini, e «privato colla Repubblica, che con la sua fortezza ossia « con V Imperio gli infligge la pena. » 2. ° Deve in conseguenza implicare l’offesa dell’ in¬ tera società, e quindi venir perseguitato con V azione pubblica; mentre di ogni altro danno non può chiedere riparazione che V individuo interessato. 3. ° Deve in fine contener per necessità il dolo, cioè la volontà e l’intenzione di delinquere, senza di che non v’ha punizione; mentre ciò non richiedesi negli altri inadempimenti civili per dar luogo al risarcimento. Trovata così la ragion della pena, e l’essenza del reato, quali saranno i limiti della reazion sociale contro i delinquenti ? Essi riguardar possono in primo luogo la natura delle azioni da punirsi e degli elementi che le costituiscono: se¬ condamente la natura e la quantità del male della pena. Nel primo riguardo, la società non ha facoltà di pu¬ nire l.° il male puramente morale , mancante di ogni ma¬ nifestazione di effetto sensìbile : 2.° il male puramente sensibile, non accompagnato dalla intenzìon morale , cioè dcdl intelligenza e dalla libertà : 3.° ogn’infrazion di leg¬ ge, che non si effettui con l’uso della forza individuale, monde o fisica : 4.° ciò che sia bene morale e sensibile ad un tempo: 5.° le azioni nò utili nè nocive , e per conse¬ guenza anche quelle di dubbia e variabile estimazione. Sotto il secondo rapporto poi, la società porrà mente non meno alla qualità, che alla quantità del male della pena. E STNGOLAKUE>TK DEL DIRITTO DI FUMEE 163 Un atto che, accompagnato dalla comsp ondente vo¬ lontà ed intenzione, sia per sua intrinseca natura mi- mitrale, o un (Métto in se stesso, non potrà esser pre¬ scritto come pena; il legislatore che adottasse il sistema del taglione non potrebbe schivar l’assurdo di punire un delitto con un altro delitto, di adoperar cioè una pena , avente la qualità (T immorale o criminosa. Similmente non può prescriversi una pena, la quale produca 1 effetto di togliere o re .stringe re all' uomo la na¬ turale ed inviolabile libertà di seguire il bene, morale. Da ultimo, se la pena è un mezzo per far regnare il Dritto , e se il fondaménto, il principio c lo scopo del Dritto consiste nella per so ita! ita umana, cosicché il Dritto esiste per l'uomo, e non l’uomo pel Dritto, ne segue che II mezzo in tanto e legittimo in «pianto conserva e rispetta lo scopo a cui tender debba. Ripugna al princi¬ pio di contraddizione che un obbietta da fine si cangi, in memo , e si adoperi per conseguir© altro abbietto, il quale per se stesso sia mezzo o non fine. Or il Dritto è il memo conducente al bene ed alla conservazione della liba umana co’ suoi essenziali attributi. È dunque assurdo far servire Y infera personalità umana dimezzo all'osser¬ vanza del DrtUo, cioè far servire la distruzione deir/ma*. - nità di memo al bene ed alla conservo, zinne dell 1 uma¬ nità. Tutte le pene in conseguenza, perle quali Y uomo ressa di esser nomo , quelle che distruggono interamente Iti personalità fisica o morale dell' uomo, van dalla ra¬ gione riprovate. 3fé vale contrapporre a questo argomen¬ tare la considerazione del bene pubblico ossia de’ più; porci oechc ogni uomo è un’ unità morale eguale a qua¬ lunque altro nomo: e l'umanità trovasi del pari intera in un uomo solo ed in mille uomini o in tutto il resto del genere umano; si che tra un individuo e tutto il ri¬ manente degli uomini complessivamente presi avvi egua¬ glianza di natura e di attributi: è però non è annuissi- 104 bm’D All ENTI DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO Mie la massima: operici ut nnus moriatur prò popido, È facile Y applicazione di questa teoria alla pena capi¬ tale , alla schiavitù } all'infamici, e ad altre somigli ovoli. Ed in questo senso avrebbe dovuto Kant introdurre nella scienza il suo famoso pronunziato, che \uomo e fine a se stesso , e non può esser mezzo delta vòìontà di mi (diro ■uomo. Egli, al contrario, sedotto dalla regola del taglione, approvò la pena di morte; e con la connata massima si¬ gnificar volle clic la pena non può legittimamente in¬ tendere ad uno scopo preventivo ^ perchè i l far servire la punizione di un uomo all'esempio ed al ravvedimento degli altri uomini, è lo stesso che farlo discender dalla comlmon di firn a quella di mezzo. Ila noi abbiala le¬ gittimato di Sopra il principio della utilità e della pre- ■venmm; e però diciamo che non ripugna al Dritto limi¬ tare i beni sensibili di un uomo pel bene morale e seri sibilo di tutti gli uomini: in tal caso non è l’uomo intero, ma solo qualche sua facoltà che serve di mezzo ài l’altro uo¬ mo, e quindi la dignità della sua natura non ne vien menomata; solo la distruzione della -personalità umana nella sua integrità e nella sua essenza conduce all’ as¬ surdo messo in piena luce dalle citato parate del Kant, e dal quale egli stesso non seppe tenersi lontano* La pena dunque, a nostro intendimento, non può mai coir sistere nella distinzione della personalità umana. iutt i beni poi, che non sono nel]’uomo una 'crear zione ed un prodotto della sua volontà e della sua fitti¬ nta, non possono perdersi per un atto qualunque della *ua volontà, per quanto esser possa immorale e dan¬ noso t Imperocché la ragione di non esistenza di un ef¬ fetto trovar non si può che nella cessazione di ciò che cimava la ragion di esistenza del medesimo; ed in con¬ seguenza finché la ragione detta sua esistenza non cessa, non si può con ragione farlo cessare di esistere* Or la ra¬ gion di essere della vita dell’ uomo, della intenta del E SINGOLARMENTE DEL DIRITTO DI PUNIRE 165 suo corpo, della sua libertà morelle ecc. è indipendente dalla retta volontà dell uomo stesso : e perciò anche dopo essersi la volontà rivolta al male, non cessa la ragion di esistere di que’ beni. Dunque privar de’ medesimi l’uo¬ mo delinquente in considerazione del suo delitto, non è secondo la ragione . La libertà sociale (che notammo esser diversa dalla monde), essendo un benefizio parto¬ rito dalla volontà degli uomini congregati in civil comu¬ nanza per lo scopo del comun bene, può al contrario esser limitata o ritolta con ragione al delinquente, che a tale scopo contravviene ; ed in fatti la privazione di questa libertà figura nel maggior numero delle pene dei codici moderni. Ciò si riferisce alla quedità delle pene. Della quan¬ tità, ovvero della misura delle medesime, abbiam detto abbastanza nella prima lettera, fermando dover esse proporzionarsi al male del reato, cioè al dolo ed al dan¬ no, ma non perciò eguagliarlo; e siffatta proporzione do¬ ver procedere in ragion composta de’ due elementi, cioè della morale e della utilità. Or basti adunque aggiunger due sole cose: Luna, che la pena essendo un male, tutte le volte che due pene d’inegual gravezza possono al reato infliggersi con eguale osservanza del principio di giu¬ stizia e di quello di utilità, non si ha diritto di sceglier tra le due la più grave: l’altra, che la società, la quale esercita il diritto di punire, non essendo che il com¬ plesso degl’individui, può in certa guisa considerare che i colpevoli facendo parte della società punitrice, la quale rappresenta il volere di tutti, concorrono alla punizione di loro medesimi, per impedir la moltiplicazione del male e l’avvenimento di maggiori danni; la quale pre¬ venzione, che persuade l’uomo a sottoporsi a qualche male per evitarne altri maggiori, negl’individui dicesi prudenza: il perchè tutte le regole che governano la pru- FONDAMENTI BELLA FILOSOFIA I>EL DIRITTO 16 G demo, dell 1 individuo, accompagnar debbono la punizione sociale; e quindi la punizione iiieliinar debhe alla beni¬ gnità, éà inferire all’uomo quo’ mali soltanto, die egli avrebbe diritto tV inferire a sè stesso. Le cose fin qui dette, con la brevità che si poteva maggiore, sembrano per tanto baste voli a fornir la rii' mostrarono del facile legame e della rispondenza, che i nostri principi! bau no con le precipue teorie generali della penalità. Già abbiarn trovato in loro stessi, una soddisfacente soluzione alle grandi quistioni, se il diritto di punire appartenga agl’individui, se differisca dal diritto di di¬ fesa, quali azioni possano venir dichiarate reati, e quali sieno i limiti c la misura delle pene. 1/ applicazione inoltre de* medesimi alla quistioxie della pena di morte, e di altre pene imiinane e feroci, sembra non meno evi¬ dente. Quanto ai caratteri generali delle pene, dal principio della giustizia morale si dedurrà, che esse debbano es¬ ser personali, divisMi, mondi; dall 1 altro della utilità 0 della prevenzione de'mali discende , che esser deb- bano preventive o esemplari, eorreggitrici , e riparabili o remissìbili Relativamente al reato, lo dottrine della impilitdn- Vdo ^poggiano ad un tempo su rune e Y altro principio. Infatti, dove il delinquente è folle o coatto, manca cioè d mteìhgmBa o di libertà, il fatto non contiene l'ele¬ mento del memorale, e però sarebbe ingiusta la puni- zione : nè questa sarebbe utile o preventiva, perché non poh ebbe comandare alle volontà di altri egualmente folli o coatti, nè distornarle da simili malefiche azioni. La. volontà è più o meno determ/meda secondo la di¬ versa forza de’ motivi; e quindi allorché i motivi esistono piecedentement^ all 1 azione imputabile, Ravvi maggiore ...AvvMr E SINGOLARMENTE DEL DIRITTO DI PUNIRE 1G7 o minore impulsione a delinquere, cioè maggiore o mi¬ nore libertà precedente. In conseguenza, ogni violenta passione che esalta ed accresce 1’ impulsione a delin¬ quere, e restringe la naturale ed ordinaria libertà del¬ l’uomo 1 , se venga destata ed eccitata dall 'altrui atto ■ingiusto e dannoso, rende meno imputabile chi delinque sotto tale influenza. La quantità della pena in tal caso, per esser proporzionata al reato , deve procedere in ra¬ gione inversa della quantità dell’ impulso . Ecco il fonda¬ mento della teoria delle scuse . Finché il criminoso proponimento si riman chiuso nella coscienza, non è un fallo che innanzi alla sola mo¬ rale. Ma quando riceve una manifestazione sensibile, se pur non giunga alla consumazione intera del male ob¬ biettivo, cioè dell’altrui danno sensibile che era lo scopo del delinquente, sempre ne è giusta ed utile la puni¬ zione. Essa però deve esser minore di quella che inflitta si sarebbe dopo la consumazione dell’intero danno, e dopo la pruova della persistenza del colpevole nel suo proposito fino al conseguimento del criminoso scopo. Di qui la dottrina del tentativo e de’ suoi gradi. Talvolta si riuniscono molte volontà malvage nel fine di ottenere il reato. Questa iniqua associazione di forze individuali aggrava insieme il male morale ed il male sen¬ sibile del reato, perchè il primo trovasi non in un sol uomo, ma in molti cospiranti nella malvagia intenzione ; ed il secondo divien più facile, più inevitabile, e spesso più grave, nel concorso di molte forze a produrlo. Può esservi intanto da parte di alcuni o partecipazione di forza fisica alla consumazione del reato, o in vece sem¬ plice partecipazione di forza morale, manifestata però i La libertà dell’uomo nello stato di calma e di sana mente fu espressa da Dante con questo verso: Libero, dritto e sano ò tuo arbitrio. 168 FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO sempre con un atto esteriore qualunque, fosse pur con le parole, come avviene nel mandato e nella provoca¬ zione (giacché senza la manifestazione mancherebbe la relazione di causalità tra la forza morale dell’uno e la forza fisica di un altro, e non vi sarebbe luogo a pena per la prima). Questa partecipazione ha inoltre i suoi gradi, secondo i quali variar debbe la punizione. Su queste basi elevasi la importantissima teoria della coni - pliciih Quella della recidiva e della reiterazione non riuni¬ sce meno i suffragi del principio morale e del principio preventivo. Il ricader nella colpa e nella scelleratezza non solo è indizio di coscienza corrotta e perduta, ma racchiude la minaccia di maggiori danni alla società per la irrefrenata abitudine criminosa del delinquente. La classificazione de’ reati secondo le diverse specie del male obbiettivo che producono, trova appoggio nella impossibilità di graduare il male morale altrimenti che per la maggiore o minor latitudine della libertà del suo autore. Il solo male sensibile , cioè l’effetto esteriore delle azioni criminose, poteva prestarsi alle gradazioni e clas¬ sificazioni legislative. Quanto alle forme de' giudizi^ esse partecipano tutte della influenza morale e politica. L’eguaglianza de’di¬ ritti tra 1 accusatore e l’imputato ; la necessità e la san¬ tità del ministero della difesa; il giuramento da pre¬ starsi da testimonii, ma non dall’ accusato, per non far ( e 0 spergiuro una crudele necessità: il divieto di am- metteie a far testimonianza, prò o contro, i più stretti congiunti degli accusati, attestano il rispetto del princi¬ pio morale. L'inestimabile benefizio della pubblicità della discussione, un collegio giudice e non individuo ne’mag- }->ion reati, il rigore delle precauzioni colle quali il le- ,^is ^ oie vuole assicurarsi che venga seguito il più ra¬ gionevole metodo per la scoverta della verità, la ricusa E SINGOLARMENTE DEL DIRITTO LI PUNIRE de'giudici, la prescrizione., V amnistia, il diritto di gra¬ zia, non sono poi che la prevenzione di tanti inali ed ingiustizie, cui potrebbe dar esistenza lo stesso eserci¬ zio della giustizia umana e del diritto dì punire* Prima di chiuder questa lettera, concedetemi ora, chia¬ rissimo Signore, non già di fare un confronto di queste dottrine con quelle legittimamente derivanti da 1 principi! troppo esclusivi de' precedenti scrittori, ma sedo un cenno de' vizii o delle difficoltà che in essi principi! riscontratisi, per necessaria illazione dalle dimostrazioni sopra espo¬ ste. Forse messi insieme, c come in un sol quadro, i di¬ versi pareri rifletteranno qualche luce su’ miei modesti pensamenti. E veggo primamente potersi tutte le discrepanti sen¬ tenze agevolmente ridurre sotto le bandiere delle due opposte scuole dell 'utilità e della morale assoluta, non altrimenti che gli storici della filosofia tutti i sistemi annoverano sotto quelle del sensualismo e dello spiri¬ tualismi delle quali le altre non sono die una esagera¬ zione o ima modificazione. Nella Morale e nel Dritto, Epicuro e Platone rap¬ presentano il conflitto de 1 due principi! nell' antichità : Bentham e Kant ne' secoli moderni. La scuola di Epicuro e del Bentham può suddividersi in quattro : quella degli ut disti propriamente detti, Y al¬ tra de T socialisti, la moderna scuola psicologica, e quella de’ seguaci del principio della vendetta. 11 $witto di punire, dicono i primi, deriva duìYuti¬ lità che la punizione produce alla società, e da imi- V altro. Deriva, dicono i secondi, dalla cessione del diritto il¬ limitato di difesa ìndividurde, appartenente ad ogni uomo nello stato di natura anteriore allo stato sociale; diritto 170 FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO di difesa ceduto alla società medesima, allorché eblie luogo il patto fondamentale della umana convivenza. Deriva, dice la terza scuola, dal dovere che ha la società d’impedire il male; il che non può ottenersi che producendo sull’ animo degl’ individui con la minaccia di un altro male una impressione psicologica più forte di quella che vi produce 1 apparenza di bene o lo sti¬ molo del piacere che adesca al reato. L ultima scuola in fine riconosce legittime tutte le tendenze affettive dell’uomo; e poiché incontra fra queste il desiderio di vendetta delle offése ricevute, la proclama fondamento e giustificazione della punizione sociale. Dopo la confutazione fatta dall’illustre Rossi di tutte queste opinioni (nel che sembrami consistere la parte più giudiziosa ed esatta della sua opera), non resta a dii e alcun che di nuovo contro le medesime. Gli utilisti confondono il fatto del desiderio di utilità, che pei lo più muove gli uomini, col diritto , cioè con la giustizia di questo fatto: essi obbliano la innegabile esi¬ stenza di un altro sublime e non men potente motore f e a ^ l01 ^, c ^ ie talvolta consiglia l’abnegazione di sé s esso, ì propiio danno, il dolore e la stessa morte: essi iene ono uomo macchina ed istrumento: riconoscono a so a sensìbili Ì| variabile nel tempo e nelle spazio, ^ìucice celle umane azioni, e conchiudono che l’uomo può ai ma e agli altri uomini, purché, fatto bene il cal¬ co o, ciò g ì ìechi piacere e vantaggio. A rigorosa logica ^ nque cos oro, per ispiegare il fondamento dell’umana £ * 1 ? ; llst ™ggono affatto le nozioni della morale. E vi ; a r r v ° SS ^’ ®l )aven tati dagli effetti del principio, i^r ( 1 f S^mka e d’interesse bene inteso , ? h che 1 os ^rvanza della morale e della giu- ne nfilir ^ ^ stessa ^ a P r ™ a e la maggiore delle uma- nrincinin * ^ ne *l a ^conseguenza di ammettere un unico, c ìe poi restar debba subordinato ad altro T-: B1NCJ-0 LA EMETTE PEL DIRITTO IH PUNIRE più elevato principio', a quello #oè della gim^ia e della morale clic nella loro ipotesi rimane presupposto, I sociali*fi fabbricano il loro sistema sopra la falsa ed erronea ipotesi che lo stato naturalo dell 1 uomo non sia lo statò sociale T ma un altro anteriore, die è come retà dell’oro de' poeti. Ipotesi è pure il contratto primitivo; e (V altronde non avrebbe potuto esso estendere la sua efficacia sulle generazioni venute di poi, perdio la rinun¬ zia alF uso della libertà e delle facoltà naturali non è ima obbligazione trasmissibile. La difesa inoltre nulla ha di comune con la piimmone: bastando il considerare die la prima dura quanto V aggressione, e la seconda non s'in¬ fligge die quando V aggressore ha consumato il misfatto nè li avvi altro pericolo presente ed inevitabile, simile a quello della violenta aggressione. La scuola iis teologica, nata dalla esagerazione della dottrina della spìnta e mitrospinta di Romagnoli, per opera del bavarese Feuerbach, del pari riduce F uomo alla condizione di un automa.: nega indirettamente il l'atto della libertà umana; poi suppone die tutti i reati sieno il risultamelito della deliberazione e del calcolo; e proporziona, il male della pena non al male del misfatto commesso, ma a quello de' misfatti futuri e possibili. Finalmente il principio della muhtta } clic molti gravi scrittori e giureconsulti, spedai monte napolitani, negli ultimi tempi professano (il Pacano, il Raffaellt, A eo CHTONf, Romano ed altri), trovando legittima ogni ten¬ denza dell’ uomo, non si sa porche non trovi deipari legit¬ timi anche gli effetti tutti {lidie tendenze medesime. Cosi scomparirebbe la distinzione del bene e del male nello umane azioni e ne; loro effetti, e cesserebbe quindi la- ragione di quistionare del diritto di punire. IP altronde 11 o ìi pi iò i ni magmarsiper la gius tizi a una mag gio r de gra- dazione, che quella di edificarla sopra una passione dete¬ stabile, riprovata dalla morale e dalla ragione. Nello 172 FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO menti di questi scrittori apparisce profonda Tini pres¬ sione generale tkll’abitusde linguaggio forense, il quale, rifatto in secoli di barbarie e tV ignoranza, esprimeva r esercizio della punizione sociale con V immorale appel¬ lazione di pubblica vendetta. La scuola dì Platone e di Kant viene aneli' essa a. divi¬ dersi in tre rami. Il primo fa discendere il diritto di pimire dal prin¬ cipio morale ed assoluto , inerente all* umana ragione, del premio dovuto al bene, e della espiazione richiesta dal male : Kant e gli altri sostenitori di questa dottrina distin¬ guono però, benché con incerti limiti, la morale dal dritto: non riconoscono bensì altro che scopo passato nella pena: secondo essi, prevenzione di nuovi reati ed ogni scopo futuro manca di legittimità. Il secondo ramo, ohe dir si potrebbe teocratici-, non riconosce differenza di principio e (li scopo tra la giustizia, divina eia giustizia umana; confonde il dritto con la ino¬ rale; e dalla legge divina ripete il diritto, anzi il dovere di punire tutti i. falli morali. Un ultimo ramo, scarso di numero è quasi nascente, non sapendo concepire come il male della pena possa venir comandato dalla morale, alla quale non piace ohe il bette ^ e come la sofferenza o il tormento fisico possa aver 1 effetto di espiare e lavare il nude morale del de¬ litto, per darne la spiegazione, volge si a vagheggiar 1 idea che la pena è un bene per l’ effetto morale della emenda¬ zione o risanamento morale del colpevole, in quanto lo corregge e lo riconduce alla retta via, dalla quale Orasi allontanato; del pari che una medicina all* infermo ap¬ prestata, sei?bene ingrata al palato, pure è per lui un bene e non un male, come quella che produce la sua fi¬ sica guarigione K La necessità di dirigere Io pt.uc alla corra imic od ''é&itóasfom de' ddio- jiiroi i, cucile non costituisca per sò sola il fondamento di tutta la penalità. E SINGOLA RlTEtfTR DEL DIRITTO DI PULIRE 173 A’ primi ed a* secondi possono opporsi le H^òme.n- tazioni della precedente lettera. Àgli ultimi non si può far rimprovero che eli un concetto incompleto c non ba¬ stevole a servir per se solo di fondamento alla, penalità. Sarebbe mai vero che le pene producano per loro stesse r emendazione morale de' delinquenti? i3 dove questo effetto sia impossibile ad ottenersi, ma invece 1 T istru¬ zione e r esempio del resto degli, uomini, la punizione sarà perciò illegittima? Perchè allora voler la pubblicità delle esecuzioni penali, se essa inasprisce gli animi dei condannati, e quasi li rende irreconciliabili nemici della società che li riconosce e li segna a dito? E per qual ragione inoltre non si cercherà V emenda del colpevole in ogni specie di falli morali, e non si punirà quindi la volontà prava ed il criminoso pensiero ? Di più, perchè mai cessa la punizione anche quando essa non abbia ot¬ tenuto questo scopo salutare , cioè quando il colpevole, anzi che essersi emendato, siasi maggiormente corrotto ed immerso n&lla turpitudine e nella immoralità durante V espiazione della pena ? Como spiegar da ultimo con sì circoscritto scopo le teorie tutte della scienza, la mi¬ sura delle pene le forme de 1 giudizi!, e somiglianti prov¬ vedimenti , i quali manifestano ad evidenza non es¬ sere scopo della pena il solo individuo punito, ma la società tutta? Non si può pertanto non applaudire alle umane e moderate deduzioni, che si traggono dal prin¬ cipio tMV emendanonCy il quale rigetto la §ma di morte, le pene perpetue, e tutte le pene in generale che non lasciano speranza di emendazione^ o conducono a mali lime è aiata avelie fra noi riconosciuta, ed ammessa al occupare nel sistema il posto dio le conviene, il governo già intende all' esame delle diverse prò- punte- dì rifonnti fmitmziurtii delle nostre prigioni, sul (piale argomento ha ^regiamente scrìtto m gli altri il cav. Filippo Volpiceli*. Che poi insieme con la correzione dd rei sia d’uopo provvedere benanche alla sicura so¬ date, non mancò di affermarlo in un importante ed ardito discordo, letto m questi giorni alVAccademia Pontoniana, im altro nostro concittadino, il eh. Hft\U cq ih Aitgwtinis, benemerito cultore della scienza del Dritto, FOXDÀÌlEVTl DELLA FILOSOFIA DEL DIRETTO iisici non necessari! a siffatto scopo. Del resto, ninno oserà affermare clic Vemenda del colpevole non sia anche un voto legittimo della, pena: il principio nidndé ed il prift- cipio politico lo giustificano entrami)!; e perù notammo di sopra tra 1 caratteri delle pene tinello di dover essere correggami: ma insieme con questo effetto, e legittimo e necessario cercar del pari quello della conservazione e della sicurezza sociale 1 . Non mancò in fine il progresso delle morali o polì¬ tiche discipline di far sorgere in questo secolo due gra¬ vissimi scrittori, i quali per direzioni ira loro opposte tentarono operar nella scienza qualche novità. Sqn que¬ sti due italiani: il carrarese Rossi, oggi pervenuto nella Francia alle più. alte dignità, ed il Cai? mio vani da Pisa. Niun altro poteva sorgere terzo fra cotanto satvo, fuor- che il nostro illustre napolitano Niccoli Nicollvi, che go d e ormai in E uro ] i a di s o 1 e i me e m er i t a tu nominanza : ma benché egli abbia renduto grandi servigi alla scienza co* suoi dottissimi lavori, pure lascia tuttavia desiderare ia promessa puhhlicaMonc delle sue Lezióni, dettate con pubblico plauso dalla cattedra di Napoli: opera desti¬ nata alla ^posizione de 1 princìpi! scientìfici da lui. pro¬ fessati e posti a ba@ e fondamento della penalità. E perù sarem paghi di far voti, perchè le cure di Stato, lo quali al presente sono venute ad occuparlo, non lo distolgano dallo sciogliere la promessa: e ci re stringe- jemo intanto a dir qualche cosa de 1 soli due primi. Il bossi ed il U a svignavi sentono chiaramente la ne¬ cessita di dover accordare un posto indie scienze penali 13031 1116110 ull elemento morale die al politico. In ciò sta distinto giureconsulto tedesco, C. 1), A, KoEitnit, ,ba to con ' JùdiJùo questo sintonia in uu sno recentissimo lavoro, del filale delibo Z. ■ ^ al della cui benevola obrriBiJOH- aia uste mi onoro. E&s$o La pe-ir titolo: Gmmnmtittiù da qyaeatiftni!» fl* ymm mlunt t? m dèmi — Gisa*, iÉ E SXX(ip.LAmiESTK DEL DIHITTO DJ FTJNJEE 175 il più gran merito d i entrambi verso la scienza, poiché prima di loro lo spirito di parte e di sistema area fatto credere ] TRMXZU) MAGLIAXI 188 e noi vogliono riconoscere, Stimano la nozione dell’or- dine essere palladio e ròcca de'lor sistemi: ma rordine separato dalla efficienza, sapienza e bontà infinita che il vuole e prescrive, .riducesi a un concatenamento saldo e portentoso di cagioni e di effetti , il quale induce senso grande di maraviglia., ma non di dovere: c il conoscere che in operando e mestieri di conformarsi all 1 ordine si pel con segni mento del bene proprio e si dell* altrui, e una necessità razionale, ma non già obbligatoria, e ri sol vosi tutta nell'assioma logicale ripetuto e commen¬ tato più volte dal Ito magnesi, die presupposto un fine, il mezzo rispettivo è necessariamente determinato. Adunque nel fondar ch’io fo in Dio il principio d’ogni moralità, non è certo una minima ombra di nuovo. Ma io andai notando nella mia primo, lettera, come rado o non mai (per quel che io mi sappia) i medesimi se¬ guitatoli della teorica dell' assoluta moralità abbiano mosso il discorso loro dalla contemplazione immediata, generale e ontologica intorno alla essenza dei Bene; ma sì invece abbiano cominciato dallo scrutare o gli atti umani, o gli umani sentimenti, o gli umani concetti. E però io ne eccettuavo a titolo di grande onore il nostro Pallavicino il quale a mio avviso e ne'suoi quattro libri sul lìnie da reputare insigne filosofo, qualora il si con¬ fronti col luogo e il tempo in cui quelli dettava: e pia- cern i di aggiungere qui di’io non conosco metafisico an¬ teriore a lui die nella speculazione dei sommi principi! morali gli sia da preporre, e dopo lui, molti pochi. La¬ sciamo stare ch’egli è nello stilo esempio bellissimo c forbitissimo di proprietà e di eleganza e un di quei rari pensatori che hanno in compagnia di Platone stimato op pò rt un o d ' in v o e are il p atro eini o delle m u s e. Ma uè il Pallavicino medesimo, nè Samuele Clavke, nè altri, a mia notizia, pensarono di dedurre la scienza inorale con insieme la filoso li a del diritto da quel solo 184 NUOVE LETTERE supremo enunciato dell’esistenza del bene assoluto (cioè della entità concreta rispondente al concetto universale del bene che è nell’ intendimento d’ogni uomo), e tal de¬ duzione condurre per sola virtù di ragionamento e al¬ largarla in una serie vasta di teoremi, la quale non fac¬ cia uso d’alcun adagio morale non dimostrato, sopprima le definizioni nominali ed ambigue, derivi da un solo dovere tutti i doveri ed e converso tutti i diritti da uno, e venga in fine speculando sì universalmente la scienza intera del bene, che 1’ Etica umana e il suo imperativo, a parlare come Kant, e quindi la succedente perfezione e beatitudine, sieno non più che una classe e una specie di atti morali imputabili, governati da una rivelazione parziale dell’ordine divino ed eterno e sommessi a certa efficacia proporzionata e particolare dell’ ordine stesso. Àncora si può dubitare con assai ragione se tal ten- tamento non trascenda lo stato e le facoltà della scienza; ma per certo esso è il più alto termine suo, e non mi parrebbe senza profitto che qualche sublime ingegno vi si adoperasse gagliardamente, massime oggidì che prin¬ cipia a pullulare una setta di mistici, secondo i quali non può darsi scienza veruna razionale del bene, ma dee fondarsi tutta quanta sopra un’autorità prima, arcana ed inappellabile. Vero è che in questi ultimi tempi in Germania i filo¬ sofi panteisti cavarono 1’ Etica da* quel cerchio angu¬ sto di pura psicologia in che la mantenevano i metafi¬ sici del secolo scorso. Ma di là tolta e slegata, essi la traboccarono in eccesso molto maggiore, facendola a sè medesima contradire sempre ed in ogni cosa; perocché nelle dottrine loro Dio, l’uomo, la ragione e l’idea componendo una sola essenza, la imputabilità vera degli atti nostri diventa illusoria e vana. Oltreché a nessuno fra essi potè venir fatto di ravvisare nell’Etica uno svolgimento dottrinale e coordinato del gran princi- DI TERENZIO MA MIA NI 185 pio il quale pone che il bene assoluto e infinito per ciò crea tutte le cose che le conduce alla massima parteci¬ pazione eli sua beata natura. E per vero, tale pronun¬ ziato presuppone e sottointende la sostanziale distin¬ zione dell’infinito dal finito, non potendo il primo par¬ tecipare sè a se stesso. D’altra parte, il bene assoluto degli ultimi panteisti alemanni non è, ma diventa, e la legge morale universa non è l’ordine dei. finiti ri¬ volti al bene, ma sì è la legge fatale ed intrinseca per lo cui mezzo 1’ assoluto adempie arcanamente i suoi fini, o meglio i proprii distendimenti e sviluppameli. Quindi ne’ lor sistemi il concetto di dovere non trova le sue proprie e schiette significazioni; perchè queste da un lato ricercano vera suggezione e subordinazione al- l’infinita eccellenza e bontà, e dall’altro ricercano vera personalità ed arbitrio umano distinto da quello di Dio. § n. Del metodo adoperato nel mio tentamento. Del rimanente, io debbo molte grazie alla squisita gentilezza del vostro ingegno a cui ha piaciuto con la storia e comparazione de’ differenti criterii morali accet¬ tati dai filosofi illustrar quello da me divisato e porre in lume di evidenza la necessità di salire all’assoluto del bene obbiettivo e ontologico per chiunque voglia di- scuoprire le origini positive dell’obbligazione altresì as¬ soluta. E certo, il solo capo di tal materia che fluttuar possa nel dubbio è di sapere se il cominciamento della scienza moverà immediate dal bene obbiettivo infinito, ovvero, se a questo si perverrà ricercando innanzi e scru¬ tando i concetti umani o gli umani sentimenti. Dubi¬ tazione, come ognun vede, che versa in gran parte sul metodo e può venir reputata d’assai minore importanza nuove lettere 186 deir altra che investiga il fondamento medesimo della scienza. Ciò non ostante, perchè il mio procedere nella filo¬ sofia morale sembra molto differente e forse anche op¬ posto a quello da me adoperato in altre indagini meta¬ fisiche, non yì tedii, egregio Signore, ch’io vi spenda sopra alquante parole, non per sola difesa de’ miei te¬ nui scritti, ma quel che più preme, per ricordare e chia¬ rire alcuni principii direttori della filosofia, così impor¬ tanti all’esito generale di tutta la metafisica, come allo speciale della scienza dell’ equo e del buono. Gran questione fu presso gli antichi a definire se lo scibile principiar dovesse dalla speculativa o dalla pra¬ tica, dalla notizia del vero, o da quella del bene. Tutta- volta, qualora tu guardi con attenzione ne’ragionamenti loro, tu scorgerai (come il Tasso nota nel Porzio) non tanto aver disputato gli antichi intorno alla precedenza tra una dottrina ed un’ altra, quanto intorno all ordine in cui debbono venire insegnate. Perciò, rimovendo roc¬ chio da tal relazione e considerando lo scibile nella na¬ tura sua propria, chiaro è che la scienza del bene con¬ vertendosi con la scienza del fine non può antecedere l’altra che versa sull’ ente in universale. Imperocché nel- l’ordine logico, prima si concepisce l’ente, poi la sua operazione, poi il suo fine; prima si chiede che sia, poi perchè sia e da ultimo a che sia. La dottrina pertanto universale del bene è supremamente sintetica, e nel mondo delle realità le precede tutte e le sovraneggia. Invece, nello esplicamelo metodico della riflessione e dell’ analisi, la prefata dottrina è parte della metafisica, ma non la prima. E se non la prima, può a buon diritto derivare dalle superiori un qualche assioma fondamen¬ tale di già illustrato, e porlo e affermarlo a priori. Onde quante volte le venga fatto di dedurre da tale assioma tutta la propria materia in ordine perfetto dimostrativo, DI TERENZIO MAMIANI 187 avrà toccato il sommo della bellezza e dello splendore scientifico. Oltreché, in un mio libro, con titolo Dell’Ontologia e del Metodo x , sembrami aver provato, e T accennavo nella prima lettera a voi indiritta, che ogni tèma di scienza speculativa può venir trattato a modo socratico sussidiandosi degli adagi e delle credenze perpetue ed universali del genere umano e fondando una filosofia naturale dei sommi veri, differente da quella che cerca in ogni questione l’evidenza geometrica e tenta la di¬ mostrazione degli stessi adagi e credenze comuni di no¬ stra stirpe. Ed anche in questo modo di trattazione, che 10 domando naturale e socratico, è bello il pervenire a un abito rigoroso di scienza; e però è bello 1 esporre la intera dottrina in ordine puro ontologico ; quante volte, già s’intende, il primo enunciato significhi un ente reale obbiettivo, affermato dal senso comune; e dal concetto di cui proceda senza sforzo una serie lunga e complessa di certissime deduzioni appropriata e adeguata alla qua¬ lità e larghezza dell’ argomento. Così vo io praticando per appunto nella materia dell’Etica; perchè penso che 11 genere umano assenta con fede piena e generalissima a quel sommo placito: il iene assoluto esiste ; e le poche avvertenze che ho scritte intorno di lui sono piuttosto per render chiaro il fatto dell’universale consentimento, che per provare la verità di esso il placito. i Cap. xviii ; e \ vedasi anche Dialoghi di Scienza prima, pag. 205 e segg. 188 NUOVE LETTERE § IH Il sentimento del dovere prova la sussistenza del bene assoluto. Ma perchè da voi movesi un po’ di dubbio intorno a tale universalità di fede, io toccherò qualche punto di prova forse non veduto fino a qui nella sua interezza, e mi sarà occasione pur di accennare a qualche nozione importante circa la dottrina e autorità del senso comune. E prima verrò notando come tutte le induzioni gene¬ rali che si raccolgono intorno ai fatti rimarrebbonsi inef¬ ficaci e meramente suppositive, se non si giovassero di parecchi assiomi di logica naturale che suppliscono alla limitazione e alla incertezza delle nostre esperienze. In virtù di cotali assiomi, e non altramente, si giunge nei fatti umani antichissimi a riconoscere certa identità di credenze, o, come il Vico la domandò, certa lingua men¬ tale comune a tutte le nazioni 1 . E giungesi a riconoscerla eziandio nascosta sotto forme di opinioni e di usi diversi e contrarii, in quel modo che al fisico vien subito rav¬ visata la legge universale di gravitazione financo nelle gallozzole d’aria sorgenti dal fondo dell’acqua. Simil¬ mente, cotesti assiomi aiutandoci a ravvisare nella con¬ gerie degli accidenti quel che vi giace di sostanziale, ci abilitano a supplire ai confini dell’ osservazione e della esperienza, la quale mai non può esaurire l’infinito dello spazio e del tempo. Ed ancora per la virtù loro si può il germe puro e istintivo delle credenze distinguere dalle lente elaborazioni e trasmutazioni operatevi col razio¬ cinio ; del pari che il naturalista coglie e distingue nei 1 Principii di Scienza Nuova, Milano, 1836, p. 102. DI TERENZIO MAMIANI 189 cristalli, nelle piante e negli animali uno stato primi¬ tivo ed elementare di forma e d’organamento. Insomma, senza cercare più oltre gli usi particolari ed innumerabili e la intervenzione necessaria e continua di cotali principii a fine di compiere, autenticare e ge¬ neraleggiare le nostre induzioni, basterà avere a mente che niuna dottrina indagatrice o di sostanze o di feno¬ meni, per positiva e severa ed evidente che voglia es¬ sere , ed anzi per questo medesimo, non può astenersi dall’invocare l’uffizio e l’autorità degli eterni adagi del senso comune; e con essi meditò Bacone il suo metodo e le sue tavole e la Selva delle Selve e tutta la Magna Instauratone, sebbene con poca arte sperimentale e poca sagacità a scuoprire nuovi particolari. Ciò posto, non vi parrà, egregio Signore, difficile a persuadervi che pure nelle antiche crudelissime super¬ stizioni e in que’ concetti ingiuriosi che le genti si com¬ ponevano di Dio e della virtù, possa riconoscersi il ger¬ me inserito da natura universalmente, perchè producesse la credenza al bene assoluto obbiettivo ; e che per fer¬ mare tal verità non sia mestieri (come par che temiate) di trascendere i limiti delle notizie storiche a noi per¬ venute, nè ondeggiare nel paralogismo, or provando resi¬ stenza dell’ assoluto dalla virtù, or la virtù dall’ assoluto. Ma stantechè una simile fede è, per mio sentire, d’importanza suprema e dà base certa e incrollabile a ogni scienza e a ogni disciplina morale, è vantaggio as¬ sai rilevato discioglierla da tutte le ambiguità e ritirai la affatto dai ragionamenti che hanno apparenza di troppa sottilità e di pendere nel sofisma. Io dico adunque la fede alla sussistenza del bene as¬ soluto essere dedotta immediatamente da una convin¬ zione umana così universale e profonda, come quella che- fa assentire al principio di causalità, ovvero ad altro sif¬ fatto. E per fermo, ei fu sempre creduto e sempre dagli 190 NUOVE LETTERE uomini si crederà che alcuni atti son doverosi; altri sono o si reputano indifferenti. Parlano di doveri l’ateo, il malvagio, l’ignorante, il barbaro. Tutte le lingue regi¬ strano vocaboli e frasi speciali a significare quel con¬ cetto comune; ogni discorso umano ne è pieno, ogni co¬ scienza individuale è a sè medesima testimonio d’aver pensato e proferito più volte nel chiuso animo queste parole: io debbo far ciò. Questo notato, si voglia cercare con lungo studio il senso proprio della nozione del dovere; e dopo molte analisi e molti confronti, dopo varii sottilissimi aggira¬ menti e lambicchi di raziocinii sopra di lei, sarà gran¬ demente mestieri di confessare eh’ ella esprime una co¬ strizione dell’ animo differentissima da quella indotta entro noi o dal piacere o dall’utile o dalla simpatia o dalla necessità logica o dal timore. Perchè il piacere, I utile e la simpatia attraggono ; la necessità logica con¬ vince, il timore e la forza violentano ma non obbligano . II dovere è passività e costringimento della coscienza in¬ dotto da forza morale; nè si concepisce moralità senza ragionevolezza e bontà. Ciò che è irrazionale e cieco, morale non è; e similmente ciò che non assume perfine il bene e pel bene puro e sostanziale non opera, mai non può esser morale. L’impulso etico adunque esce tutt’in¬ sieme da certa potenza, da certa ragione e da certa bontà; e quante volte rimovasi alcuno di questi attributi, estin- guesi la moralità fonte del dovere e ricadesi nelle forze cieche dell appetito, o nelle ideali e razionali della ne¬ cessità logica. Di questi veri sono così aperte e molti- pacate oggidì le dichiarazioni e le prove negli scritti dei più accreditati filosofi, ch’io giudico mi dispenserete dal ( isten ermi ancor più a dimostrarli. Certo, chi scambia u Le o la necessità col dovere, scambia affatto il va- or ( e e 'voci, e panni sia più presto da mandarlo a di¬ scoli eie coi grammatici che a contendere co’ filosofi. VI TÉRENZIQ M AMIA NI 191 In fine, un altro carattere della obbligazione testimo¬ niato dalla coscienza del genere umano è la immobilità e V Qssolute^xL E ver am ente, in iiiun tempo gli uomini hanno reputato che V obbligatone di tare il bene e di astenersi dal male sia transitoria e mutabile: ma-invece Tiranno creduta e la credono fcrmissimamente una cosa eterna, universale, iti defettibile e superiore in infinito a qualunque forza e motivo contrario: ancora che la, ma¬ teria e le applicazioni di lei mutino e possan mutare a ciascun momento. Tutto ciò (giova ripetere) vien confessato dal genere umano pcremicraonte e dovecliessia, confessato per sù¬ bita intuizione del vero ed espresso con le voci a tutte le lingue comuni di dovere e di obbligazione. Ora, le conseguenze immediate che se ne cavano, e per cui si giunge ad affienare la subsì sten za del bene assoluto, rie¬ scono semplici, chiare ed irrepugnabili pur quanto quelle onde dal principio di causalità si giunge a riconoscere resistenza duina prima cagione. E di fatto,io dicoTob¬ bligazione essere per se medesima condizione passiva, inferiore e sottor di nata: però domandare per necessità logica ima forza e una potestà superiore correspcttiva ; e d'altro Iato, questa con Vassolutezza sua interissima non potendo risedere originalmente in noi enti relativi e finiti, dee derivare dalTassoluto della cagione. Dico poi l’assoluto convertirsi con Tinfinito ed essere Dio, e però in Dio ritrovarsi la fonte della moralità, c ciò im¬ portare un infinito di potenza di ragione e di bontà, come eziandio un infinito di perfezione e beatitudine. Il bene assoluto adunque sussiste. Chi voglia spiantare cotesti brevi e patenti sillogismi, dee far Tuòni o autore unico della legge e della propria ob- binazione; farlo, cioè, in tempo ed in cosa identica, at¬ tivo e passivo, superiore e inferiore, cagione ed effetto, relativo e assoluto. E ni un paralogismo sembra a me nuove lettehk più madornale, sia qualunque l’eccellenza e il rinomo del filosofo che lo proclama. Chiedevi molte scuso del troppo intrattenermi in tali astrattezze e dell*uscir quasi affatto de/ termini del no¬ stro subbi etto. Ma io vo pensando essere un male assai tollerabile di vedere la filosofia teoretica affrettarsi, zop¬ picando dietro le ultime dimostrazioni de T suoi pronun¬ ciati e spesso rimaner delusa della speranza di raggiun¬ gerle. Invece , un d anno imp orlai file su rei die , a gi udiri o mio, se nem manco alla modesta filosofia socratica riu¬ scisse di provare con gl i ad agi del l' in teli et to < : un i un e lo più solenni e più utili e più sante verità. Il clic per altro io non credo; ma stimo per lo contrario gli adagi del comune intelletto racchiudere una fecondità interni inata di scienza; tuttoché non si possa cogliere e far capitale del lor frutto copioso, se innanzi non vengano tutti ordi¬ nati, paragonati e discussi quanto bisogna e non si cribri o cimenti per bene V autorità di ciascuno. Fu bella impresa per certo quella di Kant di fondare la critica della ragion pura sulla sola entità del pensiero. Ma forse tornerebbe molto più profittevole indagare e ionclare la critica del senso comune con la scort a del- 1 assioma primo e sovrano della filosofia socratica, la natura non inganna ; e sotto cotesto assioma penso che due degnila principalissime si raccolgono ; V una dimora in capo a tutto lo scibile sperimentale, ed è il principio di causalità; 1 altra in capo a tutto lo scienze pratiche, cric appunto il concetto e il sentimento del dovere, quale lo intendemmo e spiegammo qui sopra. Tempo verrà che m tale ultimo adagio si dirà da ciascuno giacere Tevi¬ denza medesima e la necessità che nel primo, e a tutte le menti parrà come ovvio, e rimarrà illeso da ogni spe¬ cie di dubbio. Quindi le scienze pratiche conseguir armo in molte loi parti La certezza che oggi si vuol tribune solo ad al- DI TERENZIO STAMI ANI 19| (•ime dello tìsiche e però con certa ambiziosa antonoma¬ sia si domandano positive, § IV. La partecipazione al bene assoluto è capace di gradi* Riconfermata la proposizione mia principale che gode anche del vostro suffragio, andrò sciogliendo i dubbii mossi da voi sull'altra proposizione esprimente il fine reale ed ultimo di tutte le cose e la qual dice, l' uni¬ verso essere ordinato alla massima partecipazione del bene assoluto , secondo la capacità e la finità peculiare di cia¬ scun ente. Intorno a clic voi opponete la partecipazione al bene assoluto escludere il più e il meno; stantechè l'assoluto è uno, indivisìbile e immensurabile* e non v'ha gradazione tra il partecipare di tutto lui e il non I j arteciparne affatto. Tale obbiezione verrà dileguata, avvisando un po'me¬ glio il valore de' termini che a primo aspetto sembrano non potersi accodare insieme. In due modi concepisce la mente nostra che Dio possa accostare gli etiti alla somma del bene; con dar loro il godimento del massi¬ mo bene creato e con unirli a sè il più intimamente che essi valgano a sostenere. E in tali due modi appunto ve¬ diamo e crédiamo essere dispensato il bene nell 5 universo con ordine sapientissimo ; perlochè il bene creato ar¬ monizza con T increato e la fruizione dell 5 uno con la frui¬ zione dell’altro: onde una medesima legge etica ambedue queste governa. I beni creati del pari che la comunica- zione diretta del bene assoluto sono atti dell’espansiva bontà di Dio; con questo però di divario, che i beni creati non sono sostanzialmente e numericamente il bene as¬ soluto divino, ma una sua immagine c similitudine per 18 nuove lettere 194 la quale egli ed essi prendono una medesima appella¬ zione di genere. La partecipazione poi diretta al bene assoluto è graduata e quantitativa da nostra parte, cliè non usciam del finito; e però ogni condizione nostra do¬ vendo rimanersi finita, viene capace di grado. Laonde nel fatto di tale partecipazione è sempre da ricordare che due sono le nature le quali concorrono all unione e comunicazione, l’assoluto e il relativo. Il primo parte¬ cipandosi non iscerna nò cresce; il secondo, come finito, può crescere o sminuire ne’ gradi della comunicazione e cioè nel ricevere più o meno profondamente l’atto di¬ vino e così farsi più o meno intimo all’assoluta sostanza, la quale non può mai tanto largire di sè che non sia sem¬ pre superiore alle creature d 'infinito eccesso, secondo la frase dantesca. Da ciò vedete come non regga quel vostro affermare che non possono gli uomini partecipare al bene assoluto in più e in meno; e quindi ancora mi pajono invalidate le conseguenze che ne discendono. Se guardate al solo assoluto, nè tampoco potrete discorrere di partecipa¬ zione; sendochè tal voce include la nozione di parte, laddove l’assoluto è impartibile ; e però conviene accet¬ tare il senso di quella voce e di tutta la frase con di¬ screto giudicio e sapere (noi replichiamo) ch’ella intende significare la relazione degli enti finiti e condizionati con la sostanza del bene assoluto ne’suoi due termini di crea¬ trice e di beatrice. Gli stoici, che voi citate ed anche in parte assolvete, equivocarono sul vocabolo bene, guardando al solo si¬ gnificato che spetta alla persona divina, e cioè il bene perfettamente assoluto, e unificando, quasi, con essa la volontà propria ed il proprio atto. Ma come avvisavo nella prima delle mie lettere, il vocabolo Bene designa insieme un universale aristotelico e una forma platonica; assunto in questa seconda accezione esprime il bene ob- Di TOZXZIO MAMIAM 195 Inattivo concreto e infinito, cioè Din: assunto nell* altra, esprime la identità logica di tutti i beni finiti ed aneli e accidentali o apparenti. Se a ciò avessero posto mente ipli stoici, i inali e i beni, le virtù e i vizi sai ebbero loro riusciti capaci del più e del meno. Similmente un altro equivoco li trascinò ai paradossi, e fu di. scambiare 1 asso¬ luto e infinito della legge etica col contingente e finito delle applicazioni sue, Tifica col fatto, e la pratica con la speculativa. E forse una pari confusione può uscire da quelle vostre parole die gli atti fisici e materiali non bastano al dominio delia morale , perche sono per sè stessi essenzialmente impotenti a raggiungere V assoluto; e quelle altre più esplicite : le cose materiali e sensibili. perchè m- rapaci di partecipare al bene assoluto , sono per loro solo estranee al dominio della morale ; e V altre ancora: il bene ■morale è essenziedmente mio esenmgradf altrimenti ces¬ serebbe (V esser assoluto. La legge morale guardata noli’origine sua è divina, eterna e assoluta., perchè si converto con la sapienza, la volontà e T efficienza stessa di Dio. Guardata ned- rum ano intelletto, ò idealmente universale, immuta¬ bile ed assoluta, e sostanzialmente diversa dalla sen¬ sibilità- e dalla utilità, come ogni qualunque idea è di¬ versa dal fatto e come la particolare animalità e V in¬ teresse speciale dei singoli è diverso dal bene oggettivo o comune. Ma la legge morale, attuata fuor della mento di Dio, prima si concreta nell’ordine sostanziale, uni¬ verso ed iucomniiitabile degli enti finiti, il quale ordine dà loro capacità ìY innalzarsi alla massima partecipa¬ zione del bene; poi, per modo peculiare, si attua nello coscienze degli enti imputabili, rivelandovi i precetti normali e moderatori degli atti buoni. In fine-, la legge morale, effettuata e praticata dall'uomo, secondo sue fa¬ coltà c potenze, consiste nell’applicare i principi! di lei generali e assoluti ai fatti particolari, contingenti e t.i- ulti : in quel modo che la pratica dello, geometria e d ogni altea speculazione astratta consìste nell 1 applicare i lor teoremi generali e assoluti alle varie o speciali contin¬ genze dei fatti i quali per se non sono giammai nè uni¬ versali uè assoluti. Vero è bene elio mista alle singola rità e contingenze de’latti v ' è certa sostanza coni imo immutablile: e però ne'latti murali nitrosi noi dUcer- niamo una sostanza connine immutabile, or di bene e or di male* Ponendo mente a questa sola, in disparte dagli accidenti, noi pronunziamo de" nostri atti eh Vi sono un bene o un male assoluto secondo cìtó sì confor¬ mano, ovvero si disformano dalla legge; avvisando poi le lor contingenze o i loro accidenti, come per mudo d'esempio il grado della volontà, la maggiore o minor propensione istintiva, la natura dall' abito, la forza del¬ l’uso c altrettanti, riconosciamo in quegli atti il più e il meno di bene o di male* § V* Della sensibilità e del bene morale. Tra i beni umani sono eziandio le piacevoli scusa- zioni, dalle piu materiali alle piu spiritualizzate, siccome quelle che hanno in sé una s inaigli anz a più o meno fu¬ gace e manchevole dì vera beatitudine* Non tutte, per tenue, prendono e s*imbevono, a così diro, della, sostanza, stessa del bene, perchè spesso, o riscontrate con la legge etica, o paragonate con altri beni e con gli effetti clic partoriscono, fingono riconosciute il contrario di quel cb e appaiono* Tutta volta, considerate in se e in disparte dalle loro attinenze, palesano un vestigio di vero bene. I also o dunque il dire che le cose sensibili non sono pei se medesime nè un bene nè un male* Per lo con* temo, elle appajono necessariamente in sé e per sè u DI TERENZIO MA MI A NI 197 un bene o un male, perchè recano o voluttà o dolore : e la voluttà, in quanto tale e in disparte dagli altri oggetti, è delle cose che si cercano per sè medesime, cioè per fine : e appunto domandasi bene tutto quello che è cer¬ cato per fine. Se non che, paragonando una specie di cose sensibili con altra specie, e avvisandone le relazioni propinque e remote, giungesi a discuoprire quando in loro è una qualche sostanza di bene e quando un feno¬ meno e un accidente solo di quella. E per esempio, il frutto velenoso che porge gusto soave al palato è male e non bene ; ma quella sua dolcezza, guardata in disparte dalle attinenze di subbietto e di cagione, è un accidente buono. Se la voluttà , dice il gran moralista Jacopo Stel- lini, venga affatto ripudiata e posta nell 9 elenco de 9 mali, con la voce della natura forte richiamerassi e torrà ogni fede a qucdungue magnifico e generoso ragionamento 1 . In¬ gomma, tra i beni creati, alcuni riescono sostanziali, alcuni e molti più riescono accidentali, e i sì fatti pos¬ sono trasformarsi nel lor contrario e sparire ; ma come il modo partecipa sempre della sostanza sua propria, così quegli accidenti partecipano in più e in meno dei beni sostanziali della natura. Questi poi non sono per certo il bene assoluto e infinito, ma sono immutabili e universali, o, se piace meglio, hanno forma identica nel tempo e identica nello spazio, del pari che le essenze tutte create. Per dilatazione poi domandansi beni altresì le cose fattive e conservative di quelli, secondo ne avvi¬ sava Aristotele 2 . Sotto il quale riguardamento, il bene morale o si considera come concetto o come realità ; e in questa se¬ conda forma, o si bada alla sua natura di mezzo o alla sua natura di fine. In quanto è mezzo, il bene morale 1 Eikicae , liber primus, c. IV. 2 Rettorica, L. l.o cap. IV. NUOVE LETTERE 198 è dal lato di Dio l’ordine da lui constituito e la legge da lui prescritta; dal lato dell uomo, è 1 azione virtuosa (cioè il deliberato volere di conformarsi alla legge) e una materia conveniente in cui termina 1 atto di esso volere. Come fine, il bene morale è rispetto a Dio e ri¬ spetto all’uomo il bene sommo ed universale che conse¬ gue all’adempimento dell’ ordine intero e di tutta quanta lalegge, o con altre parole, è la massima partecipazione degli enti al bene assoluto, così diretta e immediata, come indiretta e mediata, così per intima congiunzione con esso lui, come per fruizione ascendente de’beni creati, massime dei beni interiori che sono l’attività pro¬ gressiva di cognizione e perfezione 1 . Il bene etico adunque, e come mezzo e come fine, accoglie in idea e comprende in fatto eziandio il bene sensibile e fìsico, in quanto tal bene entra esso pure nel- h ordine morale prestabilito e partecipa della sostanza de’ beni creati ; e voluto anzi e procurato negli altri, di¬ viene materia consueta agli atti virtuosi. Qualora non intervenisse identità veruna di forma nè sostanziale somiglianza fra il bene morale concreto e i beni sensibili, mai forse, per difetto di materia, non sa¬ rebbe dato all’ uomo di praticare la virtù ; conciossiachè tutti i beni, o la porzione massima loro, a cui l’uomo applica in vita i precetti morali, sono beni sensibili o di sensibilità mescolati. E di vero, oggetto della legge etica è il bene universo ; e però ella comprende tutti mai i beni di qualsia ragione, e solo abbonisce da quelli che riescono falsi e convertonsi in danno e si oppongono al diritto conseguimento del bene sostanziale creato e del bene assoluto comunicato. Di più, rimossa dal concetto del bene qualunque no- 1 vedi l’ultime pubblicazioni dell’autore, e specialmente il periodico Fi¬ losofa. delle Scuole italiane. j*l TEfiEXZIO MÀ13XAJST 199 zione di giocondità e perù eli spedo sensibile, quel con¬ cetto viene a rappresentare non piti àie mm cosa astratta e dn e dir o n o ] ì al 1 ' i stili to, ma i il la ] 1 agio n e ( c i o è al p re ce tt i > della legge morale universa), e moversi per cagione mo¬ rale ontologica; od almeno, ei crede e giudica di ob¬ bedire a due impulsi diversi, per due diverse irruzioni: alla attrazione appetitiva e al dovere, a un tatto fisiolo¬ gico sub biotti vo e ad un fatto razionale ontologico. Qualora Fuorno percepisse in distinto modo e sen¬ tisse nell'animo suo di obbedir sempre al dovere, non perchè tale, ma unicamente perchè profittevole, e di cercare il bene assoluto, non come bene, ma come con¬ ducente alla sua massima contentezza, chiaro è che egli avrebbe del pari coscienza della .impossibilità di operare pel sentimento unico del dovere: e tei voca¬ bolo o più non significherebbe F attinenza morale e ob¬ biettiva di lui inverso Fonte che proclama e inculca la legge, ovvero il farebbe accorto di vivere perennemente e di piena necessità in cmitradizione col proprio intel¬ letto e con la coscienza del bene. Ma per lo contrario, hi quotidiana esperienza ri insegna che 1 uomo, pur quando 214 NUOVE LETTEHE vuole e delibera di seguitare la legge morale universa, non pel sentimento del bene e per soddisfare all'obbli¬ gazione, ma per l'utile solo individuale, la voce della coscienza risuonàgli dentro queste parole: tu non obbe¬ disci alb obbligazione etica, in quanto è pura obbliga¬ zione, ma senti che tu il dovresti. Quindi tu concepisci assai chiaramente bobbligazione etica abolire la pro¬ pria natura e cessar di essere, o convenirle che sia ter¬ mine assoluto e finale d' azione; e quando pure t'av¬ viene di congiuntila e di meschkrla col desiderio e T intenzione deir interesse tuo singolo, tu senti nel chiuso dell animo cotal motivo doversi reputare da te come in¬ teriore e come diverso dalla ragione e operante per ne¬ cessità, non per moralità. Ma può obbicttarsi dai seguito tori della teorica del- 1 amor proprio, tutto ciò appartenere alla regione delle ulve meglio che a quella de 1 fatti, e sussistere al piò al più nelle intenzioni e nelle credenze dell 7 uomo, non già nelle intime e reali cagioni clic il menano abbatto. In concreto, essere gl’impulsi istintivi e bamor innato di noi medesimi che sempre, senza bisogno inai d'ecce¬ zione, ci conducono a praticare il bene stesso morale: nullm est (ictus ad qmm renerà non imp&limur motivo fmt&udinis esplicite, vd implìcite. 1 Rispondo innanzi tratto che nell’opera umana mo¬ ia e segregare dalle cagioni sue efficienti e immediate d cognizione che 1 illustra, bintenzione die la dirige e a ci et enza che 1 ac compagna, non è possibile in vermi mot o, poiché lo stimolo delia coscienza e del desiderio e cace determinazione della volontà dipendono im- me1Ù ortliuarie fra privato e pri¬ mamente fra mi V* tllteli ) pubhlica 11011 interviene al* rarbitrio dì vi' C 16 <1 1 uando ve( - le menomato ed offeso . . iieutediioeno pericola forte di S&- DI TERENZIO MAMIANI 249 dere nel paradosso chi nelle molte e ottime leggi le quali danno norma (facciam caso) ai contratti ed ai testamenti, non voglia scoprire che questa unica e sola intenzione di assicurare ad ognuno la piena franchigia dei proprii atti e la balìa interissima sui proprii averi. Sono forse per tale balìa i fedecommessi ed i maggioraseli conce¬ duti in Inghilterra, inibiti in Francia e nel Belgio? e tra¬ scorrendo in altra materia, sono forse per la franchigia intera e scambievole de’nostri atti inibite le nozze tra parenti assai prossimi e vietato il divorzio appo molte nazioni? Ad ogni modo, a noi basti il potere affermare che quanto alle relazioni le quali accadono fra i cittadini e lo Stato, non riuscirà a nessun ingegno di dimostrare che tutte e sempre consistono nel domandare i cittadini e nel fornire lo Stato la miglior difesa e tutela della li¬ bertà di ciascuno. Lo Stato, oltre al difendere e al tu¬ telare, ha per lo certo altri uffizi e doveri; e però, i cit¬ tadini, altre specie di esigenze e diritti inverso di quello. Con tuttociò, egli non si vuol negare da noi che il concetto di libertà intromesso tra le nozioni fondamen¬ tali del giure ha grande convenienza e significazione. Nell’ ordine morale universo appare questo intento per¬ petuo e nobilissimo che l’adesione e conformazione de¬ gli atti umani ad esso ordine, non pure sia scevra ed esente da esterior coazione, ma divenga ognora più illumi¬ nata, volonterosa e pressoché ingenita; ed in ciò appunto si raccolga e sustanzii il miglior progresso e perfeziona¬ mento dell’essere nostro, nell’unire cioè e immedesi¬ mare di più in più la nostra individua ragione e moralità con la universale ragione, bontà e sapienza moderatrice del tutto. Ora, la legge umana, come per addietro no¬ tammo e spiegammo, è discepola e imitatrice della di¬ vina di cui compone un accidentale supplimento e spe¬ cificazione. Dal che seguita eli’ eziandio la legge umana 250 NUOVE LETTERE vuol salva ecl ìntegra per ogni dove la libertà, quanto ameno le necessità sociali il consentono, e promove con ogni solerzia in ogni individuo lo svolgimento e pro¬ gresso interiore ed affatto spontaneo della moralità e «ella ragione. Obbiettato m secondo luogo che la trasmissione di¬ vina della civile potestà conduce a marcia forza a quel sistema tenebroso e funesto di sociale filosofia, denomi- na o eociatico, e fa accusare la legge suprema della più (p aio inconseguenza ed ingiustizia, di potei• cioè privile¬ giare alcuni individui o alcune famiglie per siffatta tra¬ smissioni i potere , quando tutti gli uomini al suo cospetto ■ ono unita morali di ima perfetta ugualità. a vostra obbiezione involge intera intera la gran r? 1S :!. C . e , SÌ ag ^ a da’filosofi intorno alla origine , a e o 1 muta del comando civile; e di nuovo io mi Yerei ci un gato dalla diritta navigazione e spinto a eliP^Q 00180 ^ m vas ^ ss ™° golfo, se chiaro non apparisse conspo-, V ° S la * stanza non m i tocca per nulla. Una sola dell’ nr' GnZa V n' eU< ^ 6 & da’miei principii in risguardo qualunmip 6 ^ so - a ^, ed è questa, che LT S i la q ’! e l ° ngine così nel fa tto come in idea, ciò awìf Ue 1 moc °_ di istituire il comando civile, sempre morale nS 1 h ade “ pie P er mandamento della legge come ho „?• det n lt ° dl queste mie àttere, diritto divino, della len-o-p 11 '° ° s P ie g a t°> va le facoltà e ragione intima già in affro SUPr ? a ’. e PGrÒ nel suo ™ delle parole e non tici appoiaSfr; CU C ° nCOrdare coi gioisti teocra- significare 1? 1 ^ denommazion e di diritto divino vuol zione peculiare e SSamen r ^ dlntto che sor g e dall’ele- del sovrano. T p 1 ! uniedia, t a che fa Iddio della persona oratici dissentono 1 ^ S ° ] n<:enze P er tanto e quelle de’teo- consento al Bosmii n™ e discostansi toto ecelo. Nè umana in teoora+,v U q , a sua spartizione della società ocratica ed m civile, nè Fintendimento di DI 'fggjpZIO MAMIANJ 251 lui elle molti ordini, della prima aljljiuno luogo nel giure pubblico delle nazioni cattoliche. Quanto poi all’altra questione gravissima toccata da voi intorno al naturai giure de’sapienti proclamato da Vincenzo (bravina, concedetemi che riuscendo ella affatto incidente nel nostro subbi etto, io la passi sotto silenzio, affin e di non divertir troppo dall’impreso cammino ed anche per essere ne’nostri tempi materia pericolosa e sdrucciolevole sopramodo. 1 2 Basti per ora, il dirvi che consentendo altresì con Platone e col filosofo Calabrese al naturale imperio dei buoni e sapienti, per nulla se ne cavano lo conseguenze da voi temute. Conciossiachè a tale facoltà naturale di imperio, perchè venga in atto c legittimamente si eserciti, occorre per innanzi di farsi visibile a tutti e venir da tutti riconosciuta per segni e criterii comuni. Soppressa cotesta universale ricogni¬ zione, impossibile diviene 1’istituire razionalmente e fuor di violenza il comando civile, essendo che da un lato certuni affermerebbero di sè medesimi essere dotati dì morale superiorità e degni d’imperio, e dall’altro la società civile, o gran parte, negherahbelo istantemente e ricuserebbe loro ossequio e obbedienza. Oltreché im¬ porta molto il notare che dicesi naturale cotesto impe¬ rio in quanto taluni ricevono da natura o naturalmente acquistano quella accidentale maggioranza per cui sono prescelti fra gli altri e investiti della vera e assoluta su¬ periorità, la quale non può altronde emanare che dalla legge morale suprema. Del rimanente io scrivo ciò di passata e appena accennando: 3 ma io mi rallegro con voi de' belli e nobili sentimenti di civile virtù onde sono nati que’ vostri timori; sentimenti i quali traspirano, si 1 n primo dettato di 1 ™ste seconde lettere fa nel 1M3 e regnava in Napoli Ferdinando IL 2 Vedi l’Appendice in due del libro. SUO VE LETTERE può tlire, da ogni pagina del vostro scritto: il perche molte volte m* ha dato diletto vivissimo il sentirmi con- tradire e combattere con arci or singolare. Parecchie altre obbiezioni si muovon da voi contro alla genesi che ho prodotta dei doveri e dei diritti. Ciò non pertanto le ragioni loro mi paiono tutte cadere, quante volte sieno stimate buone e valide le argomentazioni clic ho qui innanzi distese, le quali vanno diritto a cogliere nella idea sostanziale e nel principio dialettico regolatore dell’intero subbietto. Al vostro pronto ed acuto ingegnò piace, imitando gli abilissimi duellatori, di accompa¬ gnare i colpi diritti e profondi con altri un po’ disviati e con parecchi cenni e tinte e minaccio, contro alle quali non è sempre mestieri di far difesa. Solo non tralascierò d’avvisare che nel breve scritto di Le bini zio, citato da voi siccome avverso alla dottrina cb 1 io vo professando, legge si appunto questa sentenza: Ikum esse onmìs natwralisjiiris andarem verissinmm ed. E alquanto più sopra quest’ altra : Juris guaerendu sunt non tantum in volnniate divina sed et in mtettectu, nectankmi inpotentia Dei , sed et in sapientia . 1 Infine, quanto al dire che fate che il diritto dee di ra¬ gione antecedere la legge, ben consento con voi- Il di¬ ritta originario è propriamente la facoltà della legge: questa è poi la facoltà dispiegata e determinata ; e si¬ mile concetto nè più nò meno troverete espresso nella pagina trentaduesima iella mia prima lettera, trapassando ora a considerare la definizione della da me esibita che dice, la legge essere un coniando auto} evale e oljllìgatorio, sento tirarmi dalla necessitò a dichiarare che in ninna maniera io posso far buone 08 inatte. Il nerbo loro principale consiste in i niarc., prima, che il fatto solo della superiorità e dd- 1 G ‘ LEIB!fI Tn f ®pera 4 t 0m . pagi 273. DI TERENZIO MAMIANI 253 V esistenza del coniando non è sufficiente a ingenerare una universale obbligazione ; secondamente, che il comando uscente eziandio da legittima potestà può tornare in¬ giusto e oppressivo, e per conseguenza mancargli il ca¬ rattere di bontà che la essenza della legge costituisce. Ciò viene a dire, prima, che ogni comando non è legit¬ timo, e però non obbligatorio: secondo, che ogni comando altresì legittimo non è sempre buono, e però non sempre obbligatorio. Consento a questi enunciati assai volentieri : e perciò appunto nel definire la legge ebbi avvertenza di dichiarare e specificare per bene la natura del comando con l’epiteto autorevole, il quale non pure esprime su¬ periorità, come a voi è sembrato, ma si esprime morale superiorità: e di vero, a qualunque comando di potenza ingiusta e violenta come quella d’un tiranno o d un ma¬ snadiere mai non si dà nome di autorità e gli si ubbi¬ disce perchè violento, non perchè autorevole, per legge di fisica necessità, non di efficienza morale. Onde alla voce comando resta qui la sola materiale significanza e cioè una volontà umana esternata e avente per obbietto certa opera altrui positiva o negativa. Comando auto¬ revole adunque è comando di etica maggioranza, e que¬ sta risolvesi principalmente in maggioranza di bene; poiché, come notammo più sopra, sottratta ed estinta l’idea del bene, estinguesi per intiero eziandio l’idea di moralità. È dunque altresì la bontà condizione es¬ senziale del comando autorevole, al quale mancando essa bontà, mancherebbe insieme la vera preminenza nel bene : 'tutte le quali cose io avea, mi sembra, spiegate ancor più lucidamente nella mia lettera, facendo avver¬ tire come in qualunque comando umano legittimo sia un’immagine e una partecipazione del divino comando il quale è autorevole per propria essenza , uscendo im¬ mediatamente dalla scaturigine vera e somma d’ogni autorità , e cioè a dire, dalla superiorità reale e concreta NUOVE LETTERE della sapienza, della bontà e della efficienza suprema intesa all’ universale effettuazione del massimo bene. La superiorità morale, o dir si voglia l’autorità, riesce anco superiore in iscienza, almeno per quanto spetta all’opera sua. E di vero, se per ciò che nell’opera sua tiene relazione con la dottrina e con l’intelletto, non avesse alcuna maggioranza, autorevole non sarebbe o sarebbe difettiva e incompiuta autorità, laddove noi l’as¬ sumiamo e la divisiamo intera e compiuta. Nè già può essere buono di bontà obbiettiva, nè costituito nel vero bene quel comando cui fallisce o tutta o gran parte della notizia del bene a cui tende. E però la vera bontà è sa¬ piente, e la sapienza è naturalmente buona, talché è sinonimo di saggezza: e con assai di ragione Giordano Bruno fa la legge figliuola della divina sapienza 1 con pensieri conformissimi ai nostri. Nè oltre a tuttociò è da pretermettere che la preminenza della bontà illustra e solleva tutte le doti e attributi con cui si accompagna ; donde viene che la scienza la quale s’incorpora con la bontà è superiore per questo solo e più degna della scienza discompagnata dal bene. In fine, la maggioranza morale venuta all’atto del co¬ mandare è una certa podestà ed energia; cioè a dire che in lei dee star riposta alcuna efficacia essenziale e alcuna virtù effettrice ed ineluttabile; imperocché torna impossi- n e il concepire una autorità spiegantesi in atto reale e determinato d’imperio senza veruna specie di facoltà e c energia nè spirituale nè materiale. E in cotesta virtù n 1 slede P er appunto quel potere della legge 1 q «p T S1 C iman( ^ are sanzione ; nè d’altronde procede ha nl!! Za comune legge sfornita d’ogni sanzione manrlri n™ ma n0n sos t anz a. Insomma, in ogni co- “ d ° ™“° v' ha l’assoluto c Mentale. 1 0l,e ' S ’ VD1 ' 11 l>le ' llc e 160 aamnione ai Lipsia, ti L’assoluto viengli dalla logge suprema, della cui autorità (o vogliam dirla morale superiorità) partecipa, A questa aggiungasi una superiorità morale di fatto, che però ha natura relativa ed accidentale, e che separata dall’ altra, mima obbligazione potrebbe mai ingenerare. Adunque tali due voci comando autorevole penetrate e cercate nel lor midollo esprimono a marcia forza tutto il fin qui dichiarato, vale a dire che esprimono un atto efficace di superiorità razionale e morale, e però un atto essenzialmente buono, sapiente ed energico, secondo la propria natura e la natura dell’oh biotto iti cui termina: il quale è sempre e di piena necessità una qualche forma e specie di bene operabile. Importante nella definizione della legge o bisogna alia parola autorevole supplire con tutti i nomi in lei contenuti virtualmente, o lasciarla coni'io la propongo. Dopo ciò, non mi occorre di spender parola per di¬ mostrarvi quanto la definizione mia dissenta da quella che voi citate del Puffimdoriio e che Leibnizio impugnò e smentì con ragione. Perchè rimovendo dalla legge il carattere sacro della autorità e serbandole quello mate¬ riale della forza superiore, aprì il Puffendorfio e spalancò tutte le porte a ogni maniera di tirannide. Similmente non mi convicn badare alle cose die af¬ fermato della accidentalità del comando, e darsi alcune leggi clic nulla comandano, come si avvera in specie, asserite voi, in tutte le leggi semplicemente dichiarative di un diritto, pari a quella, a modo d'esempio, la qual dicesse: ciascun uomo è Ubero di difendere la propria vita in pericolo, * o quesC è ad udir si cosa nuova » die aWirt leggi le quali non prescrivono nulla. E certo per niuno sforzo d’immaginazione e d’astrazione ci mi vien fatto di concepirlo. Ben intendo che una legge co- mandi 1 adempimento di certe opere; un’ altra V aste¬ nersi da certe altre, e una terza il potere avere in facoltà e m arbitrio l’operare o il non operare. Ma che ninna 1 ^ u ® ste tre forme di comandamento s'incontri in al- cune leggi e debbano tuttavia domandarsi tali con giusto titolo, è manifesta contradizione. è in me vive un orgoglio sì presuntuoso e sì vano da menarmi a credere che il mio modo di definire la eccellente e il solo, e che tutti i giuristi e -, ^ no r ^ ui appariti abbiano solennemente traviato a \eio. la questo io reputo certo che si possono da ingegni più alti correggere e rassodare, non tramutare • C 1S 1 a °^ ei e . ^asi e elementi della mia defini- .one* § ltl i° medesimo, eccitato dalle vostre obbie- p°ni e scordandomi di quello che scrive il Tasso nel l ™*f one > povere chi definisce riguardar lungamente i e ? eni P 10 0 archetipo del suo subbietto, e vedere nlip nuuia C()Sa V1 manchi e niuna soverchi di quelle un ne m accorgo d’avere forse omesso il vprrf- 616 S0Stanziale c ^ a 11011 potersi tacere. E vaglia manrln Se ^ re g are . da tutte le specie affini il co- buom rlp S fi°' U ° e istituente la legge (come ricerca la cuHari tSTT * **"*•*> <>“ «*>*«» P* lei legittimi '. ] J >W. sono pei' l’autorità eli ordini del v>v\n ' ^ lg f torii ’ come a cagion d’esempio gli e *%££?££«*** « M padre a’Sgliuol, particolari e individuali S0 ” 0 COm ““ virtù universale: affimi'’ 1 dove la le S8 e impera con panni doversi 1 a com ld e re la definizione sua che la legge è 7 tale ultlma distinzione e dire bligatorio. ornando universale autorevole e ob- E S6bbene ° gm coman do retto e legittimo possa ve- DI TEE.ENZIO MAMJAKI 2ù] nii' giudicato particolare e singolo itoli’ oggetto al quali si addirizza, tnttavolta, ci racchiude virtù universale it questo che è applicativo razionalmente ed esemplar¬ mente ai casi conformi possibili. Invece adunque di ripetere la vostra censura clic alcuna cosa di accidentale stia giacente nella mia defi¬ nizione, io mantengo clic tutto v’è sostanziale: e più facile riesce accusarla di soverchia strettezza che di qualche superfluità. Di vero, la definizione mia non com¬ prende la necessità materiale e cieca, onde certi effetti costanti ed universali escono da certe universali e ferine cagioni ; necessità che domandasi legge pei* le analogie correnti fra le discipline morali e le fisiche. Imperocché, a molti contemplatori delle cose mondiali ha sembrato veder la natura imperare ad esse certa ragione costante e generale di agire, ed elle, quasi animate da ossequio o rapite dal piacere del proprio essere, fedelmente ob¬ bedirla. Ma poi cessando nei dotti quel fine senso poe¬ tico interprete della Provvidenza e non sapendo più leg¬ gere nell'universo quella divina legislazione che tutti gli enti conduce al bene e da tutti trae nuova e consecutiva energia per combattere il male e stremarlo di più in più, essi dotti, replico io, non altro si videro d’ogni intorno, e di sopra al capo, e di sotto ai piedi che un muto e cieco ed inconsapevole avvicendarsi di cagioni e di effetti fa¬ tali; e quindi uscì fuori la puerile definizione della legge del Montesquieu, alla quale nondimeno applaudì tutto il secolo, tanta era la, fama dell’uomo, lo splendor del suo stile, la fortuna della sua patria, e tanto a’filosofi a 258 NUOVE LETTERE 1)1 TERENZIO MÀM1ANI torio, mai la definizione della legge non potrà esprimere insieme la necessità morale e la fisica, l’azione cor¬ porea delle forze cieche ed inesorabili con l’azione etica esercitata sull intelletto e sull’animo degli enti dotati di libertà. LETTERA QUARTA Con molto senno, al mio parére, instandomi voi con la vostra lettera a meditare sulla filosofia del Diritto, mi proponeste di ciò fare in parti colar modo intorno al bene monde e intorno all 'orìgine ed alla ragione, del di¬ ritto di punire. Che per fermo, nella dottrina del bene morale stanno le radici vére e nutritive di tuttala scienza del giure: e nel problema travaglioso delle origini ra¬ zionali della giustizia, punitiva Rincontra, come a dire, la pietra di paragone por assaggiare il valore di un si¬ stema filosofico intero circa al diritto ed alle sue prove, imperò, non potendo voi accostarvi ai principi! sui quali io tento di edificare la mia teorica, avete con buona ra¬ gione aguzzate le armi in ispecie contro la soluzione da me pensata di quel problema, ed io dovrò con altrettanta diligenza difenderla. La. prima, cosa che, tornando a considerare tali ma¬ terie;., mi si affaccia al pensiero, è la tranquilla sieuranza del più de’ filosofi nell’oppugnare che fanno codor sistemi la opinione costante ed universale delle moltitudini la qual vuole e crede e sentenza le pene essere inflitte in virtù deir assioma che il male dee riscuotere male , Ohe assai giuristi b’ ingannassero nel dar ragione e dimostra¬ zione di quelli assioma, onelF interpretarlo e applicarlo, o pretendendo di porre accordo tra lui e le teoriche mag- gii 200 NUOVE LETTERE giormente opposte, non sarebbe daìnfiravi|liare più clic <1 altri errori c contradizioni assai facili ad intimarsi ne¬ gli studii speculativi, Ma il passar queli’assioma sotto silenzio e dare al diritto grave r solenne di punire origini e prove affatto contrarie al pensiero e al sentimento co¬ mune e considerar cìù come lieve faccenda e quasi una nobile noncuranza d’un vecchio errore volgare, parafi co¬ sa molto strana e prossima alla temerità. Ài matematici toccò in sorte per lu singolare c perfetta indole di loro dot¬ trine il poter usare spesso di alcuni metodi appellati di verificazione clic innalzano ì lor teoremi alF ultimo grado della certezza, A noi che versiamo nelle materie metafisi¬ che, prive di queir abito severo di scienza, concedevi dalla provvidente natura un riscontro fortunato ed una ripro¬ va perpetua negli adagi del senso comune: i quali, bene ordinati ed interpretati, compongono un vero metodo di certa verificazione. Per fermo, se dopo aver fatto cor¬ rere per li loro diritti sentieri F osservazione e F espe¬ rimento e altresì per li loro il raziocinio e la deduzione, 0 usando in tutto questo di ottimi metodi e raddoppiando a ogni tratto la diligenza e F arte, la meditazione e la critica, ei si trova ciònonpertunto che agli ultimi pro¬ nunziati e giudicai sileno contro o parécchi od mio sol* tanto degli adagi simun ent ovati, egli è da concludere liid uhitatarn ente chi tinàia via fu tenuta 6 che la voce della natura, attutita e sopraffatta per pochi istanti dalla strepito de-’ sistemi, risuonerà quanto prima gagliarda e vivissima in tutte le menti: e bene con un gran senti- ni'. ntu del vero solca ripetere Genovesi la natura non sì 'l u iL Ja borica de sommi principii consiste, a quello - io io ne penso ed ho pi li. volte scritto, a dar, se si può ]- S111 .,Vw- ^ "deuna prova logicale e strettamente ^ ' ltlxìs d dei placiti del senso comune. Ma cercare * ^ IC v * e c 0011 a ^ re prove opposte al tutto '■ liaU 1 con ^Ui, sembrami vanità manifesta* K DI TERENZIO AMIA XI 201 se rad o av v iene che po s s a la ragione cogliere sillogi z zan do le somme verità e porgerne dimostrazioni esatte e come a dire geometriche, per ciò appunto la natura l'lià prov¬ veduta della sapienza popòfere, in grembo alla quale po¬ tesse affaticata prender riposo, ed anche attingere nuovo vigore a nuovi tenta,menti. TI perchè la scienza umana speculativa ileW essere considerata come una vasta a magnifica tela condotta e tessuta continuamente sniror¬ dito del senso connine e aliar salitesi insieme con esso, e fuor del quale non può ire senza quasi certezza di far lavori vaghi e splendenti, ma tenui e fragili, come di ragno, giusta la frase di Bacone. Ma clic che sia di ciò, piacendo a molti di segnare altra via, per quella noi li andrena seguitando: e perdi e la materia riesce non poco implicata, e trattandosi di far risposta a molte obbiezioni di varia indole, non si può ordinare discorso molto metodico, tornerò a compar¬ tire il sabbietto in parecchi paragrafi sotto diverse ru¬ briche. § L Dì alcuni teoremi di scienza inorale. Io non so, e lo confesso, entrare in ninna considera¬ zione circa alla filosofia del diritto, senza visitar prilli a le dottrine etiche correspettive, parendomi che non si possa conoscentemente parlare delle specie c delle ap¬ plicazioni, qualora si taccia de generi e de p ri nei pii. Concedetemi pertanto, egregio Signore oidio volti anco tu qualche pagina di quel mio scartabello di morale filo¬ sofia o vi citi parecchi altri teoremi per giunta a quelli prodotti nella prima mia lettera, lo scelgo tra i più con¬ formi o i più prossimi alla nostra materia, rompendo 1 T ordine rigoroso di deduzione che ivi mantengono e non trascrivendo V apposita dimostrazione, se non quando la verità in essi raccolta paia sfornita di evidenza. NUOVE LETTERE 1&1 PRIMO. La legge morale è universa e perpetua; è giusta compiutamente: è una: sussiste per sè, non per rela- Z10ne * ^ priore infinito ; è santamente imperiosa, au¬ torevole e obbligatoria: e vale a dire eli 1 ella è il co¬ niando assoluto. SECONDO. Llu c ^ e 1 Stelletto., applicando i sommi principii 1 c fì iagione, deduce con ottimo raziocinio dal concetto bmie assoluto Q dall ordine universale, è scopri¬ mento di etiche verità certe, inerranti, apodittiche, e ogni precetto in elle iucliìuso è precetto indeclinabile della legge suprema. Corollario, paii, ciò che 1 esperienza induce di generale in* mino indole umana, e la mente viene di poi con- •erup e uu o come un fermo supposto, dà luogo a tante <>!! eC mi0ve (li P recetti inflessibSi e rii doveri ii espe .tm, quante sono lo relazioni awprfcite fra qtEél aato,potei.co e i principii .supremi della ràgfcmà e della ÌR gge morale. TERZO. è W . 1, i f C0,U,,nnasi Pianamente a tali prece è MBoiutò'mi "Vrll 8, 'V > * ■—« ”»* ■ l,ir “ ntmcl «wh, , ”‘ i e di maii ” QUARTO. pari natura assoluto 1 noT 1 ^ 0 dedott ’ avendo tutti 11 c , i ■ È1 possono sopportare ecceziui LI TERENZIO M AMIA NI 263 ma i più larghi e meno specificati comprendono i meno larghi e maggiormente specificati; e quindi in ogni con¬ dizione loro particolare risiede una limitazione certa non alla verità del precetto, ma sì alla moltiplicità dei casi in cui ella si attua. Scolio. 11 conflitto apparente de’ precetti morali sorge dal- T assumere noi per affatto incondizionata V ipotesi con¬ dizionata a cui mirano molti di essi. QUINTO. La scienza e la certezza che ha l’uomo di applicar bene i precetti morali a questo e a quel caso particolare e concreto, è scienza e certezza sperimentale e non as¬ soluta, perchè consegue e si forma per la notizia spe¬ rimentale de’ fatti e della lor contingenza. Ma ogni caso meditato come un supposto e trovato in idea tutto con¬ corde o tutto discorde da’ precetti morali, porge la no¬ tizia apodittica di un bene o di un male assoluto. SESTO. La bontà del fine non legittima il mezzo non buono. Dimostrazione. Il male assoluto non può venire esercitato in aspet¬ tazione del bene; da poiché falso e funesto dee riuscii e quel bene che sorge dall’operazione del vero male. L già il male assoluto non può addivenire minore d alcun altro qualsia, nè trasformarsi in vermi caso nel suo contrario, nè in confronto d un gran bene parei tenue NUOVE LETTERE 2(54 * e da non curarsi* Adunque, so il mezzo prescelto non è legittimo per sé stesso, mai non può condurre al bene: e qualora il contrailo ci sembra, dobbiamo accusarne la cortezza e dubbicta delle nostre esperienze e induzioni. Corollario, [luperciò F azione buona è da definirsi: la elezione libera e illuminata de' mezzi legittimi coordinati al fine del bene, SETTIMO. 0 bene etico è più largo e più comprensivo di tutto il bene dell'umana conviveva: e però questo noti può essere costituito fine unico e imprescrittibile di nostre azioni. OTTAVO, L'umano consorzio dee, quando può e fin dove può, attuare neir ordine suo contingente L assoluta giustizia, o vegli airi dire 1 equa e ( sapiente dispensa zi one de' premi i e delle peno. Dimostra.? io ne. L'obbligo qui significato è una necessaria specifica- zioue. dell obbligo sostanzialissimo ed Universale di cou- lormarele nostre azioni ^'ordine (teor. 4° citato nella l u b-tt.) e però conformarle ai documenti e alle leggi die esprimono la sua essenza, una delle quali vedemmo cs- '' u 'j ^ eo1 ' ^ lett lt) che il bene riscuote bene e il ma c riscuote male. Dicemmo quando puh a cagione che i ornano all umano consorzio molte condizioni, onde g i sia possibile e conveniente e in ogni parte buono e pioncuo di esercitare la giustizia pubblica sfipmento- >a a. Dicemmo fì n dove puh a cagione che a tutti gli DI TEllESZIO MA MTAM 2f 55 umani diritti sono certi limiti oltre ai quali disconviene che ascendano. Nè loro è lecito di scordare che ogni op¬ portunità e necessità dì reprimente e di punizione debbe conciliarsi al possibile con la legge di libertà e col pro¬ gressivo e. spontaneo perfezionamento degl'intelletti e degli animi. Dacché fine terminativo è il bene, e questo dilungasi tanto dalla purezza ed eccellenza sua propria, quanto riesce meno libero e meno spontaneo. NONO. La legge civile non può prescrivere ad uno o a pa¬ recchi individui maggior fatica e disagio di quello che sia compreso ne' doveri comuni e che importi la quota, a ciascheduno assegnata da essa legge e in proporzione con le facoltà respcttive. DÈCIMO. Nàuti uomo può dalla società civile venire adoperato quale mero strumento del bene comune. Dimostrazione. L’umano consorzio Ita per fine la imissima et alluno partecipazione al bene assoluto, e muno può venire escluso da simile intento, perchè comune più. non sarebbe, e per¬ chè l’unità sociale è collezione e somma ili veri e reali individui, ciascuno di cui ha inverso gli imperanti e le¬ gislatori quel diritto medesimo che tutta insieme la fa¬ miglia de'governati: ed essendo gl’imperanti e legisla¬ tori costituiti a vantaggio de’cittadini e non viceversa. Non può dunque il consorzio umano e chi possiede il coniando civile esigere da uno o parecchi individui tale officio che sia contrario 0 solo non conducente al ime di nuovi: lettere 266 questi. Nè mai basterà, per farlo legittimo, che tomi giovevole e salutare al fine di tutti gli altri. Insigne merito del Kant è stato di avere si nella Mayrni pratica e si nei Prjncipj metafisici del Diritto fermato con rigore, e validato con insistenza codesta massima troppo negletta dai pubblicisti e dai lo non mi so persuadere che tali teoremi non rie¬ scami evidenti ed irrefragabili a tutti coloro (e voi siete del novero) a cui si mostra necessario il fondare la mo¬ ia ita iud bene assoluto e nelle leggi eterne dell'ordine ' a que o informate, lo scenderò pertanto a mostrale <~oim, con la scorta di essi pochi teoremi si fermi e provi, anzi tutto la mia teorica intonici al diritto ili punire, poi si lasohano le obbiezioni e si sgroppino i nodi pei {iià i fteiiMUL eh ella non sia facilmente applicabile Siile molte e vai-,e contingenze dell'umana giustizia, § n. false teoriche della difesa indiretta « dell’ utile universale. senS^S n T V0glia re P utaTsi che rimanga tuttavia tafisicn il ì'Y n -/ lgl i f " Ulìlaiia Ja igiene intrinseca e me- vrj$*s** « .. "k*. », ... cbè, adoperandosi con ^.^7 venir Futilità universale e perpetua? e come dunque si nega che il solo rispetto alla cornimi utilità non basti a legit¬ timare il diritto di punizione? conciossiacliè, se vuoisi.un principio morale asseduto a legittimarlo, e ogni prin¬ cipio cotale ha per fine il bene, e il bene convertesi con Futilità universale e perpetua, io posso dall’uno e dal¬ l'altro egualmente desumere la ragione e legittimità di quel dritto. Aggiungasi che ogni mezzo conservativo del f|mieto viver sociale viene comandato eziandio dai Fastratta moralità, c che la giustizia punitrice è il mas¬ simo di tali mezzi. In fine, se la legge morale consente V equa c giuridica punizione de 1 rei, e se F utilità, comune e perpetua altamente la demanda, perchè non potio io sotto latritela del principio etico invocare altresì questo secondo principio dell utile, e assumeilo comemagione, misura c limitazione pratica del diritto di punii e * é iSS&fci iM-.UVK LETTERE Tali e simili ragionamenti sono andato io racco¬ gliendo fra me per farmi capace il meglio che io poteva de giudici! e dello opinioni di coloro che nello cose cri¬ minali invocano il principio dell utile e niente di mance non vogliono essere domandati etilisti. Ma la poca o ninna concludenza de' lor discorsi, parte s è avvertita da me nella prima e seconda di (preste lei- tere responsive; parte proseguirò a mostrare qui appresso con la debita brevità. La sentenza volgare clic afferma la vera utilità essere sempre onesta, e I onestà sempre utile, vuol significare sol questo, che 1 utile vero, cioè a dire la compiuta fe¬ licità di ciaseliedun individuo, dee conseguitare all’OS- senanza della legge morale: e che Tonestà induce al tempo medesimo e il bene pubblico e il bene privato* Quindi l onestà e la felicità debbono all'ultimo coinci¬ dere compiutamente, avvegnaché non sieno la medesima comi, e scambiar non si possano nella contemplazione 1 [ * Atteso che la felicità eziandio comune può ve¬ nne assunta bensì per finn pratico e respettivo, come materia dell opere oneste ed applicazione idonea de^rin- i pii, ma non come intento e ragione assoluta ed uub versale. In secondo luogo è da ricordare che tal sentenza po¬ polare intorno all’onesto ed alh utile non ò indotta dal- ^speuenza^ ina dedotta per raziocinio. Considerando ° 10 morale eterna esprimevi guel- P« ^ tutti quanti i finiti sono tecinazionp °7^ i ^ 1)ropria opacità, alla massima par- logica n} 1P v 6 teiie assaluto ? intendono per necessità ulTcel iSrr ?“"* >■**> ** *» riusci» l’osservanza f Uii, . x > C0S1 generale, come privata; e beatitudine nH]jt 08550 hiin!, ° (lomai1(] ato onestà; e la Ma rmoi’n™ 6 11011 transitoria. " 7 1,1 fasciando di guardare alla scienza DI TERENZIO MAMIANI 271 etica e di ni trarne fondatissimi filosofemi, si contempli la scienza dell’utile, quale si può inferire dalla sola quotidiana esperienza e dal riscontro di tutti i casi e di tutti i tempi a noi noti o supposti per simiglianza, quella continua e necessaria cospirazione dell’onesto e del¬ l’utile molto mancherà che paja sicura ed evidente. Im¬ perocché non solo le umane induzioni destitute dell ef¬ ficacia d’ ogni principio apodittico rimangono sempre limitate e meramente probabili, e lasciano sussistere tuttavia la possibilità del contrario, ma nel caso speciale nostro della induzione intorno all’utilità, ogni dì siamo testimonii della discrepanza de’ pareri; e ogni dì si leg¬ gono storie e trattati di filosofia della storia in cui si fa prova di dimostrare la utilità somma ed universale re¬ cata da certi gran fatti ed imprese di popoli, le quali innanzi agli occhi della ragion morale sono inique e abborrevoli. Io mi do a credere assai volentieii che pro¬ gredendo e maturandosi cotale filosofia, bambina fino qui e balbuziente davvero, e studiando meglio le fonti , gli effetti, la natura e il concatenamento della utilità pubblica effettiva e dell’apparente, potrà ella smentire eziandio con prova di fatto e con semplice raziocinio induttivo le moderne apologie delle colpe fortunate e delle illustri scelleratezze. Ma ciò non importa mo to alla nostra tèsi, per la quale basta verificarsi questo, che il riscontro perfetto dell’onesto con l’utile è dedotto dalla ragione morale assoluta; non è indotto dall’esperienza, la quale oltre ad essere varia, limitata e condizionale, permane parecchie volte così inceita ed avviluppata nei suoi giudicii, da non poter risolvere speditamente le con¬ troversie che insorgono intorno all’utilità o al nocumento pubblico di molti gran gesti de’ popoli e de’ governn Ciò veduto, si dee conchiudere che la utilità univer¬ sale e perpetua del consorzio civile ha da essere costante- mente desiderata e cercata, come materia ed app icazion . 272 NUOVE LETTERE dei principii etici ; ma che, nel fatto, non srt 1’ uomo e non può riconoscere sempre là dove ella giace ed in che consiste. Però è necessario la presunta utilità riscontrare di continuo coi documenti inflessibili della legge morale, e da questi giudicare la vera o la falsa utilità, non per lo rovescio dall’utilità giudicare il bene morale. Dicasi dunque, il fine perenne e supremo degli atti civili dover essere ogni sempre la massima comune par¬ tecipazione al bene assoluto. La comune utilità porgere la materia in cui si adempie quella intenzione ; e la legge etica porgere V eterna misura di essa utilità. Dalle quali tutte cose discende per ultimo che in¬ nanzi di giudicare la bontà e legittimità di un’azione col sol ragguagliarla al profitto, ovvero al danno comune che se ne aspetta, fa grandemente mestieri paragonarla coi principii regolatori perfetti della legge e della scienza morale : e che quante volte V atto paragonato dissenta da alcuno di quei documenti, debba venir reputato il¬ lecito e riprovevole, non ostante la massima utilità che sembri recare all’ universale ; imperciocché il teorema 7 ci viene insegnando che il bene etico è più largo e più comprensivo di tutto il bene della umana convivenza , e pero questo non può essere costituito fine unico ed imprescrit¬ tibile di nostre azioni. Ora, applicando cotali verità alla questione partico¬ lare in che ci occupiamo, agevol cosa è vedere che 1 atto del punire, se conseguir dovesse la legittimità sua intrin¬ seca dal solo utile generale a cui dà cagione, in niun modo il potrebbe fare. Essendoché il teorema IO. 0 poco innanzi citato rivela un documento morale assoluto, il qual dice, niun uomo può dalla società civile venire ado- perato quale mero strumento del bene comune . E ciò si ricava similmente dal teorema 9.° che dice: la legge ci¬ vile non può prescrivere ad uno o a parecchi individui maggioi fatica e disagio di quello che sia compreso ne 5 do- DI TEEENZIO MIMI A M 273 veri comuni o ch-6 wiporfì lo Quoto et cictsclwduìio asse- (putta da essa legge e in proporzione con le facoltà rispet¬ tive. Per fermo, se, esclusa la pubblica utilità, vien meno affatto la ragion di punire, segue che nel reo non è il dovere eli sobbarcarsi alla pena, in quanto è reo; e però, sottoponendolo a quella, egli vien dannato a fatica e di¬ sagio non equo, cioè oltrepassante la misura della quota connine. E se i giudici lo rimproverano della utilità generale non osservata ed anzi distrutta da lui in pa¬ recchi cittadini, sembrami che non gli sia sconveniente di rispondere: che c’entra il rimproverarmi, Signori? lo intendo l’utile a modo mio e Elio procurato alla mia maniera. Ilo sbagliato il calcolo, non il principio. E a quella massima vostra della utilità generale è tacile di contradire avvisando die troppe volte il vantaggio di tutti accade con lo svantaggio dei singoli; e giova me¬ glio arrischiarsi e pericolare, come ho fatto io, per un grosso guadagno di quello che fondare il proprio inte¬ resse in una astrazione. Salvo che voi siete torti ed ar¬ mati, io debole e inerme. Io sarò, dunque, manomesso, ma non punito. _ Del pari, la punizione ben meritata e tiene propor¬ zionata non va contro al fine sostanziale e supremo del delinquente, s'egli l’accetta qual mezzo d’espiazione e reiM&Gpjiione dèli anima propria. Necessità è impertanto che ratto solenne del punire, prima eziandio che rechi utilità all’universale, appara buono e legittimo per se medesimo e concordisi al tutto co’documenti della fogge morale. Quanto poi all’opinione di far procedere di pan passo il principio della moralità e il principio dell utile e di ri¬ partir fra loro gli uffici e E autorità, credo averne scritto abbastanza nella prima e seconda di queste mie nuove lettere. Qui è sufficiente l'aggiungere che se il gius pu¬ nitivo venga esercitato in nome non d altro che del a 5 18 •274 suo ve lettesi: pubblica utilità, non ò legittimo in ninna guisa: se in nome di alcun principio assoluto die innanzi a tutto il renda buono e morale in sè, l'utile non v’ha sopra al- trilla ragione: se in nome infine ® della leggo morale e «Ioli utile, con vie li di nuovo domandare: intendasi egli (V utilità Mipendente dalla legge etica, ovvero a lei subordinata come usuale rubinetto e materia in cui si effettuano e son praticati j principii del Irene? Nel pr> mo caso, ricadasi ne] primo supposto qui dianzi notate ed escluso: nel secondo, non v ha luogo a citare e in¬ vocare spartitamente la ragione e sanzione dell'utile; e già ogni, atto di virtù pubblica iutendosi elio studia e procura per fino pratico la civile utilità commensurata eon la legge divina. § ni. Della nostra dottrina intorno alla giustizia penale. . Q U ’ es ^o pertanto sembra potersi fermare intorno al r JUS P lln ^ vo c ho, mentre tutte Fai tre teoriche minano ni qualche manifesta contmdizione o coi principii logici ?. cm piiucipii etici, solo da ciò va esento la teorica del- espiazione. Imperocché, se ben guardasi nelle ninne- censiirG die le si fanno da tanti giuristi, ei si vedrà ricavate o dalla difficoltà delle applicazioni ° Oblisi ed enormità grandi Olii può ° a ^ cun SI1 ° apparente conflitto con certe fj T _ t/ \ e pragmatiche della giustizia pimi- nueil-i Xlff - )( ™ 0 clie daY °l egregio Signore, si repta nioraìp L p! a , m P®fB“a grave e continua col documento di ronfili-! E™ 81 prcscrive generalmente e assolutamente niun Ibudaim'nto'ilì v^V ^ c ° n . T0Stra appuri azione, ài \tnta e m si fatto giudizio. Già ter- DI TERENZIO MAMIANI 275 marnino più sopra che mai i precetti etici non vengono in oppugnazione fra loro, ma l’uno può limitar 1 altro se¬ condo che sono più o meno specificati. Per una di coteste limitazioni ci viene comandato, o meglio, consigliato che si renda bene per male ognora che non si noccia all eser¬ cizio santo e necessario della comune giustizia e non si confonda insieme il privato dovere col pubblico. E chi mai si dà a credere che l’opera del magistrato sia sol¬ tanto politica e non morale? E se morale, come non meri¬ toria? e se meritoria, come può dirsi che ella contraffa ad un precetto della legge divina ? E sia pure onninamente politica P opera del magistrato : ora, non dichiarate voi di volere che P utile si concordi con la legge morale ? E come si può concordare se l’una impone sempre di ren¬ der bene per male e P altro di rendere talvolta il male nella misura che venne operato? Senza che, noi notam¬ mo più sopra, il male punitivo essere bene m sostanza e male per accidente, e clr’ei si sustanzia in bene non solamente a rispetto della repubblica, ma della persona punita altresì, alla quale non pure si toglie e distrugge la speranza funesta e pervertitrice del rimanersi ino fesa e gaudiosa, ma s’introducono dentro alPanimo sti¬ moli gagliardi ed acuti di pentimento. Il perche Pla¬ tone nel Gorgia non dubita di asserire che la impunita è maggior male assai del delitto commesso, cappoicit, rimossa la espiazione, è pur rimossa in perpetuo la rein¬ tegrazione e il risanamento dell anima ce co P e ^° e Similmente, voi proferite che « la missione della ne- « cessaria retribuzione del male pel male non può con- « cepirsi imposta, come dovere, alla società, senza 1 a « tro corrispondente dovere della necessaria retribuzione « del lene per bene. In conseguenza, il diritto di punire « il male non sarebbe mai esercitato con giustizia, se « non a condizione che la legislazione sociale attnbuiss « del pari al merito ed al bene 1 prema e le ncom- « penso. » 270 NUOVE LETTERE Jo rispondo a ciò risolutamente elio voi ben v'appo¬ nete, e le congregazioni umane avere in fatto il debito di compensare quando possono e (in dove possono il bene cui bene. Di vero T qual fine costante proponesi egli il consorzio civile, se non se la massima comune parteci¬ pazione al bene assoluto? e di qual mozzo fa uso al- I adempimento di cotal fine, se non della comune coopc¬ razione ? e questa che altro ò mai nell' intrinseco suo, fuorché 1 adempimento virtuoso dei doveri privati e pub¬ blici? Adunque la società umai& procaccia sempre o dee procacciare di accrescere il lume in restituzione del bene, ^ici piu; per chi sono, u s ? intende che debbano essere, le dignità, gli onori, l'autorità, le pubbliche mostre di ossequio, d amore, d ammirazione, di gratitudine, se 31011 P er gli ottimi? e non viene assunto da ognuno per prova massima della giustizia e bontà delh ordinamento civile questo premiare appunto i più meritevoli? Certo, noi reale stato della umana convivenza, troppe virtù ri¬ mangono oppresse o in febei, troppe sconosciute c ue- glitte. ma chi non sente la. dura necessità di dovere in tutte, le cose mondane distìnguere con solerzia il fatto dall idea, 1 effettuazione dall'intenzione? Masi consideri davvantaggio ciré* oltre alla impossi- Imita permanente di conoscere tutte le buone opere e «tinniine il valor morale secondo il vero, la compagnia uniana non può in modo più diretto e .specificato rime- iinuo tutti i buoni senza incorrere in gravissimi scolpi \. - Sln 11 \ lim e 0011 trarie $1 suo li ne od al la gl us tizi a m e- ■ smnn ù per ferino, o la repubblica dispenserebbe in g Ì! ° ,Klsti certa dose di boni fisici o certi taréihe 1 P rim b ognuno intende die vomitivi ir ^ ieil 1 ^°^ are C0Q ingiustizia una parte della srs, ^ i,m ™ 8rit “ r >■ se ; meno eiiuit'L p 1B r:liJ, "" ' r6 ^ )6rc ] magistrati con molto o «I"U « «««onta,, ciò cfaè 1» p^bli» voce un dj terenzio imnm 277 fare continuamente; e oltreciò, dovendo la legge pre¬ sumere sempre l’onestà, dove il contrario non appari¬ sce o difetta, di prove-, U accomunano ente de’segni di sti¬ ma, a (punsi die ogni cittadino toglier obli e a Quelli il pregio morale medesimo per ctu verrei> borio dati in pre¬ mio": o tali scónci e difficoltà insuperabili sono pioemia parte dei tanti e quasi infiniti che il pensiero può andar cannando, tuttavolta elio si ponga a scrutare cotale ma¬ teria. Da ultimo, non ci cada della memoria che i do¬ veri adempiuti con aspettazione e sicurezza di fingo e proporzionato premio non tanno più lega con la viltà, dacché nell’essenza dì questa è per appunto l’operare disinteressato. Quindi, portale rispetto e a riscontro della giustizia distributiva, i due termini del male- e del bene sono in rapporto inverso: dacché il male impunito sicu¬ ri ssim ami ente moltiplica e il bene im premiato, negli ot¬ timi diventa più puro, negli altri si dirada. K menti e^pu aire il male è talvolta fiera ed estrema necessità, premiare il bene esteriormente e covami popolo è bello e (.legno ma non mai necessario. Concludiamo die V obbligo di ren¬ dere il bene, pel bene sussiste positivamente nel consor¬ zio civile di costa all’altro di rendere con giuridica e solenne equità, il male pel male; se-non die all esercizio pratico di ambedue cotesti obblighi la natura del c cosi- pepe differenze e contrasti e incontra limiti frequenti e non valicabili: onde la giustizia umana riesce un imma¬ gino monca, oscura, e, come 1 latini aman detto, eva¬ nescente della divina, c ih prova manifesta che essa divina giustizia debbi alla fine in mi ordine supmore snddi sfare al bisogno e al desiderio intenso ed nimei- sale dell-equità, inverso la quale gli umani studn e le umane arti addirizzano l’opera loro come ad un ter¬ mine costante, necessario e indefettibile, e che nondi¬ meno più sembra dilungarsi da noi «pianto pm pronao- nuove letteke ciamo di accostarlo e raggiungerlo; eoneiossiaehè egli è 10 scioglimento, se può dirsi, del dramma immenso e terribile il cui solo condii ci amento reggiamo in terra e 11 cui fine si compirà in [.scena superiore e in celeste e divino teatro: il che risponde a capello ai dite postu¬ lati del libro della liagìon pratica ; eccetto che là sono riferimenti e illazioni, qui sono un assioma incluso nel concepimento dell’ ordine etico universale Della verità pertan to della nostra dottrina risultano dal sino a qui pertrattuto due presunzioni fortissime; 1. una è che niun assioma e mun principio assoluto' nè di logica nè di etica la può smentire c cogliere in con- tradizione, come avviene dell' altre. La seconda è, die ella sola s accorda in modo compiuto con gli adagi del senso comune. Imperniò a provare direttamente la sua verità e la sua certezza dogmatica che altro orinai si richiede? Eichiedèsi questo d innalzare il suo pronun¬ ciato dall ordine delle verità e credenze istintive a quello delle dime strazi oid scientifiche, ha qual cosa appunto ho procacciato di adempiere io un po' meglio della più parte de filosofi, razionalisti, fra i quali non eccettuo Kant che sta contento a dichiarare elio nel diritto di puni¬ zione è certa specie d'imperativo categorico : e del prò- hlenta forse piti arduo e involuto di tutto il giure riem¬ pie. a mala pena due pagine del suo trattato della me¬ tafìsica del diritto. 1 Due parti ha la nostra dimostrazione. L’ima prova m modo apodittico la necessità e bontà del]'assioma clic 1 JiiTve riscuote bene e il male riscuote male. L'altra paitc prova che esp ri mondo cotale assioma una legge erna e Provvidente dell ordine, l 5 uomo, guardandosi ! f L I mf ’ 1 ' ' ' ^' :L cors a hi & & tratto e in uni ve rsale, ha t ì eh i to o rna u e di attuarla nel mondo civile, perchè ha dfi- i p ri melaMu'A del Diritto t voltati in fra-nceafc da J. Timot, p»g. 109. DI TEKEJS®J0 MAM1AKI bito di accostare quanto più può l’ordine subalterno im¬ perfetto al superiore perfetto, seguendo le nonne della ragion morale ebe addita a ciascuno i caiatteri s.icii e le l eggi eterne di esso ordine. In questa seconda parte giace adunque una logica necessità così patente c compiuta, come nella prima. Poiché presupposto il fatto della libertà umana e. la capacità di cooperare, benché in modo limita¬ tissimo, all’adempimento dellordine,ovvero d’fgporglisi o di perturbarla, conseguita espressamente elio le leggi eterne dell’ordine sieno dall'nomo praticate quando può e fin dove può. E veramente cotcste frasi : procacciare la massima partecipazione del bene assoluto,,bònformare le nostre azioni all'ordine e alle suo norme, riraovere gli accidenti die lo perturbano, cooperare all adempimento dei fini della leggo suprema, sono tutte equivalenti fra loro e tutte sinonimo, salvo che alcuno riguardano piu da presso all'intento, altre più da presso ai mezzi. -Ne alcun sianolo uomo, per minimo ed ignorante che sia, e sottratto "a cotesti uffici, in quanto racchiude virtual¬ mente ciò tutto clic è sostanziale nel nostro essere e lo fa parte e inombro della socievole compagina. Un vuol dunque negare le conseguenze, neghi toh fran¬ chezza il principio e disdica all'uomo o la liberta o il dovere o la capacità, di cooperare in qualunque modo e grado al conseguimento dello scopo morale universo. Ovvero, ascenda più alto e neghi a dirittura la. neces¬ sità e la bontà dell'assiomasummentovato. Lancimene uddrizzare i colpi dialettici: là vuotare (diroblierò ^poe¬ ti) la faretra de’sillogismi. Imperocché i pnucqmvo- glionsi combattere a fronte a fronte con altri pmcipiu Mostrare alcune esorbitanze che paiono uscire dalle 010 applicazioni, non basta. Sono percosse e ferite d hai co, non ledon le viscere, non vanno al cuore. E ™ J* poche volte che la mente si smarrisce nel disgioppa i nodi che involgono le conseguenze e le applicazioni n uve letti: re un sondano concetto, il quale ciò non pertanto e veris¬ simo 8 nella sua certezza permane immolale. ila perchè un mandamento della legge suprema sia praticato, ricercasi che 1*ipotesi avvisata c significata da lei possa venire ad atto nel inondo civile e il possa 10 guisa acconcia e bastevole; il che nella prima lettera abbiala domandato possibilità è conveniènza della pra¬ tte a del diritto. 1 m port a asgaissimo iliciagare co n iiiìt itu tezza e scrupolo questa materia, perocché in lei si oc¬ cultano lo. ragioni de'limiti entro a quali dee contenersi 11 diritto di punizione ; e la questiono di tali limiti, se ben si guarda, non quella del principio, ha mosso tanta censure e dato suono a tante voci contro alla teorica dell espiazione. Noi torneremo adunque su tal subhietto con più alacrità e diligenza che mai : e forse quelle che parevano obbiezioni insolubili e nodi non es tri cab ili, di leggieri si scioglieranno, perdio colto il punto essenziale del sovrano principio, non si dee dubitare che presto o tardi le- conseguenze razionali di lui non si assestino convenientemente ai fatti e allo pratiche ispirate e go¬ vernate dal senso comune, § iv. Delle facoltà e condizioni che pongono in atto la giustizia penale. Non che si debba asserire, veniva io scrivendo nella ..onda mia lettera, ninno aver ricevuto la divina codi- missione di reintegrare bordine perturbato; bisogna per I l osi ij a cimar risolutamente che non può sussistere * * Ir.,? CS i°^ ^^gente e imputabile a cui non sia esami^ V* ^ * otto m duella medesima lettera n h- ni plare e pesare ì darmi gravissimi recati dal- 1 Vl " dl r °P^oLo n* m tfwi a Xmiìine pmu'nntur. DI TERENZIO li ANI ANI 287 l’impunità al viver civile. Ma quando per lo contrario girasi l’occhio a que’danni e se ne misura la enormità e il crescere incessante die fanno, ogni dubitazione si estingue. Essendo che allora l’accidente della sospen¬ sione del mal. subbìettivo apparisce evidentemente non buono, divenendo occasione certissima e gagliardissima di delinquere e impedendo ohe il consorzio civile possa conquide procedere via via al perfezionamento di cia¬ scun individuo e di tutta insieme la specie; due sorta di darmi i quali sono di diretto contrari ai finì eterni e putì- ridenti dell’ordine : dappoiché a questi è apertamente contrario che si moltiplichine) fuor modo le occasioni gagliarde dì nuove e sempre crescenti infrazioni di esso ordine: e perché la ragione ci appalesa volersi costante- mente. da Hit) non solo che il consorzio umano possa du¬ rare, ma che viva fuor di violenza e di guerra intestina e giunga a uno stato cotale il'incolumità e di sicurezza da sentirsi capace di proseguir l’opera laboriosa del sociale perfezionamento. Lhi,spetto adunque dei man estremi del viver civile, quali si concepisce dover deri¬ vare dalla impunità, persuade invittamente 1 umana co¬ scienza che le diventa debito espresso e non declinabile di attuare la legge suprema della giustizia pumtnee e d’impedire le gravissime perturbazioni dell ordine oc¬ casionate dal troppo ritardamento e nascondimento de¬ gli effetti subbiettivi del mal morale. Emerge da tutto ciò una conseguenza notevole assai , e questa é che la pena inflitta legittimamente nei crimi¬ nosi dee vestire di necessità due caratteri primordiali. V uno di espiazione, l’altro di preservazione, caratteri come vedessi, ambedue morali, ambedue elhcienti. Se ia pena inflìtta fòsse unicamente cspiatncc, vale a diro sol¬ fito un male retribuito pel male senz’altro nspett e considera, zinne, ella rimarrebbe legittima m se e rispon¬ dente alla bontà e verità della legge etica, ma non le- 288 NUOVE LETTERE gittimamente i'uomo !’applicherebbe, perché manche r&Vbegli certezza di riparare all 1 ordine perturbato e di dover supplire alla temporaria e accidentale fallenza della legge suprema. Ma la pena inflitta nei delinquenti è altresì preaer- vatrioc. e tal suo carattere ne rende il preselivimento e 1 applicazione legìttima e doverosa, come pure ne segna assai nettamente i limiti. Mestieri è dunque nella retribuzione giuridica del male pel nmle distinguere la legittimità intrinseca del- 1 atto dalla legittimità sua estrinseca, cioè die quell'atto sia voluto e praticato dall uomo: la qual cosa costituisce in l'atto una relazione estrinseca del principio di espia¬ zione sì con lumino e si con le contingenze sociali. Re¬ plichiamo, importante, che l'equa retribuzione del male pel male è atto buono in sè stesso, perchè mantiene, di¬ lata, corregge e fortifica l'ordine morale mondano e in¬ sieme circoscrive, inceppa e consuma l’efficacia del male. Ma non sorge da questo immediatamente che l’uomo debba compier quell atto in qualunque tempo e per qua¬ lunque infrazione della logge morale. Bisogna a ciò che 1 indugiamento della pena si manifesti a chiarissimi se¬ gni quale profonda e ferole perturbazione dell’ordine, 1 che costituisce T al dir nostro, la legittimità estrinseca di esso atta La 3 Jena inflitta equamente dal magistrato è pre¬ sei tali ice eziandio dell’ anima del criminoso, perchè se- t.oml° si accennava piu sopra, il guarìmento di lei e il iuntcgi ai>i nell essere suo divino è fattibile unicamente co ! ( ] olor del rimorso e col dolore altresì della pena a ? J 31 ras ^gni ella volonterosa e contrita. Mirano a notai ime oggi gl istituti periitèmiarj : nè del rimanente la puia stessa capitale esclude la rassegnazione e la pur¬ gazione, Della pena equa e proporzionata sono quattro, nn[Kuts®LtOj i caratteri: la espiazione, la necessità, la DI TERENZIO MAMIANI 2S9 esemplarità e 1' emendazione; e possono, dii ben ii sti¬ ma, i tre ultimi venir compresi sotto la rubrica esatta e più generale di preservazione. Rimangono a considerare due cose. La prima die il fatto della impunità divenuta o da poter divenire enor¬ memente dannosa al viver civile è molto complesso e vario e indo cesi nè da uno nè da due casi particolari, ma da tutto insieme lo stato morale e civile di una con¬ gregazione di uomini. Questo fa che quando la giustizia comune lascia ingiudicati molti falli e concede grazia a parecchi colpevoli e consegna nelle leggìi! diritto di pre¬ scrizione e dà alla giustizia punitiva certi limiti terri¬ toriali, non manca punto al suo débito di reintegrare V ordine, o se piace meglio, di conservarlo, s tantoché ella adopera tali remissioni e indulgenze in qua soli casi e dentro a- quei giusti limiti ni cui l'impunità non reca al viver civile alcun notabile nocumento, principiando, come si disse, il dovere assoluto della giustizia umana là unicamente ove gli effetti perniciosi dell impunità di¬ vengono gravi e patenti. La seconda cosa che con vienili i avvertire si è che tal c tc m ] > e r a me nto deli' u m an a gi usti zi a. p era ei i d o i n c o n - cordia perfetta i due fini concomitanti di lei, V espiazione e la preservazione, cadono tutte le instanze fatte da voi t i da T seguaci deli'utilismo per mostrare appunto T im¬ possibilità di bene accordare qvm y due termini, nella teo¬ rica da me propugnata. Laonde quelle mie parole citate 290 NUOVE LETTERE La giustizia umana, come ogni altra azione conforme alla legge etica, è la elezione libera e illuminata d’ un mezzo legittimo, coordinato al fine del bene (Goroll. del Teor. 6.°). Ora, a qual bene generale intende V atto della giustizia? all espiazione del reato, alla prevenzione dei danni che reca l’impunità e al risorgimento morale al¬ tresì del colpevole, quando ciò non torna impossibile pei la tristizia eccessiva di lui. E con qual mezzo intende a siffatti beni? con uno legittimo e buono in sè stesso, che è l’ equa retribuzione del male pel male. Però se il mezzo è legittimo e buono per sè e non per l’utile che se ne induce, convenientemente si afferma che egli è fine a sè medesimo; e però il primo obbietto della giustizia essere l’adempimento della legge suprema la qual pre¬ scrive che il male riscuota male. Il senso comune avea già pronunziato da secoli la giustizia umana dover riuscire punitrice e preservatrice. Mala filosofia che va dietro all’istintivo senno volgare, sempre tarda e zoppa, come nell’ Iliade le preghiere de¬ scritte dal vecchio Fenice, non vide subito il collegamento intimo e metafisico di que’ caratteri. Il perchè, se mi vien fatto ora di coglier nel vero e d’ illustrare di qual¬ che nuova luce questa materia, il debbo prima alla cer¬ tezza e indefettibilità del mio principio, il quale, come filo d’Arianna, può scorgere il buon giudicio per intri¬ catissimi avvolgimenti; poscia il debbo (e piacemi di ripeterlo) all’acutezza singolare delle vostre obbiezioni e all’ avermi astretto a scandagliar meglio la profondità del nostro tema; tanto giova eziandio nelle contese scien¬ tifiche l’avere a fronte un valoroso contenditore. E se questo per ogni dottrina è vero, per la filosofia è molto più, perchè il poco e lento suo progredire esce tutto- quanto dalla discordia delle avverse opinioni; e però acutamente vide quel fisico antico, il quale tra i prim cipii generatori delle cose fece luogo eziandio alla lite* DI TO-EXZIG MARITA NI 291 Dopo le quali rettificazioni torna bene ctl acconcio il delincar di nuovo e con istretto discorso la fonda- mentale dimostrazione della nostra teorica; attesoché ora la luce vi cade sopra da ciascun lato ed è sì co¬ piosa e sì viva, die poco, al mio sentire, disgrada da quella che informa è illustra le geometriche verità; posto che le due sorta di discipline possano mai venir raggua¬ gliate in fra loro. Nè voi, spero, mi appunterete di no¬ iose reiterazioni, perchè io non conosco altro modo per rompere fi abito dei lettori di approvare dottrine con¬ trarie alla mia più per mente preoccupata die per la luce del vero. Noi. diciamo adunque la legge etica essere emana¬ zione e significazione dell’ordino sovrano ed eterno, in quanto esso rivelasi alle anime razionali e imputabili e prescrive loro le azioni a sé consonanti, TI die risponde per appunto alla generale definizione della legge addotta da noi, allora quando scrivemmo ch’ella è un comando umvermh, autorevole eoMUgatorio ; e il cui contenimento, sebbene diverso nelle diverse congiunture, sempre si an¬ nette alla massima partecipazione del bene assoluto. Ma se la legge etica è un comando, debbe accompagnarsi con lei qualche forza ed efficienza d’impèro, atta al consegui¬ mento del fine. E per fermo, la legge sfornita d'ogni ener¬ gia. e incapace per facoltà propria di mai raggiungere il tino, riesce (come notammo altrove) concetto contradit- torio: però, si suole affermare comunemente che ad ogni legge è apposta la sua sanzione: nè altro appunto signi¬ fica coiai vocabolo se non quella propria e intrinseca forza e virtù precettiva la quale resiste agl*infrangitori e contro essi (direbbero i fisici) reagisce. Con tale intrinseca vi¬ goria la legge non pure mette limite alle forze contrarie, ma impedisce loro che tornino contiinumiente a violarla e facciano tuttora impossibile l’adempimento del fine, Veggasi ciò in più distinto modo a rispetto della legge etica. 292 NUOVE LETTERE Chi opera deliberatamente contro eli lei, opera contro la legge essenziale del bene, quindi 1 azione sua è co¬ stituita nel male; quindi issofatto, e perla stessa natilin e necessita delle cose, trovasi egli diviso e dilungato dal bene e perde o scema le facolta del proprio perfeziona¬ mento: quindi la dignità e la luce dell*essere gli si oscu¬ rano, e i moti innati e potenti che il traggono all'eccel¬ lenza del vero, del hello e del buono gli si pervertono* Ecco la certa e spirituale sanzione che scaturisce dalla efficienza intrinseca e ineluttabile della legge ètica e fa regnare nell'universo l’assoluta giustizia. Ma la legge etica in questa presente scena del mondo debbe altresì tener relazione con Y ordine della sensi¬ bilità, il quale comcchè inferiore e mutevole e commisto d'infiniti accidenti discordi e perturbatori, non però di manco, nel suo tutto insieme entra a far parte dell or¬ dine eterno ed universale. La efficienza della legge dee pertanto lasciarsi scorgere, eziandio, in rispètto della sensibilità umana e delle umane affezioni o delle varietà e contingenze in die la stessa ragione d involge e s 1 adom¬ bra nella vita presente. Per fermo, ogni qualunque in¬ frazione della legge etica turba il nostro intelletto, col quale l’opera sregolata non si conforma, e dai cui pro¬ nunciati dissente; nè può l'animo non soffrir qual die tedio e rincrescimento d'ogni po T di menzogna e contrad¬ dizione tra il fatto e l'idea: e ciò è la sanzione manife¬ sta e sensibile della legge in risguardo del nostro essere razionale* Altre attinenze legano la legge etica con la vita no¬ stra interiore, mediante soprattutto quel senso delica¬ tissimo efee fu appostatamente domandato morale* Cotal sentimento innato ed incancellabile del nostro animo non prima viene offeso e avversato da alcune scorrette deliberazioni^ che s’irrita e cresce (V intensione e di squisitezza, e tal reazione (come i fisiologi la chiame- DI TERENZIO MÀMIÀNI 293 rebbono) è per appunto il rimorso; seconda sanzione che opera e si manifesta nella interiore sensibilità. Le azioni gravemente nocive ai comuni diritti e però contrarissime alla legge etica terminano con l’attentare agli altrui beni e possedimenti e provocar di fuori le re¬ sistenze e le ripulsioni, ciò che da ultimo arreca mali più manifesti e sensibili al reo e compie il terzo genere di sanzione, il quale opera segnatamente sull’esterno sentire umano. Ma cotal terzo genere va più che gli al¬ tri mescolato di varii accidenti e più soggetto alla for¬ tuna ed al caso. Ora, la umana giustizia che altro fa e procaccia se non espressamente questo, di abolire il gioco della fortuna e sottomettere a regola le private resistenze e il vendichevole istinto e però accertare alla legge mo¬ rale con misura e consiglio la esteriore e visibile sua sanzione ? Per altro, non a tutte le infrazioni della legge etica può e dee porre compenso la legge umana; e la neces¬ sità e convenienza dei limiti del suo reagire discorre¬ remo partitamente qui appresso. Mi giovi al presente di avvertire una cagione limitatrice particolare, la quale si palesa e dilata quanto più il genere umano s’ingen¬ tilisce e perfeziona. Nel vero, fra tutti gl’impulsi che mover possono Tuonio ad ottemperare alla legge, il più basso ed ignobile è senza dubbio il timore della pena e la materiale coazione; il più alto invece e più merite¬ vole è la libera e spontanea conformazione dell’intelletto e della volontà con l’ordine morale universo e coi docu¬ menti della saggezza divina. Quindi allato della legge umana costringente e sforzatrice è il limite che le pone il diritto di libertà e il progressivo sviluppamelo della spontaneità dello spirito; due cose che son cardinali nel¬ l’ordinamento supremo ed universale del bene, e pigliano maggior vigore e maggiore amplitudine col crescere e propagarsi fra gli uomini la sapienza civile ed il senti- Kl'OYE LETTERE 294 mento della dignità c responsabilità d ogni singolo ni l'accia dì se e in faccia della repubblica, Il perche alle logici nostre correttrici e penali torna come a titolo di perfezione il menomare e circoscrìvere a potai prò volta la propria azione coattiva, intervenendo cola solamente dove r opera criminosa mette a repentaglio quella so¬ ciale incolumità necessaria all esercizio e all amplia- zione della libertà essa stessa «:■ della spontaneità dello spirito. Ma bastandomi d’aver di nuovo toccato per incidenza cote sta grave materia della libertà, io reputo, dopo le latte parole, di potere con gran saldezza di prova, con¬ cludere che la teorica della espiazione esce bella e in¬ tera dagli infrascritti due assiomi, de quali il primo sen¬ tenzia clic legge vuol dire forza, e in sì fatta forza e virtù consistere appunto la sua sanzione; il secondo alierma, P ordine e la legge universale del bene avere altresì la propria forza efficiente, e mi atto di tale efficienza es¬ sere la pena. § V* De* limiti all’esercizio del gius penale -e d’alcune invalide obbiezioni. Compendiando la discorsa materia, che molto rileva tener presente al pensiero, diciamo non essere il p rlTh cipio politico, od una ragione speciale di giure umano o altra ragione quale che sia diversa dal principio da noi proclamato, ciò che origina il dritto di punizione c m segna le norme e i confini, lai ragion morale ci sono- pre che la giustizia pìinitrice e ri numeratrice è legge e fondamento dell’ordine: imperniò Tuonio il quale coo¬ pera all’ adempimento di esso ordino, nonostante le un- perfezirmi c gli errori del mondo civile, sente obbligo U1 TERENZIO MÀMtÀNf 29 j aitarsi di cooperare all'attuazione della legge universa dell 1 equità e della giustizia* Butta vòlta, egli non può procedere a praticar ciò se non fornito delle facoltà re¬ spetti ve, e solo in quanto la divina giustizia sembra ce¬ larsi e viene deviata temporalmente ed in qualche grado rial corso suo. Imperocché r ordine è da pertutto, e in nessun dove r efficacia delle sue leggi può sostanzial¬ mente rimanere tronca e annullata. Solo gli accidenti la turiamo, la nasco odono e la ritardano con pino meno di danno e sofie rimonto comune, A combatte re qualun¬ que di tali actùdenze perturbàtricì è chiamato l'uomo, e però ancor quelle speciali e particolari die impediscono in alcun modo e grado T eterna giustizia. 17impedimento pai die è tutto fuori dell'ordine, e oppone si di diretto ni fini di provvidenza, si fa aperto e manifestissimo dalle colpe gravi e moltiplicate e dalla certa e crescente mina del consorzio civile a cui dà occasione. Di quindi ritraggo l'uomo il dovere imperioso, evidente e ben definito di esercitare la giustizia punitrice e preser va.tr ice. Ora diciamo die da questa forma di origine e da questa continua circospezione s‘ iute.ri scono assai chia¬ ramente i limiti di tal dovere. Per fermo, ei se ne infe¬ risce per prima cosa non poter esser materia legittima della giustizia punitrice umana, que'mancamenti e quello colpe, la cui impunità non reca grave e durevole pertur¬ bazione al consorzio civile. Stante eh è solo dall apparirò di tali effetti incomincia all'uomo il debito di praticar la giustizia. E già per grave e durevole perturbazione della società umana spiegammo di sopra che d'uopo e d.’intendere l'occasiono del delinquere aliarguta e mol¬ ti plieata per modo che temer faccia al consorzio civile dì. non poter oltre proseguire ad adempiere i fini essenziali a cui tende e doversene anzi di scostar e di pili in più. Ogni mal morale assai grave è dunque in astratto di buona per- tinenza della giustizia punitrice; e distinguere le colpe 2lH> X ITO VE Ir ETTE HE politiclie dalle morali, l’esteriori dalle interiori, quelle che cadono sotto il dominio dell’ etica da quelle che setto il diritto, le colpe adoperanti la forza fisica dall'altre che non Adoperano, quelle che trasgrediscono i doveri per¬ fetti dall 1 altre che violano gl*imperfetti, è diligenza e studio che coglie pochissima precisione eli limite ed è inopportuno affatto al nostro proposito. Ogni atto umano di qual sìa natura e forma, ripeto io, diviene materia le¬ gittima della giustizia punitrice comune, qualora illecito sia e rechi, rimanendo impunito, grave e durevole per¬ turbazione al consorzio civile. Di quindi nasce che al imi¬ tare delle condizioni sociali incontra non poche mutazioni la materia altresì del diritto di punire: e tal colpa fu un giorno esclusa dalla giurisdizione criminale che oggidì vi è compresa, e tal altra ne viene esclusa oggidì che iti altri tempi non venne. Da ciò apparo similmente la ino possibilità dì determinare a priori la competenza o in¬ competenza del gius penale per ciascuna sii e eie di fatti imputabili; e le sottili distinzioni pensate da molti giu- risprudenti bastano forse al disputare delle scuole: non bastano alla pratica del diritto. Anche la distinzione ad¬ dotta da voi ne porge prova non dubbia. Perche voi, po¬ nendo la condizione qualitativa del reato nell’uso della forza fìsica o della morale, volta a commettere Y altrui danno, confondete il reato con ogni specie di colpa la quale rechi nocumento ad altri uomo. E di vero, in ognu¬ na di così fatte specie, o V ima o l’altra delle due forze è di necessità adoperala, e solo può differire e mutare o per la natura o pel grado. A ogni modo, le distinzioni doveano esser dedotte dalla più o meno importanza degli effetti delle opere umane, non dalle condizioni loro in¬ trinseche o estrinseche, nessuna delle quali potrà sot¬ trarle debitamente all'imperio della giustizia cernirne penale. Il criterio da noi proclamato della grave e dure¬ vole perturbassione civile vien dedotto per appunto dalla mm DI TEKENZIO MA MANI 297 valutazione fi egli effetti ostensibili, non dalla natura delle cagioni, e pelò accenna, come .si disse, a uno. stato vario e coni plesso di cose, la cui notizia e la cui stima, vera, aggiustata ed universale, non può altronde scaturire die dall' esperienza 1 nè rimanere immobile e come assoluta in mezzo al continuo mutare de’fatti. Se non che, ricer¬ cando il berne e la quiete del consorzio civile die le leggi tanto siano buone, quanto certe e durevoli, gran senno ci vuole, grande meditazione, grandissima maturità di consiglio e di scienza avanti di procedere a modificarlo o in parte mutarle. À quella notizia sperimentale poi, onde vanno i giu¬ risti riconoscendo e determinando i reati, presiedono, confò di ragione, molti principi! e criteri! pratici de¬ sunti parte dalla scienza delì T uman cuore, parte dalla scienza morale speculativa, che ò il solo porno e la sola fiaccola di tutte mai le dottrine riguardanti il bene. 1/ uno di questi criteri i insegna che molte colpe e vizi! possono impedirsi e diradicarsi piuttosto con certe forme di pubblica educazione e di civili istituti die con lo spavento della punizione, il quale costringe e sforza le volontà assai più. che non le migliora. Un secondo criterio insegna die la coazione delle leggi non può trapassare alcuni termini senza promo¬ vere nuova e piò violenta resistenza degli animi, ov¬ vero cacciarli nellcstreDio contràrio, infiacchendo troppo e agghiacci andò l'ardore e il moto dogli affetti, e delle opere. Ir intromettersi coti diano e minuto delle legislazioni orientali partorì cotesto effetto per appunto della igna¬ via generale. Un terzo insegna essere minore perturbamento so¬ ciale il ripetersi di certe colpe di quello che avvezzai 1 uomo a vile e continua simulazione, alla li ode ( al l 7 ipocrisia. 298 NUOVE LETTENE Un quarto insegna trovare moltissime colpe un ar¬ gine sufficiente nel progresso medesimo della civiltà, nella prudenza e cautela ordinaria d’ogni singolo e nella pena morale del sospetto, del disamore, del biasimo e dello sprezzo. Un quinto insegna che alla pena giuridica bisogna per riuscire fruttifera l’aiuto e come a dire la sanzione del voto pubblico, l’essere reputata equa, necessaria, efficace e inflitta per colpe che sveglino infallantemente la universale riprovazione. Io non prolungherò davvantaggio cotal rassegna, che tornerebbe tediosa ed inopportuna all’intento di questa lettera; e molti libri moderni ne trattano con abbon¬ danza e con perspicacia non ordinaria; oltreché, io parlo ad uomo il quale tutto quel fascio di discipline sa e co¬ nosce nelle più intime parti. Questi miei cenni vogliono unicamente significarvi che tutte mai le limitazioni del dritto di punire derivate dalla considerazione del mag¬ giore o minor profitto del consorzio civile emergono diret¬ tamente e razionalmente eziandio dalla bene applicata teorica dell’espiazione, senza bisogno veruno dell'inter¬ vento d'altro principio. E già qui sopra io notava le re¬ lazioni altresì della legge penale col progredire della libertà e della morale spontaneità fra gli uomini. Una seconda specie di limitazione all’esercizio del gius penale giace nella natura e imperfezione de'mezzi: i quali per essere tutti umani riescono assai di leggieri insufficienti e son mescolati di molti errori. Di qui pro¬ cedono le attente circoscrizioni, le cautele, le guaren- tigie, le pratiche studiate e proclamate da sommi giu- risprudenti (massime nella seconda metà del passato secolo ) ora intorno al costituire il giudicio e al provare il fatto eh’esser dee sua materia: ora intorno alla reità dell imputato e al proporzionare e applicare la pena e all’eseguir la sentenza. DI TEREUZIO M AHI A SI 299 Non clip dunque sia da temere, come a voi sembra, che la nostra teorica ripopoli le antiche prigioni e rac¬ cenda i pica roghi e rinnovi que’ gitulieii di cui dura in¬ fame e odievolo la memoria, diciamo invece che la innocenza riposta e non visibile dell'ànimo e il culto coraggioso della verità non troveranno inviolato riparo 0 scudo saldo ed impenetrabile se non sotto la tutela de’nostri prineipii. Conciossiachè il principio contrario addimandato politico, misurando la rettitudine del giu¬ dici o principalmente dalla necessita della pubblica sa¬ lute, molte volte verrà tentando e persuadendo altrui di sacrificare a questa le vite degli imputati. E se qui la materia potesse patire gli ornamenti rettorici, troppo agevole mi sarebbe 1 adoperare tutte insieme e con ab¬ baglianti colori le figure dell'esempio, della enumera¬ zione e della redarguizione, mostrando eoa mille passi di storia di quanto sangue non reo abbia macchiato il mondo la intenzione abusata dell'utile pubblico e quel gridare coi vecchi Curii e Sabini — Sahtspopuli, supremi» lex esto. Ecco, una vasta contrada è lacera e insanguinata da lunga guerra civile. Il figliuolo d un pretendente com¬ batte con varia fortuna per que diritti ch’egli, allevato nell’errore e nelle passioni della sua parte, erede veri ed inprescrittibili. Un giorno viene assalito e disfatto: già è caduto prigione, già è menato dinanzi ai giudici. Ponete mente: l’opere sue esteriori paiono forte accu¬ sarlo: la lettera nuda e grossamente interpretata della legge il condanna, le genti domandano ad alte grida il suo sàngue: uè per solo sdegno, ma per pietà lo doman¬ dano inverso la patria; perchè, spento lui, la guerra civile si spegno, e innumerevoli sono le vite innocenti sa ure, innumerevoli le colpe, i rimorsi, le lacrime, le ruiue le de¬ vastazioni risparmiate col prezzo della sua testa. Oi di¬ temi in grazia, qual sarà iltenore della sentenza de giu- XUOVK LETTERE dici, posto elle vogliano conformarla al principio politico ? quale obbligo è in loro di scandagliare i profondi secreti della coscienza dell 1 imputato e di misurare il giudicaci a non altro che al valor intrinseco de' suoi desideri! e delle sue intenzioni? Ma la salute della nazione intera e il testo delle leggi e il suffragio della pubblica, opinione non bastano? Or ponete per lo contrario seduto in tri¬ bunale un uomo nel cui cuore stieno i principii incrol¬ labili della nostra teorica. Costui, guardando primamente neir animo dell* imputato c nel valore morale ed intrìn¬ seco delle opere, riconosce in quel ruotilo uno sfortunato, ma non un reo: vede una mente Ini Ite vota di errore, ma integra, negl'intendimenti e nobilissima negli affetti. Do- v'è il p ec c at o, p ronu n z i. a egli a s è s te sso, do ve 1 a vo gl i a determinala del m rifare? Tolga Dio ch'io mi arrichii di condannarlo ! Così decide e così sentenzia. Fremono intorno di lui, giusta la pittura Oraziana, le passioni po¬ polari , come oceano burrascoso; ma egli tenace del suo santo proposito non. inchina e non solleva ad arbitrio di quelle gl'intemerati fasci delle giustizia. Ben vorrebbe a costo della sua vita ammorzare V incendio del civile conflitto, mn punire chi nel cuor non è reo, Dio mede- si ino noi potrebbe. Se volgete rocchio, va egli dicendo, alla sola utilità, alia salvezza sola dello Stato, aprite i libri di Niccolò Macchia voi lo e con osso lui consigliatevi. Imparerete in fra l’altro cose che allo Statò ed al prin¬ cipe il modo più certo e spedito di assicurarsi del pro¬ prio avversario è quello di ucciderlo : onde che nel se cole decMosesto le due parole s'orano fatte sinonimo. Ma non citate le leggi, non fate appello a noi sacerdoti di 1 emide, a noi vestiti dì questa venerabile toga che dee serbarsi immacolata, come V ammitto di quegli inno- venti lavati del sangue dell 1 agnello divino. Voi non ces¬ sate dì gridare essere utile r/rande che un solo uomo peri- DI TERENZIO MAMIÀNI 301 sca per tutto il popolo 1 . Ora io vi dico in verità che il sangue di quell’ uomo ricadrà sopra di voi e che la rovina di mille mondi è assai minor male d’una ingiustizia. Il fatto sta che in onta delle teoriche utilitarie, la coscienza universale non comporta a’ dì nostri di udir parola di tribunali e giudizj politici per sola questa ra¬ gione che la reità dell’ imputato o non sussiste o non si prova. Per ciò medesimo è iniqua e detestabile la memo¬ ria del Sant’ Uffizio e dei roghi spagnoli, perchè vi si dannavano le credenze, non le fallenze e vi si punivano non le colpe ma le opinioni. Avvegnaché dalle cose ricercate e discusse nella pre¬ sente lettera venga prontissima la risposta alle obbie¬ zioni numerose onde avete, come a dire, investita d’ogni parte e stretta d’assedio la mia dottrina intorno alla genesi del diritto di punire, ciò nonpertanto voglio mo¬ strare particolarmente la insufficienza, di due di esse, le quali non parranno forse ad ognuno cadere e dileguarsi in virtù dei passati ragionamenti. L’una dice: « Ammes- « sa nella pena la sola idea della espiazione , cioè la ne- « cessità di venir l’autore di un male morale sottoposto « ad un male fisico , è forza convenire che il male del « reato non sarebbe mai meglio espiato che quando lo « stesso colpevole.... infliggesse a sè stesso unmalepro- « porzionato alla colpa, vai quanto punisse sè stesso. » La seconda dice: « Per la stessa ragione dovendosi nel- « P esposto sistema attendere al solo demerito del col- « pevole ed alla giustizia di essere soggettato ad una « data misura di fisico patimento, se 1 autoie di una « grave ferita sia dopo alcuni giorni raggiunto dalla ven- « detta di un congiunto dell’ offeso e ricoperto di molte « e più gravi ferite , avrà bene a sufficienza soddisfatto « la giustizia della retribuzione del male pel male. » 1 S. Giovanni, Cap. NI e XVIII. 302 NUOVE LETTERE Una medesima è la virtù e ragione di ambedue le instanze, e però con un argomento medesimo rispondiamo ad entrambi. Perchè un male fisico assuma il carattere sacro di espiazione esemplare e giuridica, occorre ch’ei venga inflitto equamente e debitamente da quella potestà alle cui sole mani il consorzio civile affida il dovere so¬ lenne della comune giustizia, e in cui dimora una mo¬ rale preeminenza. Ma è contradittorio a dirsi che il reo costituisca, sè superiore a sè stesso, e rimanendo privato si arroghi l’ufficio e l’autorità pubblica di magistrato. Del pari è contradittorio che il congiunto dell’offeso pretenda compiere un atto di giustizia retributrice non uscendo punto della sua condizione d uomo privato nè della egualità morale e civile in cui trovasi a rispetto del reo. Accenneremo qui una terza obbiezione promossa da un molto nostro amico e chiarissimo tra’viventi filosofi, il quale testé ci scriveva queste formali parole: Vuomo non ha neppur mezzo per conoscere e misurare il grado Clel¬ ia imputazione negli atti umani , cioè la misura assoluta e relativa delVarbitrio e delVaffetto: giacche il demerito è sempre in ragione diretta delV lino e inversa delV altro... Dunque la sola base legittima ed essenziale del diritto di punire è la necessità sociale . 1 A instanza sì fatta sembra adattarsi bene V adagio popolare che dice chi prova troppo, nulla prova. E va¬ glia il vero, accettando l’obbiezione siccome valida ed invincibile, converrìa dichiarare ingiusta ogni umana giustizia. Per fermo, in qualunque sistema di giurispru¬ denza penale suolsi confessare non solo che l’innocente dee sempre andare assoluto, ma eziandio che la pena per rimanere ne’termini dell’equità dee proporzionarsi al maleficio. Ora, e per P uno e per l’altro, viene ad uopo 1 Vincenzo Gioberti. DI TEH'EÌTZrO MAMIASI 303 Li .cognitiolio certa ed esatta del valor morale delle azioni imputate; e se questa si vuole avere per impossibile, al¬ trettanto è impossibile clie la giustizia umana, iniqua non sia. ila la discreta ragione di tutto ciò ne insegna ohe in esercitare la giustizia, quanto in ogni altro atto movale, la nostra scienza e la nostra certezza di applicar bene i proiètti hanno un valore sperimentale e non as¬ soluto (Teor. 5P) : il che tuttavolta non può interdirne di praticare il bene quanto meno imperfettamente si può. Fallibile, come si disse, è la giustizia umana, infallibile F assoluta, e quella è fallibile, perchè finita e condizio¬ nati! , o perchè nella pratica versa tra gli accidenti e le minute contingenze dd fatti : e se procaccia per appunto di rimovere o metter riparo ai casi perturbanti in al¬ cuna guisa, e per alcun tempo la giustizia infallibile, il fa con quella limitazione di facoltà e quella incertezza rii scienza che alla nostra natura sono inerenti. Sìmile molto all'opinione deir amico nostro è pur quella dì parecchi giuristi modèrni dell'Alemagna. Re¬ putano costoro che nel potere sociale risiedendo il su- p rem o < 1 o v e re di di fe nder e e g u ar e n tir e il v i v er ci v i 1 e, risegga altresì il diritto, di adoperare i mezzi necessariì a. ciò conducenti. 10 porche,rimosso il diritto di punizione, tal difesa e tal guarentigia tornano affatto impossibili; e perchè d’ altra parto è sciocchezza dire che al poter sociale venga ad un tempo comandato un ufficio e negato il mezzo di compierlo, così m segue logicamente e di piena morale necessità il potére sociale dover essere in¬ vestito del diritto di punizione* Le cose più sopra discorse abbattono con agevolezza, grande, a quel che ci pare, cotesto argomento, il qual comincia equivocando e afferma il diritto come un pre¬ supposto che regge da sè. Ogni dovere non meno che ogni diritto è negli adem¬ pimenti suoi sottoposto alla moralità e alle condizioni 304 NUOVE LETTERE pratiche universali degli atti umani; cioè a dire, che l’adempimento ha luogo sempre che si può, fin dove si può e con mezzi di natura loro legittimi. Imperocché, come assai volte notato abbiamo, il bene etico è più largo infinitamente di tutto il bene sociale umano; e questo non essendo il fine assoluto degli atti morali nè dell’ or¬ dine eterno di provvidenza, la bontà o tristizia assoluta de’ mezzi non può determinarsi dalla sola attinenza loro con esso fine. Ora, distaccandosi dalla pena giuridica la considerazione della sua virtù espiatrice e avvisan¬ dola solo qual mezzo necessario a guarentire il viver comune, certo è ch’ella diviene azione illegittima ; con- ciossiacliè contradice immediatamente e apertissima- mente a uno o più precetti supremi e assoluti dell’e¬ tica universale. E prima contradice al precetto il qual vuole che non mai nè per qualunque necessità l’uomo venga adoperato siccome puro strumento e puro mezzo del bene altrui. Ma il reo che lascia mozza la testa sopra il patibolo, che altro è nella teorica di tali giu¬ risti se non istrumento necessario del bene sociale al¬ trui, del quale non potrà certo il condannato parteci¬ pare nel men che minimo grado? Ma più; se il reo non vien punito per alcun rispetto che s’abbia alla legge eli espiazione, e solo si bada al gravissimo danno che reca al consorzio civile, uccidere Orlando pazzo e furioso che mena strage all’intorno e uccidere giuridicamente alcun vile assassino fanno una medesima azione morale, ri¬ chiesta dalla medesima necessità; e l’essere l’uno in¬ nocente e colpevole l’altro nulla vi toglie e nulla v’ ag¬ giunge. Del pari, se un uomo non reo paresse tale a ciascuno in maniera evidente, e solo al giudice fosse nota la sua innocenza, ma in guisa però da non poterla al¬ trui dimostrare ( come alcun novelliere moderno ha raccontato o finto d’un magistrato maltese), tal magi¬ strato nessuna colpa commetterà a condannare quell’ in- NUOVE LETTERE 305 nocente, imperciocché nel supposto eia noi messo innanzi, il futuro danno e i pericoli della società umana non di¬ pendono guari dalla verità o dalla falsità intrinseca del reato, ma sì dipendono per una parte dal crederlo tutti reale e vero, e per l’altra dal vederlo franco e impunito. Da ultimo, la utilità pubblica, senz’ altra virtù e scorta di morale principio come può creare la facoltà di af¬ fliggere altrui e con lunghi e gravissimi stenti cruciarlo? o per lo manco privarlo di libertà, segregarlo da ogni consorzio e costringerlo a lavoro assiduo, faticoso e mec¬ canico? Attesoché, secondo la loro dottrina, quei mali sono mezzi e strumenti al fine dell’utile e non già pu¬ nizioni ed espiazioni. Oltreché, il dovere da essi invo¬ cato di ben difendere e guarentire il viver civile che significa egli e donde proviene? Se dalla legge etica, non istà solo e trae seco l’altro di usare eziandio di mezzi moralmente legittimi. Se dalla necessità idi fatto, ella non genera alcun dovere; e chi usa di questo vocabolo non può assegnargli un valor materiale ed incoerente. Insem¬ inarla piu parte delle censure vibrate contro alle dottrine degli etilisti torna qui in campo con altrettanto di vigore: la qual cosa procede da ciò che le due teoriche, guardate nel fondamento loro, punto non si differenziano, accet¬ tando ambedue a principio supremo della filosofia del giure la sola umana socialità; error grave, secondo noi, rinnovato e propalato da Grozio con tutta 1 ampia sua scuola. Ma già nel cadere del secolo XVII, Leibnitz la¬ sciava intendere che può dubitarsi se il conservare il con¬ sorzio umano sia il principio primo della natwf al legge . 1 Nè già per questo vogliano, negare che dal debito ge¬ nerale di conservare in istato e preservar da mina la comunanza civile non possa dedursi convenevolmente il diritto e il debito insieme della giustizia penale. Sol¬ tanto affermiamo tale deduzione e così originata, dover 1 Leibnttit, Opnv. Tom. IV, pars III, pag. 271. 20 NUOVE LETTE HE Ut TUR ENZfO MA MI A NI mi) sempre tenere riferimento all*ordine umano civile come specificazione e parte dell’ordine morale universo* Ciò presupposto, non sarà lungo nò malagevole condurre la serie dei respettivi raziocinii e giungere alle conclusioni medesime per addietro da me descritte. Obbligo e ufficio costante della repubblica si è di ser* bare se stessa disposta e capace all* adempimento dei propria suoi tini usando di ogni mezzo intrinsecamente buono e legittimo* Ma le azioni criminose, dove fossore franche e impunite, impedirebbero in troppa gran parte il (/Oli seguimento dei sommi fini sociali: adunque lare- pubblica intende continuamente a reprimerle e ad bri- peditto con ogni lecito mezzo: e perchè la pena pro¬ porzionata al delitto è mezzo 1 ntrinsec&mente buono e legittimo, di esso fa uso con giustissima autorità, inve¬ stita alle persone dei giudici. Questo è il nesso e la virtù logica di tutta quanta la deduzione che move dal fatto generale costante del sussistere gli uomini in comunanza di vita: e a rispetto ili che la teorica nostra nel suo midollo non muta: ma soltj fa manifesto di potere assumere secondo i casi due differenti costruttore. Fra esse poi la diversità maggiore che interviene si è, che nell*una V espiazione tien luogo più specialmente di fine, e nell* altra, più specialmente di mezzo. In effetto, ambedue tali forme di deduzione appartengono alla natura spirituale dell'uomo. Quella tla me proposta gli appartiene come ad ente imputabile e nato cooperatore spontaneo del l’ordine morale presta- hilito. La feconda come ad animai compagnevole e nato od aiutare per tutte guise legittime il consorzio civile, b* non farò disputa alcuna per assegnare il primato ad ima ovvero all'altra di tuli forme. Solo dirò che la maniera di deduzione da me praticata nelle presenti lettere fu necessariamente richiesta dall* ordine puro antologico che mi piacque di seguitare* LETTERA QUINTA Rimane che io difenda l’ultima parte delle mie let¬ tere, ove fu discorso della misura delle pene. E prima noto che quando pure io mi fossi ingannato in quella ricerca difficile e sottilissima, non perciò se ne potrebbe inferire che la teorica generale da me professata ruini nel falso. Però io non mi stenderò gran fatto in tale materia, e tanto solo quanto bisogna a mostrare la coe¬ renza di tutti i capi di essa teorica. § I. Principi! non preferibili intorno al misurare le pene. ti qui pure non è da tacere del combaciamento esatto della mia dottrina con gli adagi più generali e comuni, il che è massimo indizio della sua verità. Pronunziai intel¬ letto comune che la pena giuridica per mantenersi equa e proporzionata, non può oltrepassare d un ette il de¬ merito del reato i e del pari, imbattendosi 1 uomo a ve¬ dere il colpevole incappato nel male stesso che ad altri apparecchiava, è indotto issofatto dall intimo senso mo¬ rale a sciamare : oli ben gli sta*, ecco la vera giustizia, tanto male gl’ incoglie, quanto ne volle recare altrui. Certo è similmente, come venni accennando nella se- 308 NUOVE LETTERE concia delle prime due lettere, che qualora la giustizia umana giungesse a poter barattare con egualissima mi¬ sura di specie e di quantità il mal visibile della colpa col mal visibile della pena, la voce del senso comune di¬ rebbe la giustizia civile aver toccato l’apice dell* equità e della perfezione. Ed anche non vuoisi omettere di osser¬ vare che su questo fondamento del giuclicio popolare venne edificata la prima teorica del dritto di punizione, e che fu il senno italiano il quale la meditò e produsse nelle scuole di Pitagora, siccome Aristotele ci fa sapere: e il nome stesso di taglione , o come i greci il domanda¬ rono àrrbrotvov, sembra essere uscito da quelle scuole. Ora, con buona pace di molti famosi dogmatici, io non mi stancherò di ripetere eh’ ei si conviene far sommo caso di cotesti placiti della scienza comune, e tenerli quali sono di certo per segni e scorte e riprove saldis¬ sime delle verità che s’indagano speculando. Ma il più degli scrittori giuristi, appunto per volersi dilungar troppo dall’intelletto popolare, vien disegnando intorno a cotal subbietto sistemi scomposti ed insufficienti, e la cui ra¬ gione non di rado è in grave discordia con se medesima. Attalchè, se l’esperienza e il naturale criterio non venis¬ sero assistendo i legislatori a comporre l’arte del com¬ misurare le pene ai delitti, massima sarebbe la per¬ plessità e la confusione. Confessa ognuno che fa d’uopo mantenere certa esatta proporzione fra la pena e il delitto; ma perchè ad ogni proporzione e misura dà fondamento una qual¬ che specie d’identità, questa sarebbe stato bisogno rii cercare e chiarire assai nettamente, massime da quei giuristi i quali insieme con voi negano ogni relazione d identità e di equivalenza fra il mal morale del delitto e il mal fisico della pena. Ma oltreciò, tal proporzione perchè si desidera? certo per non uscire dall’equità. Però, se il primo grado segnato nella scala di propor- DI TERENZIO MA MI ANI 309 zione riuscisse non equo, importerebbe assai poco che la gradazione successiva equamente procedesse. Il nodo adunque di tal controversia sta sempre in conoscere con qual massima e con qual misura debbasi costituir V equa¬ zione tra il reato e la pena. Nè da alcuno di coloro che ri¬ fiutano la dottrina da noi seguitata s’è mai proferito un principio ed una misura chiara, determinata e uniforme, eccettuandone forse le scuole degli utilisti, da cui vien posto il criterio della controspinta o altro poco dissi¬ mile, il quale non difetta, per vero, di chiarezza e sem¬ plicità, ma è tutto fuori del sentimento morale e dà giudicio indipendente dal valore intrinseco delle azioni. I nvece, nel nostro sistema, così con la scorta del buon senso e della ragion morale si argomenta e deduce. Materia del gius punitivo si è la grave e durevole per¬ turbazione del consorzio civile, la quale da ultimo si manifesta con certa quantità di mali comuni sensibili. Possono i primi effetti rimanere chiusi ed occulti e non palesarsi tìsicamente, come accade (a citare un caso dei nostri tempi) nella perturbazione morale prodotta da perversi scrittori; ma, a non molto andare, gli effetti tìsici appariranno di piena necessità. E nemmanco di¬ ciamo le perturbazioni gravi del consorzio civile risol¬ versi al tutto in certa quantità di mali comuni sensi¬ bili ; perchè, a cagion d’esempio, ciò che impedisce o di soverchio ritarda un qualche perfezionamento spiri¬ tuale delPuomo è da reputarsi gravissima perturbazione, che certo non consiste tutta in aumento di mali sensi¬ bili. Soltanto diciamo il male sensibile comparire in ogni perturbazione civile con abbondanza e frequenza, e più assai in quelle che sono di pertinenza ordinaria dell’umana giustizia. La relazione dunque che corre fra il mal del reato e il mal della pena è la strettissima ed immediata dell’effetto con la cagione; perchè, se non P intero effetto della colpa è male sensibile, tale è di 310 NUOVE LETTERE necessità una gran parte. Ancora si può affermare con discorso più astratto il mal del reato corrispondere al mal della pena, come il genere alle sue specie, dacché il mal morale contiene e occasiona tutte le specie di mali: come per lo rovescio, il bene morale è compren¬ sivo di tutti i beni. Infine, la corrispondenza e la pro¬ porzione del mal morale della colpa col male fìsico della pena si lascia scorgere altresì a chiunque considera che il reato è un mal morale commesso per produrre un bene tìsico di questo o cotesto individuo : e a rincontro, la pena è un male fìsico, individualmente inflitto per produrre un bene morale. Esattissima adunque tornala contrappo¬ sizione di effetto ad effetto, di cagione a cagione e di mezzo a mezzo, e quale ammirasi per appunto nelle proporzioni geometriche inverse. Concludiamo che fanno errore quei giuristi teorici ai quali pare impossibile il poter rinvenire una spiegazione scientifica delle atti¬ nenze che l’uomo sente e distingue fra il mal morale del reato e il male fisico della pena. Sul che gioverà ri¬ cordare eziandio quello che io ragionavo alquanto più sopra delle attinenze che aver debhe la legge etica con la umana sensibilità, si voglia interiore, si voglia este¬ riore. Seguitando il ragionamento diciamo. La quantità e intensione vera del mal morale non rimane conosciuta per intero se non da Dio, e imperciò Dio solo sa la mi¬ sura squisita e infallibile della pena. Ma l’uomo questo conosce, che il male saputo e voluto produrre altrui, dee con proporzione esattissima ricadere sull’autor suo. Pei- chè, come fu discorso nella seconda lettera poc anzi ci¬ tata, immaginare una pena inferiore al danno voluto e prodotto è immaginare come impunita una porzione della malizia del reo: conciossiachè egli avrebbe saputo evo¬ luto produrre una parte di male senza riscuotere male, e però fallirebbe il principio dell’assoluta giustizia. 1 idf n m DI TEEJiNZltì MAMIAJSJ sii vìò nei termini della maggiore aerazione e dirimpetto all 3 ordine etico universale, A tale misura pertanto s'attiene la giustizia dell*uo¬ mo, perchè questa sola gli riesce chiarissima e positiva: in tutte V altre vede il senso e la pratica dell 1 equità confusi, incerti e mal guarentiti* Qui non v'è mezzo. 0 convien confessare che all'umana giustizia è impos¬ sibile di riconoscere alcuna equità nel proporzionare e distribuire le pene ; o coimeu confidai empiricamente, nome fa il Bòssi, a non so quali suggestioni ed avvisi degl 1 istinti morali; o infine bisogna desumere la pro¬ porzione e la misura dall’ utilità sola esteriore e pift generale, e non dall*intrinseco delle azioni; ovvero, non accettando alcuno di questi partiti, confessare la verità del nostro principio ed assentire largamente alle sue con¬ seguenze, le più notàbili delle «piali sono le infrascritte. La massima pena giuridica non può mai eccedere il male saputo e voluto produrre dal reo, per qualunque necessità o profitto del corpo sociale. Per costituire una giusta equazione tra il reato e la pena, occorre chela misura comune dimori nell’identità od equivalenza esatta così del male del danno recato o voluto recare, quanto col mal della pena. La identità o equivalenza, esatta Ira essi due mali è ciò per appunto che si domanda legge del taglione o del contrappasso. Ciò e comparso evidente ognora allo intuito morale dei popoli; e venne quindi applicato alla grossa, {non nego) in ogni antica legislazione; trovasi nelle dodici tavole: qui membrum rùpMt ni fium no pa¬ tii, tedio està. E similmente dal senno comune usciva la, bella sentenza: Quoti facit sì qxmquG ferat jua fiel ^ ^quum. Ma si obbietta : nella più parte dei casi la identità fra la pena, e il danno diviene o impossibile o non pm- 312 NUOVE LETXK.UK ticabile e ostinandosi a voltarla condurre in atto se ne originano forme mostruose e ridicole di punizione, come quella caduta in mente a Kant per gli attentati contro al pudore. Rispondiamo, non domandarsi necessaria¬ mente l’identità materiale e bastare requivalenza, e que¬ sta trovarsi in più modi, alcuni dei quali furono men¬ zionati da noi nella seconda delle prime due lettere. Si trovano equivalenze per semplice ragionamento confron¬ tando i concetti e le ideali relazioni delle cose: si trovano pei prova dì fatto e per virtù di esperienza, la quale e'insegna die non solo le specie affini delle sensi ve affe¬ zioni possono equivalere in fra loro, ma eziandio le spe¬ cie contrarie, cioè tanto godimento contrappcsare tanto dolore. Si trovano col misurare alcuni effetti regolati e continui, laddove non si possono le cagioni; infine si tro¬ vano mediante una terza cosa con la quale uno dei ter¬ mini del paragone serbi proporzione esatta e durevole. (liustaniente la forma di pena suggerita dal Kant move a riso: ma, per ([nello clic io ne giudico, a torto voi ne inferitela impossibilità di assestare ai delitti con¬ tro al pudore la legge del contrappasso razionalmente spiegata ed interpretata. Conciossiachè, se per quei de¬ litti non si rinvengono pene identiche, ripetiamo che non fanno difetto le equivalenti ed analoghe. Uno stupro e stato commesso. 11 delitto è certo e provato : le circo¬ stanze da ogni verso lo aggravano. Solo vi manca 1 ag¬ giudicare la pena. Ora, udito come il magistrato possa infliggerla tale da ragguagliare quanto bisogna il danno col danno senza uscir punto dall’uso delle punizioni or¬ dinarie. Tu abusasti, sentenzia il giudice, della li}«erta propria corporale e spirituale, e tu cesserai di esser li¬ bero. Abusasti della forza delle tue membra, e la forza si rivolterà contro a te, o le tue membra porteranno il solco dei ceppi. Abusasti il vigor giovanile e la sua fio¬ rente sanità, e 1 uno e V altro Ronfiaceli iranno nello stento 01 TERENZIO MA MIA NI 313 e nel digiuno. Cercasti piacer materiale e colpevole e procacciasti altrui profondissime amaritudini, ed ora soffrirai nel tuo corpo e nell’ animo tuo dolore propor¬ zionato. Cacciasti altrui nel disonore, e tu porterai teco segni e nome d’ obbrobrio. Profanasti il lume della bel¬ lezza e della grazia, e il brutto, lo schifo, lo squallido avrai dintorno da te. Profanasti i diletti e i misteri del- Pamore legittimo, e tu sarai morto alle gioie maritali, alle consolazioni domestiche, alle parentevoli carezze. Ora non son queste, io domando, strettissime equi¬ valenze ? E che bisogno v’ ha di cercare più oltre la identità delle specie, quando il valore delle simili ed anche in parte diverse può essere contrappesato con esattezza sufficiente ? Io so bene che per adempiere questo effetto in ogni sua parte e quanto ricerca la ri¬ gorosa equità, occorre determinare altresì nella pena la misura della intensione sua e della durata. Ma es¬ sendo le condizioni del grado e del tempo comuni a tutte le cose, non è troppo arduo il cogliere in molti casi quella proporzione speciale d’intensione e di du¬ rata; e sì fatti casi, come già scrivemmo, debbono fare ufficio di punti normali e regolatori della gradazione ascensiva e discensiva delle pene. Rimane di avvertire che se il massimo di punizione determinato da noi con severo ragionamento non può essere trapassato mai per qual si voglia cagione e ti¬ tolo, nè meno corre obbligo di applicarlo sempie con puntualità a ciascun reato. Per lo contrario, ei deb- b esser preso di tutta la misura penale quell unica quan¬ tità che basta a preservare la sicurezza e la incolumità sociale. Quindi i limiti sono mutabili e talvolta possono ascendere, talvolta discendere, e più volentieii questo che quello se giovi aver lede al progresso dell inch i- mento e dell’arte stessa pretoria. Dalle quali tutte cose vien fuori da ultimo la con- 314 nuovi: lettere clusione che la teorica dell/ espiazione, quale noi la in¬ tendiamo e sponiamo, mentre fa luogo a tutt’ i tempe¬ ramenti e limiti del gius penale predicati e insegnati dai giuristi politici, aggiunge del proprio due limiti ra¬ zionali saldissimi e irremovibili con cui si vieta prima¬ mente di esercitare il diritto di punizione oltre la mi¬ sura del mal commesso, e si vieta in secondo luogo eli esercitarlo tuttavolta che l’atto imputato appaia di con¬ dizione da non bastare il senso morale comune per aver certezza della sua interna malvagità: i quali due ter¬ mini possono forse venir confessati e insegnati con molta caldezza dai giuristi politici, ma in contradizione necessaria e apertissima coi principii fondamentali di lor dottrina. $ II. Del danno e del dolo. Sicuramente, il male saputo e voluto produrre dal reo non sempre si manifesta per intero nel danno re¬ cato altrui, perchè addiviene spesse volte che l’effètto esteriore d una grande perversità riesca debole e scarso, b però in ogni tempo si volsero i giuristi a considerare e a bilanciare insieme nelle azioni imputate il danno col dolo. Ma prima è da avvertire che altro è il danno ma¬ teriale o fisico, altro il danno morale: consistendo que¬ st ultimo principalmente nella maggiore o minore ap¬ prensione e sollecitudine di cui è travagliata la comu¬ nanza civile in vista d’una maggiore o minore aspetta¬ zione di danno. Ora è certissimo che doppia malvagità o doppia minaccia di danno, e quindi se alcuna fiata il dolo può riuscire al sommo sproporzionato col danno tisico, mai non riesce siffatto col danno morale. Secondamente è da riflettere che, poiché il mal mo¬ rale in tanto si manifesta 7 in quanto il fatto c il ra¬ ziocinio lo mostrano tutto contrario all’ordine, e come tale diviene cagione o mediata o immediata di mali comuni sensibili, giusta è quella nostra sentenza che i gradi di malvagità sono gradi di terza morale attiva intesa a recare ingiuria proporzionata alla propria ef¬ ficienza. La difficoltà, vera adunque, come io scrivevo nella let¬ tera piu volte allegata, giace unicamente nello statuire certa misura, progressiva del dolo: la quid misura in molti casi lasciasi indovinare con assai sufficienza, e tale al¬ meno da assicurare e guarentire 1 umana giustizia rii non trascendere i termini estremi della stia potestà. K per esempio, a mima coscienza parrà dubbioso clic 1 • furto domestico convenga essere punito doppiamente de furto semplice, quando ogni altra condizione di fatto presuppongasi uguale. Conciossìacliè il secondo mirauge un precetto morale assoluto, 1 altro ne infrange piu, se ambedue hanno recato tignai danno fisico, il primo ha recato assai più di danno morale. La determinazione poi della misura del dolo m al¬ quanti casi non dribbli e nettamente specificati serve « i norma sicura, per l’cerniere B pel ^cerniere di molta gradi in quella sansa, cl.e venne discorso e fermate a proposito della scala coni,.arativa delle punizioni. E noe dicasi che da questi principi ^inferisce, come avm sembra che la teorica dell’espiazione faccia consistei e il maleficio nel dolo e non nel danno. Imperocché, m intendete per dolo la filiera e determinata volontà, di malfare, certo è che in questa e non in altro dimoia in. essenza del mal morale dell’uomo, e su questa uv¬ eamente pud cader la condanna del giusto glielo M se per dolo intendete il grado della malvagità e la sua proporzione con belletto sensibile esterno, veduto avete NUOVE LETTERE 316 che noi misuriamo il dolo dal danno e non viceversa, e ancora veduto avete che la nostra dottrina è infinita¬ mente più difficile e tarda della politica a riconoscere la interna reità dell’alletto e dell’intenzione. Tutte le ragioni poi che in risguardo della maggiore utilità del consorzio civile si meditano e si discutono dai giuristi politici, sia intorno al punire o no il conato, sia intorno al proporzionare le pene più esattamente al danno che al dolo, si accettano eziandio da noi largamente pel ri¬ spetto medesimo del maggior bene sociale; perchè, ri¬ petiamo, tutto il discorso lino qui circa al misurare le punizioni, è solo per fermare i limiti della severità, non quelli della mitezza e della clemenza. E d’altra parte, una clemente giustizia non può non amarsi dai difen¬ sori della teorica dell espiazione, i quali non misurando mai la nequizia dalle pubbliche necessità, ma sì unica¬ mente dall’intrinseco dei desiderii e delle intenzioni, hanno gran debito di scrutinare e pesare le umane fra¬ gilità ed escusazioni. Se non che ai nostri tempi egli ac¬ cade di vedere abusato il senso medesimo di compas¬ sione e contusa la mollezza e 1’ arrendevolezza sover¬ chia dell animo con l’umanità e mansuetudine. Nè una delle men singolari stravaganze del nostro secolo mi par quella di avere più commiserazione, o più cura almeno pei malfattori condannati all’ergastolo che per gl’indi¬ genti cui manca il lavoro e col lavoro un pane ed un pagliericcio non negato nelle galere. Ad ogni modo, la clemenza della giustizia umana debb’ essere differentis¬ sima dalla privata misericordia; onde Aristotele con gran sentimento della verità, non clemenza ma la do¬ mandò equità e la fece consistere in quella diminuzione di rigore che paion richiedere alcune condizioni dell’ ani¬ mo del delinquente non potute preveder dalla legge, e sono le medesime per avventura che oggi han nome di ( ^ costanze attenuanti. Perciò stesso vuole Aristotele che DI TEBEREIO WAMIÀ NT 8] 7 la clemenza dei giudici sia scevra d'ogni tenerezza di affetto, e sminuisca le pene non per ismiimiro la giu¬ stizici ma affine di perfezionarla e ridurla una migliore giustizia superiore alla comune, il che espressero i greci altresì con la virtù del vocabolo chiamandola ìittifikeia. Per una Rimi! ragione gli antichi nostri distinsero al¬ cuna volta la pietà dalla compassione e descrissero la prima, tutta lontana dal senso e ingenerata, dalle potenze superiori dell*animo e facente parte della stessa, giusti¬ zia, Air altra, svegliata dalla, passione della tenerezza, vollero chiusa la mente ed il petto non che del giu¬ dice, ma ancora del saggio* Per lo contrario, la giusti¬ zia la (piale al volgo può parere un’aspra e inflessibile cosa dichiararono compendio di’ ogni virtù, e Leibnizio la domandò con profondo concetto Carità del sapiente- 1 § ITT. Epilogo della dottrina- Raccogliendo orale fila troppo sciolte e sparte dei ra¬ gionamenti prodotti in queste mie nuove lettere, mi sfor¬ zerò, egregio signore, coinè prometteva in principio, di ridurli a forma di visibile unità. Succède ai pensieri o agli argomenti dei filosofi, al¬ lorché vengono a. urtarsi con quelli di un gagliardo av¬ versario, come delle schiere uscite a battaglia, le quali per serrate e allineate che procaccino di rimanere, sem ¬ pre si spandono e si scompigliano un poco nei loro or¬ dini. Ma la contesa nostra intellettuale toccando ora il suo fine, e parendomi d’aver ben difesa e iVogni parte assicurata la mia teorica, posso opportunamente suonare a raccolta e fere per ordine la rassegna dei principii e i Opera, toni. IV, p&0 UT, pag. $84. NUOVE LETTERE HI 8 delle ragioni che ho messi innanzi a combattere. Per non ripetere poi sazievolmente le cose già dette studierò più che mai di essere breve e succoso, e però non vi rincresca di badare alle mie parole e di esaminarle con qualche accresciuta diligenza. Ognora che la scienza del diritto voglia fuggire i con¬ fini dell'arte dimostrando i suoi primi veri e gli adagi speciali del senso comune di cui fa uso, e desideri con¬ catenare e dedurre con rigor sillogistico tutt’i suoi teo¬ remi e scansare le troppo sottili ed equivoche definizioni, a lei sarà forza, per quello che io ne giudico, di cercare prima le dottrine morali di cui il diritto umano è una vasta e diffusa specificazione, e da cui riceve i dogmi, l'autorità e gli uffizii. * Per fermo, colui solo può asseverare di aver trovata e raggiunta P origine logica della sua scienza, il quale è salito ad un vero evidente ed irrepugnabile e però non bisognoso di prova, e che da un lato sia tanto semplice quanto ricerca l’unità di un sommo principio, dall’al¬ tro riesca così fecondo ed applicativo da far procedere da esso tutta la serie delle teoriche subalterne. Ma se tolgasi di mezzo la investigazione dei veri morali, io non conosco nessun principio evidente, semplice e senza fine fecondo, quale si ricerca a fondare non l’arte, ma la scienza del dritto. Se porrete col Romagnosi per som¬ mo principio il fatto dell’umano consorzio, restringen¬ dovi a ravvisare ne’ mutui nostri diritti e doveri un equi¬ librio e un accordo di desiderii e di facoltà esercentisi intorno all’utile; ed anche, salendo più alto, se investi¬ gherete con lui l’immutabile ordine delle azioni e rea¬ zioni tra la natura e l’uomo, e dedurretene la necessità di coordinare i mezzi col fine, sempre il giure umano rimarrà spogliato del carattere suo morale e assoluto e contradirà alla voce del senso comune ; e voi creerete una scienza che sarà tale nel solo aspetto ed avrà ter- DI TlCKKNZrO MAm&m 319 i dj tie nei paradossi. Ma d’altro canto, cercare e scrutare il carattere inorale e assoluto del giure senza chiedere lutile alla scienza imi versai e del bene, è impossibile e runtradittorio. Per is ventura, le dottrine stesse morali rimangono discoste non poco dallo stato rigoroso di scienza: per¬ che ì filosofi stimando meglio di trattar V etica in modo assai popolare, e non affidarla, gran fatto allo spirito teorico e dogmatico dei metafisici, V hanno di rado le¬ vata fuori dai termini d cl 1 ? Endcmmiologià o vogliala dire fi eli' arte diurni n ata di viver fe lic e. Il p er c I io 1 a s eie nz a del diritto non trova paranco nella filosofia morale nè dimostrati nè dedotti convenevolmente gli adagi e le nozioni che le vengono ad uopo. À ciò pensando, io venni a concludere clic mestici- faceva di abbracciare con larga e coraggiosa speculazione tutta la filosofia del bene per dar fondamento scie oziale, così alietica quanto al diritto. E tre cose mi parca, doversi curare singolarmente radia costruzione salda, razionale e ordinata di quella, filosofia. La prima di trattar del bene nella sua mas¬ sima universalità, operò trattarne ontologicamente e non con rispetti sub Inetti vi e parziali: rompendo così quel¬ l'errore abituale ed inveterato che la dell etica una scienza solitaria e individuale, e di piu mostrando nell uo¬ mo la nobile facoltà di operare il bene pei solo bene. La seconda era di far capo a un concetto effettuahnente pri¬ mo, incapace di venire scomposto in verità, superiori, e rappresentativo di una realtà semplicissima c fecondis- isiìiia, la cui evidenza fosse tanto aperta e ini mediata da non bisognare cT alcuna dimostrazione. La terza in¬ fine era di potei - trarre da quel concetto, per virtù pura di ordine deduttivo, prima, la teorica di tutte le verità universali teleologiche e particolarmente delle umane, poi le dottrine specificate del dritto e delle sue appli¬ cazioni, e rispondere così al desiderio di quei pensatori 320 NUOVE LETTERE i quali mostransi caldi favoreggiatori e seguaci del si¬ stema degli utilisti a cagione (affermano essi) della sua grande evidenza e pianezza. Le quali tre cose insieme unite e connesse mai non avevo vedute cercare ed in¬ vestigare da metafisici, nè trattando del diritto nè trat¬ tando della morale; laonde parevami questo desiderato della filosofia, posto che fosse convenientemente adem¬ piuto, dover portare novo e copioso lume a tutti gli stu- dii morali e politici. Il supremo vero che a me sembro soddisfare a co- teste molte esigenze della filosofia morale fu il concetto della sussistenza del Bene assoluto. E per fermo, rap¬ presentasi da quel concetto una realità che essendo in se e in propria sostanza e cardinando l’intero ordine del- Tuniverso, porge a tutta la filosofia pratica un sommo principio ontologico. Esso antecede di plenitudine in¬ sieme e semplicità, e però è incapace di ulteriore scom¬ posizione, non potendosi del bene assoluto affermare altra cosa eccetto che egli è il bene e che principia e si compie in sè e da sè. Riesce pure fecondissimo, per¬ chè tutto il mondo dei fini move da lui e di lui s’il¬ lustra. In ultimo, egli è evidente e certissimo, quanto altra verità creduta dagli uomini per ingenita luce in¬ tellettuale; primo, perchè giace implicato nelle credenze primigenie e fondamentali del genere umano; secondo, perchè emerge spontaneo dall’applicazione immediata del principio di causalità a un fatto perpetuo ed univer¬ sale delle coscienze. E per vero, come dalla sussistenza, delle cagioni seconde si procede per necessità logica ad affermare la cagion prima, del pari dal sentimento del dovere assoluto comune a tutti gli enti partecipi di ra¬ gione si sale per altrettanta logica necessità alla cagion prima e proporzionata di quell’effetto morale, cioè al Bene assoluto che è fonte del diritto. Quanto poi alla sequela rigorosa di teoremi che mrn DI TERENZIO MA MI ANI 321 dee contenere nel suo vasto complesso e la scienza uni¬ versale delle cose a rispetto del bene e quella delle azioni tutte imputabili e la scienza derivata e speciale del giure umano, non avendo io potuto esibirne in que¬ ste mie lettere più che un saggio slegato ed imperfet¬ tissimo, porrò qui con metodo deduttivo quella serie sola di pronunciati che si attiene direttamente alla ma¬ teria e alle tesi da noi discusse; nella qual serie potrà nondimeno ravvisarsi comodamente se v’ abbia o no un concatenamento saldo e continuato di principii, e se bene fluiscano tutti da una sorgente medesima e compongano insieme una visibile unità di dottrina. § iv. W un concetto comune agli ultimi giuristi tedeschi. Ma prima è opportuno, per non dir necessario, che io sottragga la mente degli studiosi ad una forte pre¬ occupazione che lor proviene dai libri di molti solenni pensatori e giuristi della Germania, secondo io ebbi a no¬ tare nella prima di queste mie nuove Lettere, a pag. 184. Colà dopo Kant si fondarono delle scuole parecchie con intenzione di alzare l’etica e il diritto ad una scienza obbiettiva, secondo la domandarono, e scio¬ gliere Tuna e l’altro dalle angustie e contradizioni del nudo e gretto pensiere umano, chiuso per intero in sè stesso e però giudicato incapace di superare il fenomeno e le forme astratte che l’accompagnano e senza mai cogliere la realità e la sostanza delle cose i il che tutto fu domandato subbiettivismo. Allora non fu in Germa¬ nia un ingegno robusto e inventivo che non tentasse d’investigare e scoprir l’Assoluto. Nè da Platone in poi gli uomini ebbero ad ammi¬ rare in nessun popolo e in nessun tempo un moto e un 21 NUOVE LETTERE 322 fervore intellettuale non che maggiore ma pur simile a questo. Salvo che, mentre da un lato la libertà e va¬ rietà dei metodi e delle dottrine era somma, dall’altro gli scrittori incontravansi tutti con rara concordia nella opinione che l’Assoluto doveasi immedesimare col mondo. Però in cotesto dogma fu, a parer nostro, viziata per sempre e in maniera immedicabile la divina sementa delle scienze morali e giuridiche. Attesoché non vi fu verso e rimedio alcuno di non travisare il sentimento e il con¬ cetto dell’obbligazione morale inflessibile e inalterabile; e la necessità propriamente etica venne ad ognora scam¬ biata con la razionale o logica che voglia dirsi, e peggio ancora con la necessità arcana d’un fatto, o del diventa¬ re, secondochè fu chiamato. In ciascuno di que sistemi 1’ universo è informato da certo potere e volere sovrano che si spiega manifesta e concreta, massimamente negli uomini, giusta i principii di certa ragione altresì pri¬ mitiva e sovrana. Da quel volere e potere è generato il diritto e da quei principii razionali l’obbligazione in¬ declinabile. È dunque, chi ben vi guarda, l’ente univer¬ sale che fa coazione a sé stesso e produce il dovere; e questo poi si concreta e determina, secondo che l’ente incontra e segue via via la necessità della propria na¬ tura e delle proprie manifestazioni e individuazioni. Le quali cose o nulla non hanno che fare con l’obbligo di obbedire un comando sapiente, buono e santissimo, ovvero esprimono la prepotenza misteriosa del Fato. Tra i velamenti delle astrazioni e delle figure, e sotto il lavoro portentoso d’una finissima dialettica, il para¬ dosso di che io parlo ricomparisce mai sempre in tutti i sistemi escogitati in Germania, a cominciare da Fichte e giù procedendo a Schelling ad Hegel e a entrambe le frazioni della scuola di cotesto ultimo. In ogni partico¬ lare e nelle massime applicazioni della moralità e del giure, incontransi appo costoro pensamenti nuovi, stu- 1>Ì TEBEìfZIO MÀiUlÀM 323 P èlltl fr acutissimi. Ma, per mio avviso, approdano a poco od a nulla; considerato che tutti paralogizzano sul con- retto fondamentale del diritto originario e dell’etica obbligazione. E già 1 T Etica di Spinoza avea loro insegnato che facendo consustanziale E uomo con l)io 7 abolivasi amar- ria forza ogni imputabilità ed obbligazione propriamente morale ; ondeehè il titolo del suo libro fu ritrovato per ai iti frasi o per esprimere solo F adorazione paurosa del santo destino, e per chiamar quindi innocente V autore primo e la prima efficienza di tutte le umane scelle¬ ratezze. Se il panteismo ha risoluto di molti problemi, che noi va’ ricercare, mai del sicuro non giunse a trovar E origine razionale di queste tre cose, e cioè, primo, della Finità concreta; secondo, dell’Etica; terzo, della Religione. Mai il Unito effettivo non può emanare per sostanziale espansione dall* infinito; e deipari sempre sarà paradosso il dire eh© FÀssoluto adorai! proprio sub¬ bie t tu ed i proprii modi e genera la religione ed il culto: e per simile che producendo in sé primamente e conarbi- triu perfetto, un interminabile e scollimato costringimen¬ to, crea Fobbligarione morale assoluta nel proprio essere. Disdice alla trattazione presente F andar piu oltre di questi cenni, i quali per altro sono ottimo prepara- mento all 7 Epilogo qua sopra annunziato e che stringe¬ remo in diciotto tesi Fumi dall’altra derivata. § V. rr osi. Esiste il bene assoluto ; nel quale stando inchiuse tutte le forme di beni con misura infinita, la bontà, clic NUOVE LETTERE 324 è una di esse forme, dee pure starvi inchiusa con infi¬ nita misura- Da ciò segue che T universo e di neces¬ sità ordinato alla massima partecipazione del bene as¬ soluto, secondo la tinità e contenenza di ciascun ente, 2 .* Gli esseri intelligenti e imputabili fanno il 1 rene adattandosi all’ordine, e il male non adattandosi: per¬ chè Tordine, come cagione istrumentale del tene, è per¬ petuamente voluto dall’ autor suo: cotesto volere diviro c per sua essenza un comando autorevole , uscendo dalla, scaturigine vera di ogni autorità, cioè a dire, dalla su¬ periorità effettiva della sapiènza, della bontà e dell ef¬ ficienza somma, intesa alTattuazione del massimo bene nel mondo attuale e nel mondo avvenire. Il perche al¬ tri®! cotesto comando autorevole è essenzialmente ob¬ bligatorio ; e domandasi legge, la quale dee definirsi un menando universale autor ernie e obbligatorio. Quindi il bene è materia e fine di lei, e però è prin¬ cipio e termine d’ogni cosa, 3 * Tra la legge e Tessere intelligente imputai file corre una relazione, i cui due termini opposti generano il ài- ritto e il dovere. Quest' ultimo è la condizione passiva speciale deW ente imputàbile m risf/imrdo dèlia logge. Per centra, il diritto è la facoltà imperativa di ossa legflf facoltà che si attua e si determina nel comando, D ]_ scende da ciò, che ogni dirótto si origina dalla legge suprema e ogni dovere dall* uomo. E perchè la leggo im¬ pone doveri ad un uomo singolo inverso di un altro, ella crea certe potestà morali a riscontro di quei doveri, tè quali sono domandate diritti per similitudine con la ti- M TEKENZIO MAMIÀNI 325 colta «Iella legge da cui emanalo e di cui partecipano. Ripetere dall’uomo il primo e fontalc diritto sconvolge a terza tutta la scienza del giure e fa inevitabile o la contraddizione o il paralogismo, 4 * Se nella legge divina spiegasi di necessità un' effi¬ cacia divina, ella dee recar seco una sanzione indeclina¬ bile e indefettibile e cioè recar bene senza fallo a chi di buon grado le ottempera, e male a dii pensatamente rin¬ frange, D'altro canto, se il male d'infranger la legge è male assoluto, ei debbo riuscir inale in ciascun effetto ; e per lo rovescio, il bene assoluto di ottemperare alla legge, debbe riuscir bene in ciascun effetto. La giustizia adunque universale e perpetua è intrinseca condizione dell'esistere della legge. 5. 4 Gli enti umani imputabili per attuare il massimo bene comandato dalla legge debbono volere ed adopm per are i mezzi meglio accomodati e più prossimi al fine. Impererà debbono accostarsi 1’ uno all' altro amichevole mente, c permanere in civile consorzio e obbedire a co¬ loro che in aggioreggiano per bontà e per sapienza. In ciò ha radice V istituzione del Coniando civile, il quale è una applicazione e una specificazione insieme del di¬ vino comando. In tal guisa pure si origina Y umano diritto o il giure pubblico universale ed astratto che è propria¬ mente la ragione e la facoltà della legge umana, e però si definisce unti facoltà di umano coniando civilmente costi- tutto e volto a guarentire e dirigere la massima effettuatone pel bene melale. Su questo giure universale ed astratto si fondamentano ì codici particolari delle nazioni. 326 NUOVE LETTERE ®* Come l'ordine morale supremo si adempie e si per¬ feziona con F aderire affatto spontaneo degli enti razio¬ nali ? imputabili all’universale ragiono e bontà, segue ohe la libertà è condizione costitutiva o perfettiva del- 1 ordine stesso. E però la logge umana, die di quello è porzione, difende dovunque sia e promuove la liberta* quanto lo vien conceduto di ninno in mano dai progredi¬ menti socievoli e dal debito die seniore lo corro rii assicu¬ rare o salvare eziandio per opera di coazione la incolu¬ mità del rumano consorzio. Di quindi u asce die carattere primo od intrinseco del diritto privato sia la libertà o, ri¬ spetto à Ini, la funziono prima o solenne de] romando ci¬ vile sia di proteggere e guarentire le individuali fran¬ chigie. Ma se la libertà inoffensiva dei singoli ò condizione naturale con cui procedo V attuazione del diritto fra gli uomini, non per questo la libertà costituisce il diritto c il dovere le cui origini sono non poco diverse, % n 1 fieni sensibili umani compongono tutti insieme una delle specie di beni cui tende il consorzio civile, e nella quale si effettua un grado e una maniera di p a iteci pa- zione al bene assoluto guardato singolarmente nelì’es- sere suo f pi u ni a n I fe sto e cotti un io al > i 1 e ) di so stri n c? prttìice. Similmente i beni sensibili umani porgono la materia ordinaria in cui il consorzio civile attua i pre- eetti^mo||]h Dna sola- legge pertanto ed un sol diritte dominano e governano tutte le «specie di beni, e dalla ^° medesimo non trova arbitrio di eser- ugual nensierp lgn ° r i a ’ S6 n ° n movenclosi con un solo ed ugudì pensiere e voierp pda ™ • i lechessia dissentisse imt *1™ ? lngol ° Clttadm0 qna ; del sovrano, e quindi Tw ! parrebbe la volontà perfetta la giurisdizione tra¬ smessa. Del pari , Ia g^risdizione tra- P i mancando alcun individuo all’ atto DI TERENZIO MAMIANI della delegazione, la potestà sovrana, che ha luogo in tutto il corpo sociale e non altramente, rimarrebbesi difettiva e incompiuta, nè ben potrebbe legittimare e validare l’opere sue. Per ultimo, coloro nei quali tra¬ smesso è l’esercizio del potere sovrano, due uffici com¬ piono al tempo medesimo, poco o nulla convenienti fra loro : perchè da un lato, come scelti dal generai voto all’ufficio di comandare, obbediscono alla volontà del comune; e dall’ altro, come componenti una particella della sovranità universale, comandano quell’ufficio a sè stessi. § VI. Or via, ritorciamo le punte dei sillogismi forse troppo aguzzate e aiutiamo cotale teorica con ogni più discieta e benigna interpretazione; chè tanto ricerca 1 autoiità ‘dei filosofi da cui venne professata per lunghissima età e in quasi tutte le scuole. Quella sovranità collettiva ed universale e quell atto solenne di trasmissione forse non vogliono signi caie altra cosa salvo che un tacito e naturale consentimento di tutti gli uomini da potersi, ed anzi doversi suppone con ragione pienissima e necessaria; tuttoc e non sia stato espresso in modo effettivo. Imperocché ad ogni uo¬ mo, in quanto è ragionevole e desidera se non a io u proprio, fa bisogno di volere che il consorzio civile non pure esista, ma valga ad assicurare e proteggere le pa¬ scne e i possedimenti; il che senza forma alcuna di^o verno e d’impero non è conseguibile. In tale, conse mento adunque unanime, perdutole e con intera gittimità supposto, è virtualmente compresa !.a deffiga zione di sovranità che tutto d corpo sociale fa e compie in mano di questi o di quelli. , , - n x er _ Bene sta- e sia così fatta la vera e sostanziale mtei_ prelazione della prefata teorica. Ma non pertan o si QUATTRO DISCORSI sciolgono le obbiezioni ; non quelle che impugnano la sovranità collettiva, nè V altre che mostrano la impos¬ sibilita della trasmissione* E per fermo, la volontà uni¬ forme che si ha licenza di presupporre in tutti gli uo¬ mini, a li spetto del viver sociale, non può oltrepassare mi desiderio e un proposito generale e indeterminato che governo vi sia e sienvì persone le quali esercitino il giure supremo a sicurezza ed utilità pubblica* Ma T as¬ sentire a tal governo particolare od a tale altro, a que¬ ste persone o a coleste, e così d’ogni altra speciale de¬ terminazione civile e politica mai non può essere pre¬ supposto; e ricerca un atto espresso e individuo, il quale incontra tutte le istanze già ricordate e gli fallisce ogni modo e possibilità di risolverle. Vorrà taluno, per ul¬ timo appìglio, avvisare uria somiglianza di queir atto espresso ed assai parti col arizzato ravvisarne, replico, una giusta immagino nella lunga acquiescenza del po¬ polo? Ma con\ erriasi perciò non avere dissenzienti di sorta, e levar di mezzo tutti coloro che per prudenza o paura si tacciono, o seguono buso o piegano abitual¬ mente a quello che stimano non già lor volere, ma ne¬ cessità delle cose umane e piu là non riguardano. Le qua 1 tutte accidente costituiscono ben altro che una perfetta acquiescenza. Ldhu , diremo bastare il consenso tacito o manifesto m 1 piu : e risolversi il negozio per voto di pluralità, come .usi ,e mille volte nei casi ordinari! e stmordi- nar i del vivere pubblico? Sì certo, quando in tale spe- —*° almen ° Cfmvenuti una volta tutti: e provisi m se e per li nascituri. sovranità ^ ei tan ^° c ^ e a questo concetto della colti,, le c q »i,„ctf 0 « “ „ ,U “ 1CU “''’ S18M l " lte 18 diffi - di cui RAnr/n iti c le incongnienze, la maggiore 001, hm dubbio, » l’aver Imitato corno co» con- DI TEHESZIO MAMIA3I 349 creta un astratto. E veramente egli si tornò al concreto dappoi, ina con ciò si produssero in mezzo sistemi di filosofia giuridica viziati di altri visibili pam dossi. La società umana (affermò un pensatore arditissimo entrato sulle orme di Locke) emerge dalla virtù d on contratto; o non avere ciascun contraente voluto scemare con esso la libertà e padronanza pròpria, bensì rassicurarla e giovarsi di quella di tutti gli altri. Perciò la repubblica venire costituita di tanti re che per agio ed utilità co¬ mune e privata s 1 accordano in certi patti e in certe mutue obbligazioni, E perchè comandare e obbedirò tra se noti si confanno, ed anzi s'escludono, la legge altra cosa non è salvo che V espressione del voler generale. Mutando la volontà, mutare similmente la legge, e ad una Intona aversi Facoltà di surrogare altresì una pes¬ sima secondo il generale talento* Bel resto, come la so¬ vranità è ilialienabile ed incessante, neppur chiameremo perpetuo e irrevocabile il contratto sociale: e non sì scorge bene con quale alto c supremo giure gli avoli e arcavoli nostri abbiano inverso di quel contratto potuto obbligare in modo non dissolubile i tardissimi nipoti loro. Il principio che mosse al patto fu 1 arbitrio e 1 uti¬ lità. Un nuovo arbitrio o una diversa utilità può risol¬ verlo, Quindi a chiunque volesse o non riconoscere il patto od infrangerlo, invadendo e occupando violente¬ mente P al trui, male si apporrebbe accusa e titolo giusto ed evidente di reità ; ma questo è certo che a Ini con- verna, combattere contro le forze ordinate della eivd comunanza e procederebbero amhidue, come si suol fare fra leali irumici, e più che il diritto, la forza molerebbe. Queste ed altre disorbitante ricava la logica dalle pagine del Rousseau, e parecchie sono da Ini medesimo confessate con gran franchezza: e tutte, al sentir mio, nascondono la ìor radice nella massima erronea quanto 350 QUATTRO DISCORSI funesta che i diritti scaturiscono unicamente dall’uomo e dalle sue libere convenzioni. E in verità, V uomo, per parecchi filosofi, è come un Dio terreno al quale un poco per comodezza e un poco per necessità delle cose conviene spartire il suo regno con un popolo di altri Iddìi a lui somiglianti. § VII. Non vollero alcuni dotti (in Francia segnatamente) adagiare i pensieri loro in tale teorica, e invece posero in campo la sovranità e il diritto assoluto della ragione; ottimo principio invero e fecondo, qualora l’avessero deliberato dal vacuo delle astrazioni e insegnato aves¬ sero un poco più chiaro e specificato quello che è la ragione e quel che comanda di pratico a tutti gli uomini intorno alla giustizia e al diritto, e che forma positiva di sovranità se ne trae e da qual persona si esercita per potestà naturale. Ma nè Beniamino Constant, nè Iioyer Collard, nè Guizot, nè altri insino a quest’oggi hanno definito e applicato con rigore scientifico alle sociali contingenze cotale impero della ragione. Quindi le mol¬ titudini, o a dir meglio, i caposchiera, poco chiariti e pochissimo persuasi di quelle astrattezze, proseguirono a riconoscere ed acclamare a gran voce il sovrano po¬ tere del popolo a un dipresso nei termini e con le sen¬ tenze medesime del paradossastico Ginevrino, e riu¬ scendo torse nell’ applicarle meno fermi e coerenti di lui, perchè nel buon senso volgare è meno temerità che nell intelletto d’ un solitario speculatore. Ber vero, se ciascun individuo non è per natura so- vi ano, da onde cavasi il diritto sì ardentemente ricerco e ^o u ^° a c l ues ti giorni del suffragio universale ? E se pei centra, in ciascuna persona è la perfetta sovranità, perche non sanziona egli medesimo il popolo le proprie DI TEIEENZIG MAMIAET 351 leggi e non isquittina i suoi magistrati come usava in Firenze e in Atene ? Non puossi, rispondono, a cagione principalmente dell’ amplitudine dei territori]. Puossi, diceva Pousseau, spezzandoli in molte parti e distri¬ buendo gli abitatori in altrettante assemblee. Ala ciò, ritornano ad obbiettare, è imprendo e pernicioso. Voi V affermate, ma la cosa non luce di tanta evidenza quanta si pare a voi. La. grandezza dei territorii traggo seco uno strabocchevole adunamento di forze civili e di potere ministrativo in solamente uno o due punti, il che ò veleno della libertà e soffocazione delle individuali virtù, perocché la vita abbandona le membra per correre tutta iil capo. Ma sìa come dite: ei non s'appartiene nè a voi nè a nessuno in particolare il risolvere tale e tanta questione, senza che il popolo, il quale è principe, venga di ciò consultato e liberamente pronunzi il giudicio suo* E che? Si terrà dunque al sovrano la facoltà più pre¬ ziosa che in lui risieda, quella, dico, di esercitare diret¬ tamente r autorità propria ; e stringerallosi a farne con¬ segna intera e perpetua in mano de 1 suoi mandatarii, né verrà chiesta avanti nè aspettata la sua sentenza ì Ad ogni modo, la procura debhe in ciascun momento poter essere revocata, c disdetto compiutamente ciò che i pro¬ curatori operarono. Per ciò egli è chiaro che sempre ci imbatteremo in due sovrani assoluti e legittimi, 1 uno sedente nei parlamenti, V altro diffuso per le piazze e per le campagne. Da un altro lato, se i civili diritti e i politici ram¬ pollano tutti dall uomo e in ciascun cittadino sono per¬ fettamente uguali e inviolabili, ne consegue che il suf¬ fragio dell’uno vale giuridicamente come il suffragio di tutti. Però nelle diete di Polonia non fu statuito senza giustizia che il divieto di uno bastasse a impedii.c c so spendere quelle pubbliche risoluzioni a cui consentissero tutti gli altri. Ora, come si accorda con ciò V impero 352 QUATTRO DISCORSI continuo eri inappellabile dello parlamentarie pluralità? Il numero non fa diritto, e dove moltiplica la forza non sempre moltiplica la ragione. Perchè il ninnerò pre¬ valga razionalmente, occorre almeno che do consegua a un patto solenne e prestabilito. Ma io non vedo ai po¬ poli domandato questo accordo preliminare in nessun luogo ed in nessun tempo, e confesso altresì che non mi soccorrono convenienti modi ed agevoli per ottenerlo, e in ognuno de' quali non istesse nascosto nell' ordine dd negozi quello che nell'ordine de 1 concetti ha nome di petizione {li principio. Avvegnaché, per i spezzare c interrompere in qualche porzione quel circolo vizioso, bisognerebbe un atto primo e iniziale a cui partecipas¬ sero tutti, ne m ni anco uno escluso, e il quale fosse delibe¬ rato e voluto con perfetta ed espressa unanimità, cose che nel fatto sono impossibili. Da questi viluppi so die alcun giurista moderno si scioglierebbe, allegando la sociale necessità. Ma in vero nella necessità è la forza cieca e non il diritto, e chi fa richiamo a lei, confessa implicitamente ch'egli non aspetta soccorso ulteriore nè dalla scienza nè dalla ra¬ gione: o quando voglia effetti vani élite trasformare la ne¬ cessità in principio giuridico, veda e conosca di entrare per la medesima vìa di già calcata dal V autore dèi Le¬ viatano. § viri. A me sta nascosto, o Colléghi , se questa breve ras¬ segna delle opinioni teoriche de 1 moderni circa la fonte e natura della sovranità civile e politica abbia operato nell animo vostro quel medesimo che nel mio, cioè un continuo avvolgimento dell! ingegno tra contrari pensieri e inflessìbili antinomie, e un desiderio non mai soddi¬ sfatto di affacciare alfine quel vero porlo cui lume tutti i prmcipn della scienza del giure si possano di mano IjI TEJÌEJtZUj mamjàki m in mano scuoprire e ordinare come fila d’tìn raffi esimo ordito o pietre sparse e dagli artefici apparecchiate a un sontuoso monumento. Ed anzi, lo intelletto mio s>si- tesi quasi oliò assiepato per ogni l)auda dalle contraddi¬ zioni: e benché gli sembri eli aver compiuta la numera¬ ci ono e resamina di tutti i supposti, non iscorge sfa¬ villare: in nessuno d'essi il carattere della verità- e del¬ l’evidenza, e i pi in di non vi sì riposa appagato o sereno. Ma d’altra parto, questo fatto è certissimo, costante ed universale, clic in mezzo ad ogni cittadinanza sussiste un potere sovrano, a cui dobbiamo razionale ossequio o obbedienza, e rimosso il quale, infurierebbe senza ter¬ mine r anarchia. Voi dunque ed io e tutti sentiamo giusta sollecitudine di sapere quello che sia, cotale so¬ vrano potere e come s’ingeneri, e dove e quando si ma¬ nifesti. E già, vedemmo la, signorile potestà non venire consegnata da "Dio in modo speciale ed espi esso a runa Stirpe di uomini, e più non vivono in mezzo di noi quei veggenti d’Irradio a cui Dio commetteva di gir tra.’ pastori a riconoscere i re da Ini designati. Ma- se Din non i scegli e i dominatori, balli forse la natola con le sue mani e con certo suo magistero speciale ed oc¬ culto ? Questo disse un giorno Aristotele dividendo li¬ mona specie in signori ed in servi. Ma la religione cri¬ stiana , il senso comune accordami oggi nella sentenza che servo non nasce alcuno: e come nel primo padre Siam tutti fratelli, e così tutti nasciamo uguali e con¬ degni, e ima medesima dispensazione di diritti e di veri è fatta tra gli uomini. Che dunque ? se a nessuno è sortita la servitù, abbia® trovato^agemfr ateb tanto ad attribuire la sovranità, vogliate a ciascuno, vogliate al corpo inteio < e u a ■ Ho rimani «Signori, a risolvere, ed e, come m su o minciamento di questo discoi so ,u.u mm\ - ■_ vrauità sia cosa, molto più grande e augusta dell uom òó 354 QUATTRO DISCORSI DI TERENZIO M AMI ANI e però, quantunque appaia nel mondo e soggiorni in mezzo di noi, nessun cittadino sia degno di possederla e nessuno possa venirne investito da chicchessia; laonde neppure il consorzio civile tiene facoltà di trasmettere altrui quello che non ha in proprio e nell’ universale patrimonio non è contenuto. Ma ciò che si debba sentire di tal concetto giudicherete liberamente voi stessi nella seconda lezione che mi udirete fare di prossimo, intorno a sì bello e faticoso argomento. DISCORSO SECONDO § i- .. Questa della repubblica nostra è la forma che cioè « la reggano gli ottimati con la buona opinione del po- « polo, avendo noi sempre avuto i re; altra volta per « successione di stirpe, ed altra con elezione creati; ma * quasiché tutta la repubblica è in facoltà della rnolti- « tudiiie in quanto questa i magistrati comparto a co¬ ri loro che sono ottimi giudicati.: e quindi uè per inopia 0 povertà, ne per basso nascimento e voi uno urusato « o per le contrarie ragioni è prescelto.... ma chi buono « e i)rudente si mostra colui prevale e governa,.... Noi « tutti generati d’una madre medesima e tutti fra noi « germani fratèlli giudichiamo indegno cosi il servire « 1’ uno all’altro come il signoreggiare; e l’uguaglianza « di natura c’induce altresì a cercare l’uguaglianza della « legge: uè per nessuna altra cosaci sottomettiamo ad « alcuno di noi salvo che per l’opinione della virtù e « della sapienza. » , In queste parole che io leggo, Signori, nel Menesseno di Platone, sta inchiusa per intero quella teorica della sovranità civile che io reputo vera e la quale si confor¬ ma non meno con la ragione speculativa che con la sto¬ ria piii generale dei fatti e con P universale coscienza del genere umano, lo mi adopererò a definirla od a com¬ pendiarla ili brevi e significative proposizioni, parte de- QUATTE0 DISCORSI 356 rivamlole dalla dialettica del diritto e parte dallo anti¬ chissime tradizioni dei popoli: conciossiachò allo studio razionale del giuri 1 troppo riesce difficile e dirò anche pericoloso rimanersi costantemente nella nuda e mora idealità* Sondo troppo certo che dalli svolgimenti dello istinto civile consegnati nella storia sgorga pia profonda e più limpida la coscienza del giure che non dal lavoro sottile e solitario del raziocìnio. Per prima cosa conviene scansare accuratamente le ambiguità sì nei pensieri e si nei vocaboli* Una congre¬ gazione di uomini può vivere non soggetta ad alcuno e tuttavia non avere sovranità. Chi e sovrano ha sudditi, e non sussistono sudditi dove è uguaglianza perfetta di doveri e di diritti* Certo, il corpo sociale intero non è soggetto ad al¬ cuno: perchè il principe qualechessia emana dal corpo sociale, e non lo antecede* Quel corpo sociale, adunque, governa sò stesso alla libera in quanto non. ha superiore o rettore impostogli per via naturale* Ma la voce sovra¬ nità è tutta volt a male applicata a simile condizione pri¬ mitiva e anteriore di esso corpo: attesoché non avendo sudditi, noi replichi amo, può comandate solo a sè stesso; il che significa in ultimo la società essere suddita e so¬ vrana al tempo medesimo. Nel fatto, per altro, olla obbedisce e non comanda, sebbene offiedìsce ad un sovrano invisibile ed impalpar die, il che spieghiamo col discorso che segue. § IL L umano consorzio è un tatto fondamentale e sostan¬ zia issrmo, iniziato dalla natura e mantenuto da lei con a xenta necessità degl*istinti e il quale ha preceduto * P lssmo tem Po quello nostre riflessioni e medh 1 poi luì lo veniamo eziandio riconoscendo un alto DI TEIìENZll) JIAM1ANI 357 precetto morale; clic veramente noi siain comandati di accostarci rimo all’altro con Gratelle voi è amore ed ac¬ crescere nella comune prosperità e perfezione la indivi¬ duale e propria. Ma nei primordi della civiltà, come Inori della famiglia sono pochi e radi i generali inte¬ ressi e negozi, e piccola e rada è la reciprocazione del- r opere, così la ingenita libertà e la naturale uguaglianza pochissima alterazione sostengono. Osservate, di grazia, con rocchio della niente quei popoli trogloditi e quelle prime tribù di pastori sparsi e attendati per la felice Mesopotamia e per la pingue Iduniea. Uomini rozzi e inno centi, poco li anno da procacciare e da conseguire l'uno dall"altro; nè loro incontra cagione frequente per congregarsi, nò forte bisogno di deliberare e risolvere intorno alle comuni faccende. Però essi non ricevono leggi nò fanno ; ma concludono dì tempo in tempo qual¬ che accordo e patto e con lealtà e fede li osservano. Or dov è fra costoro il sovrano? uè intendo dire un impe¬ ratore ed un arciduca alla foggia moderna, ma un capo almeno e un moderatore o qualunque altra sorta di su¬ periori e di maggiorenti, vogliateli transitori o perpe¬ tui, eletti o dati, messi su dal valore o dalla fortuna? Ci escano pure di mente le tradizioni; e guardiamo solo in astratto ciò che risulta dall’ indole germana ed universale dell 1 uomo. Certo, non è supposto impossibile il figurare una specie tanto semplice e rude e così te¬ nue ed incipiente di comunanza da lare inutile la, costi¬ tuzione compiuta o durevole dì ciò che altrove abbiati! domandato il comando civile; dal quale ognuno vede quanto differisca l'impero patriarcale che nella remo¬ tissima antichità ebbe luogo e in cui debbesi riconoscere corta ampliamone e perpetuazione del potere paterno voluto e fabbricato dalla natura colle proprie sue mani, QUATTRO DISCORSI 358 § IN. Nessuno, pertanto, ili qiie, T pastori è soggetto, conte nessuno è sovrano. Ma con tutto ciò guardiamoci di con¬ cludere che alcuna sovranità non regna per mezzo a loro, TC per fermo, tal conclusione è tollerabile appena sulle boccile del volgo il quale per ravvisare maggioranza e dominio ha d’uopo di vederli incornati in ima vivente persona e fregiati d'oro e gllUn0 di ak ' ^ 1 consorzio civile, perchè in questo DI TERENZIO MAMIAN1 361 è la massima attuazione e speranza dei beni e progressi umani, così fa precetto di rimo vere da esso gl’impedi¬ menti e reprimere e rintuzzar le violenze che ne tardano il corso e ne minacciano la sicurezza. E neppur si niega da noi che quel difensore animoso delle comuni con¬ venzioni del quale teniamo discorso non abbia licenza di costringere i mancatori eziandio in nome di tutto il popolo: conciossiachè non disdice ed anzi è conveniente il supporre che tutto quanto il corpo civile desideri e voglia F adempimento generale e spontaneo delle giuste e consentite deliberazioni. Aggiungasi pure quello che è vero, e cioè che operare in nome di tutta la comunanza arreca all’ atto privato molta più efficacia ed autorità ; essendo principalmente che il giudicare e volere di tutta la ■ comunanza vien con ragione reputato esente dalle passioni individuali e dagli errori altresì, e credesi che riguardi al bene comune con molta maggioi pulita e dirittura. Insomma, egli accade degli atti civili come di certe verità manifeste ad ogni intelletto ; conciossia¬ chè non sono esse create e prodotte dal senso comune ; ma il senso comune accettandole e confessandole sem¬ pre e dovechessia accresce loro somma efficacia e infi¬ nito vigore di prova. S V. Ma in poche contrade del mondo furono così bene complessionate e bene rispondenti fra loro le forze del- T uomo e della natura da porre in atto quegli esorc 1 innocenti e pacifici del viver comune di cui facemmo ritratto: nè dove fortunatamente comparvero, ebbero facoltà di durare. Ai filosofi non è poi conceduto, sic- come ai poeti, di far doglianza e lamento di quel a tra¬ mutazione, considerato che per lei trovo la repubblica umana mille nuove forme e potenze di civiltà, e le < QUATTRO DISCORSI largò e le diffuse per tutte le differenze eli terre e di climi. Ne fa per l'norao l’innocenza serbata soltanto e difesa dall ignoranza delle colpe, o la bontà inesperta eli e riesce incapace e scarsa, ola quiete la pace che riescono inerti e non s affati e ano a trovare il meglio e il perfetto. Ben pi osto adunque per legge di necessità e insieme di pre¬ videnza., il propagarsi delle famiglie, il mescolarsi dei popoli, l'insorgere dello passioni, Tal tonarsi de’costumi, i commerci e le arti cresciute, gl’interessi mutati, e più che tutto il fiero bisogno di armarsi e difendersi contro 0 assalitrici masnade e le s corazzanti tribù, indussero -litui maniera e più stretta di viver somale e persuasero di ordinare in sene delle città il comando civile. Oi che diremo, Signori? lì qui finalmente mutata 1 indole e la sostanza del comune diritto? e la naturale egualità degli uomini è rotta per sempre, e noi dovremo nuovamente travagliarci ad investigare come o la vetu¬ sta o gloria di taluna progenie n la lunghezza del tempo o la bravura in guerra o reiezione o il patto, ra&éhin- 1 ■uio virtù sufficiente e legittima di dare ad uno o a più nomini la sovranità, cosa eccelsa e divina? In quanto a nnn estimo di dover avvolgere nuovamente il pensicio tra quelle ambagi ; e per qualunque mutare clic 'i'ua la natura umana nei sociali e politici ordina¬ menti, questo io vedo rimanere fermo e inconcusso, cioè a Mie che agli uomini non è possibile il farsi l’uno al- sowl,' ^. so ^ a ™’ raa c he tutti invece nascono inferiori e r ^ ,l le ^ ^ :1 «awdè comanda sì il bene morale mieir ocl a l iarlare più esatto, sempre è e cm.,,1! Cd . Btmui descrizione del bene individuale la domestico e cittadino, e assoluto nell’ intimo , mteadf11 ' fì 171 motln universale e stilata d al l-i * - cnon ;Ogmmo, è cercata ed inve¬ ii espressa e cml ^- e nelle giuste le^gi umane p e seoDndo fl vaiSme at r ; M Df TEftENZIO M AMI ANI 363 tempi, delle opportunità, delle circostanze, e in cui da ultimo non riebbe aver luogo nessuno 1* arbitrio, i] ta¬ lento, la forza, i giochi della fortuna, i tenebrosi con¬ sigli della ragione di Stato. Ancorami vengono innanzi, o Colleglli, quelle genti agresti e quei seni pini mandriani del primo evo die a ninno obbedivano eoe etto che alla legge inorale universa, e col mutuo legame di pochi e spontanei convegni go¬ vernavano tutto il viver comune* Ora, ponete che dalla esperienza loro propria e dal crescere e soprastare di nuovi ed estremi danni e pericoli sieno venuti avvisando come quelle loro antiche consuetudini e quello volonte¬ rose e reciproche promesse ed obbligazioni più non ba¬ stassero ad acquetare il conflitto degl interessi e delle passioni, e come la fede pubblica più non fosse schermo sufficiente : e il lume ordinario degl'intelletti rimanesse debole e difettivo a trovare i nuovi partiti e provvedi- nienti die il vivere compagnevole e riposato ricerca* In tal presupposto, non è egli vero che- quella legge medesima òhe innanzi li congregava a stanziare i co¬ muni accordi, mosseli dopo a cercare degli uomini che maggi oreggian do infra tutti di sapienza e bontà, vales¬ sero a discoprire e segnare le norme del retto e del bene a rìmpetto delle mutate condizioni della repubblica universale? La, disuguaglianza pertanto che il corso stesso della civiltà induce fra gli uomini a rispetto della, scienza e della bontà, costituisce il comando civile in mano degli ottimi ed è ciò che Vincenzo Gravina ad¬ do mandò jus sapìentis , parte scuoprendo la verità e parte la divinando. % VL Io non rn ingannava pertanto, o Accademici, quan¬ di n manteneva assai risolutamente che in queste tra- smutazioni del viver sociale e sotto forme differentissime la essenza del diritto rimane uguale a sè stessa compiu¬ tamente» E per fermo, noi vedemmo che in ogni comune deliberazione di quelle tribù pastorali ree chiù dovuti non mi loro arbìtrio vano ed irragionevole, ma 1 J adempi¬ mento della legge universa del bene secondo le norme dell equità e della mutua comodezza e benevolenza, A dì nostri accadono altre maniere speciali e più recon¬ dite e artificiose del medesimo adempimento. Nel vero, u dì nostri si fanno precetti e comandamenti, ma pure allora si facevano : salvochc per gii antichi bastava la comunale intelligenza, per li nuovi riehiedesi un ingegno addottrinato e profondo: gli antichi precetti si confon¬ devano col privato interesse e con la volontà e 1 autorità propria, i nuovi come contraddicono alla privata utilità e volontà di parecchi e non hanno per autori quelli me¬ desimi a cui imperano, si mostrano estrinsecamento ciò che per avanti erano solo in essenza, voglio dire che si mostrano vere leggi e vero comando, e non più stringono col solo treno del patto e la religione della promessa, ina con la maestà dei giudici! e il vigore delle pubbliche armi. § VII. Nc in voi dopo ciò entrerà meraviglia alcuna per¬ di io contraddica di nuovo allupimene corrente la quale atti ihuìsce ogni sovranità al popolo, e quando anche la distenda ai buoni ed ai sapienti, sempre la vuol deri¬ vare da quello non altrimenti che da proprio ed originai jon e. ; a io vi lipeto die, per <]uante considerazioni l j.-mimm, abbia io replicatali!ente fatte ed assottigliate una ì pinpositu, non mai mi è riuscito di scorgere come il consorzio civile riponga in altrui il dritto e l’uso d una sovranità ch’egli medesimo non possiede: e dove pm t a posse* esse, già vi mostrai non potersi intendere QUÀTTIIO DISCORSI DI TERENZIO MAMIANI 365 com egli abbia facoltà eli svestirsene o per sempre od a tempo. E datogli infine quella singolarissima facoltà, vi mostrai minutamente non poter venire all’atto com¬ piuto di esercitarla. La sovranità è una maggioranza morale che non dipende da convenzioni ed arbitrii : ella è immanente ed intrinseca alla natura dell’animo ; però, se alcuno l’avesse, cedere non la potrebbe, nè mai ac¬ quisterebbe licenza di dire ad uomo nessuno : io pro¬ priamente sono e mi sento sovrano; ma voglio che tu sia tale in mia vece e risolvo di porre me stesso in con¬ dizione morale inferiore. Strano linguaggio mi sembra cotesto, o Signori, e agli occhi miei parrà sempre con¬ traddittorio che la moltitudine comandi espressamente ad alcuno di venire da lui comandata. In quel cambio, la moltitudine ha debito e necessità insieme di ricer¬ care gli ottimi e riconoscerli e a ciascun di loro discorrere in questa forma od in simigliante : Il tuo dovere, o Sapiente, è di mostrarne il giusto ed il bene secondo le opportunità ed i casi, e a noi s’appartiene a que’tuoi precetti obbedire. Così tutti (proseguono a dire), come ciascuno, adoperar dobbiamo le facoltà e le industrie no¬ stre al fine della privata e comune incolumità e perfezio¬ ne. Rivolgi tu pure il tuo senno maraviglioso e la spec¬ chiata bontà nel bene supremo della repubblica. Chè se per modestia ricusi, noi ti preghiamo a lasciarti vincere ; se per isbigottimento e viltà, ottimo già più non sei e occorre a noi di cercare altro uomo o di te migliore o di te almeno più coraggioso. Queste parole nè si discostano dal vero nè differi¬ scono dai concetti e dai sentimenti usuali del popolo. Concludasi che ai sapienti ed agli ottimi è pei fatto di natura e per la ragion morale comandato 1 ufficio di provvedere alla salvezza e alla progressiva perfezione della repubblica con quel senno e con quello zelo che in loro abbonda e per cui maggioreggiano tra’ cittadini. 3 GG QUATTRO DISCORSI E finalmente la moralità e la natura prescrivono alle moltitudini non sufficienti e idiote di seguire le norme trovate e insegnate dagli ottimi. Perchè poi al termine rispettivo d’ogni dovere risponde necessariamente un diritto ; così accade che la doverosa suggezione degli indotti ed inesperti genera nel termine rispettivo (che sono i sapienti) un solenne diritto d’impero ; diritto non primitivo mai nè assoluto (che in nessun uomo risiede), ma derivato e relativo; conciossiacliè il giure vero,fon- tale e assoluto, e perù la vera ed assoluta sovranità, vive e regna nella legge : la quale appunto fu da me altrove definita un comando universale, autorevole e obbligatorio. § Vili. Ma la ragione più generale del bene è aperta a cia¬ scuno, essendo ogni coscienza umana capace di mora¬ lità; invece, la ragione intrinseca del bene civile, co- mechè sia una specificazione ed applicazione del bene morale giusta le varie e mutabili contingenze del viver comune, ciò non pertanto riesce chiusa ed intenebrata agl intelletti volgari, e però solo il sapiente può disser¬ rarla, e purgata di nebbie nella patente luce produrla. Egli è quindi rivelatore del bene civile ed organo del- , asso ^ a sovran ità. Quindi pure ogni rivelazione sua e un piecetto, dappoiché in essa compare una diffusione eg 1 originali ed assoluti precetti della legge etica; e no a e, ignoii, che propriamente da quel civile pre- Ce ,, ° 1 lauove butta la facoltà d’impero legittimo ed ac¬ ce a i e m sugli uomini, a quello soltanto obbediscono poopVi71Ir ? SOn ° mferiori e soggetti d’immediata ed , fHvq J 16 priorità e soggezione. Non mai dunque ef- nre allnT fedisce all’altro uomo, ma seni- cipato che le viene daDio * 6 divino prin ‘ 16 tla ^ 10 e dalla ragione. Così leg- DI TEEENZIO KAMàM m giamo die il popolo ebreo affollandosi intorno ai passi 4li Moisè die giù calava dal Sinai, non intendeva chinarsi a lui con tremore ed adorazione, ma sì allo tavole della legge in cui la norma eterna del bene era scritta. Da ciò diviene pur manifesto come V ar¬ bìtrio e la volontà di uno o di molti o di tutti non può per sé sola fare autorevoli i suoi decreti e trasmu¬ tarli in precetto : e da ciò si scorge eziandio che pre? sunzione ingiusta e che vanità si raccoglie sì nel mo¬ derno pronunziato dell’onnipotenza del popolo e sì nelle antiche denominazioni di signori e padroni date ai capi e governatori dei regni. Tu solo sei signore, tu solo padrone, o sommo ed eterno Principio, il quale volendo far Puomo creatura morale e imputabile, dovevi intera lasciargli la balìa di sè stesso e non sottometterlo ad altri clic a te e alla perpetua ragione del bene. § IX. D’altra parte, non ignoriamo quanto gli ottimi sieno radi nel mondo, quanto difettiva Y umana sapienza c come difficile e travaglioso in mezzo al tumulto delle fortune c delle passioni cogliere l'intelletto del bene ci¬ vile e col sólo e puro suo bone dettar le leggi e gover¬ nare gli Stati. Ma V errore degli ottimi altro non è che danno e infortunio da più matura saggezza emendabili; ed alla giustizia e dignità umana basta die quaggiù mai non regni e governi una falsa e simulata coscienza del bene; imperocché dove il senno più alto e purgato s*abbaglia, se la sapienza fa in parte difetto, rimane intera la bontà e la fede: e la legge, benché non tutta vera, rimane tutta venerabile e santa, perchè fu pre¬ sunto di derivarla dalla legge suprema che è santa, siccome Dio autor suo. 368 QUATTEG DISCORSI § X. Perù, riappiccando il filo delle con dii.siimi, io mi sento di dovere affermare die non è bella nè accettabile quella invocazione antica dei gentiluomini francesi Dicn d man voi ; nè più bella nè più accettabile 1*altra udi¬ tasi a questi giorni su tutte le piazze Dìo e il popolo; ma solo conforme alla giustizia, alla verità ed alì al¬ terezza della umana naturi i essere quest. 1 unico grido: Dìo e la legge. E per fermo, dii non vorrà riconoscere ed adorare P imperio di Dio e quel della legge infor¬ mata dalla sapienza ( À me sembra, o Colleghi, avervi mostrato in modo chiaro ed assai sufficiente quel detto con cui si chiudeva V anteriore lezione, die cioè la, so¬ vranità sia cosa molto più grande e augusta dell uomo, e perciò, quantunque appaia nel mondo e soggiorni in mezzo di noi, nessun cittadino sia degno di possederla, nessuno possa venirne investito da chicchessia. Nella primitiva e naturale libertà e uguaglianza di tutti gli nomini, V imperio della leggo si eoa tempera siffatta¬ mente con la volontà e P interesse di ciascheduno, die piglia sembianza di semplice patto ed accordo. Le po¬ steriori necessità del viver civile rendono quell imperio, a così parlare, spiccato e visibile, e gli ottimi per virtù e sapienza sono i suoi naturali rivelatori e ministri. Oggi pure egli può succedere che una gran molti¬ tudine di emigranti rompa in mare e si gitti a salva¬ mento in qualche isola n e quivi si fermi e voglia costi¬ tuire un governo. Fra contadini rozzi e imperiti, conio da noi si figurano, chi signoreggia per senno e sperienza? diciamo nessuno. Pili sono dunque nel caso degli antichi pastori idumei da me descritti qua sopra: e faranno ac¬ cordi non prescrizioni, e sarà scelto ad eseguirli o il più anziano o il meno incapace. Ma quegli accordi non sono DI TERENZIO MAMIANI arbitrari nè per sola utilità pensati e voluti. In essi, come derivati dalla legge morale eterna, è il carattere di precetto civile comune. § XI. Tale dottrina, se io non m’inganno, alza all'apice loro la dignità, la grandezza e la libertà dell'uomo e più assai che noi posson fare le teoriche di Rousseau e degli altri giuristi comparsi nell’ ultimo scorcio del se¬ colo andato. Ella spianta per sempre quel vecchio errore di volere a forza e sotto diversi titoli e nomi vestire la sovranità civile e politica di umane membra e di umana miseria: nè permette all’anime generose di cadere in contraddi¬ zione con sè medesime in questo che, mentre abborrono d’inchinarsi a qualunque loro simile il quale si spacci per padrone e dominatore, si recano poi a gloria d in¬ chinare e servire a quella stessa umana fìguia, molti¬ plicata in numero d’individui sufficiente a portare il nome di popolo. Ma noi ci inchineremo solo all’idea e allo spirito, e qualsivoglia incarnazione del dritto e della sovranità riputeremo falsa e ingiuriosa. . < Ciò non pertanto riman di vedere altre condizioni e trasformazioni del comando civile, e che con ni g 1 debbano venire assegnati così dalla scienza come dal¬ l’arte, le quali cose daranno subbietto ad altro pros¬ simo ragionamento. DISCORSO TERZO —°-:-oo-o-:-°— § I. Il Lamennais in Francia e un grave e robustissimo ingegno fra noi italiani 1 vedendo gli sconci e le con¬ seguenze paradosse di quel principio che la moltitudine sia sovrana ed arbitra della repubblica, hanno procac¬ ciato di temperarlo con la massima profferita prima dal Fichte, poi nei libri di Beniamino Constant 2 , di Royer Collard, del Guizot e da parecchi discepoli loro ripe¬ tuta e patrocinata, vale a dire che sovrana ed arbitra delle azioni civili è unicamente la ragione. Del quale congiungimento di principii fanno i due scrittori so¬ pranotati uscire da ultimo questa sentenza che il popolo è bensì sovrano , ma esercita V imperio suo conforme¬ mente ai dettati della ragione. Per altro, come la sovranità è cosa una e impartibile ed ha natura assoluta e non pone nulla sopra di sè, poco ingegno basta a conoscere che nel campo della scienza e della speculativa quel temperamento non leva di mezzo le censure che sono mosse contro il principio giuridico della sovranità del popolo. F prima, si chiede se nel supposto che il popolo tra¬ scorra ad eseicitare l’imperio suo in modo irrazionale, 1 Vincenzo Gioberti. 2 Cours de volitile constiMionnelle. QUATTE,n DISCORSI DI TERESA IO MÀMIÀEI 371 rimanga egli o no il sovrano. Se rispondi del no* chi dunque Io supplisce? ed allora i sovrani soli due, e l’ima u l’altra sovranità è condizionata ed a tempo; e v’ ha mia terza sovranità superiore ad entrambe e non con™ di lionata nè a tempo. Ma se invece rispondi del sì, rim™ penare fuor di ragione è semplicemente abusare il di¬ ritto, non è cancellarlo nè perderlo; e nulla nel fatto non modera e non circoscrive la piena sovranità del popolo* Egli ha obbligo, senza dubbio, di adoperarla secondo virtù e giustizia, come fu sempre affermato eziandio dei re assoluti. Ma nel contrario caso, il po¬ polo rendono conto a Dio solo, e nessuno potrà giudi¬ carlo, nessuno combatterlo ed esautorarlo; senonehè, per sentenza dei partigiani stessi del diritto divino dei re, quando la legge e la volontà del dominatore ritmo avverse sostanzialmente ecl iu modo assai manifesto alla legge e alla volontà di Dio, allora a ciascuno dee sovvenire quello che disser gli Apostoli, essere jj miglior cosa obbedire a Dio che agli -Homìni. Ingomma, osservando che il comandare non è atto materiale e meccanico, ma intellettivo e morale, ne se¬ gue per illazione più che certa e d 1 universa! valore che chiù uq ne è sovrano non perciò sia superiore all 1 onesto ed al vero, e usar gli conviene del suo diritto secondo ragiono e moralità. Non è questa pertanto una menda e mia restrizione all' impero del popolo, ma si unica¬ mente a quel pronunciato o delfObbes o del Rousseau che scioglieva il sovrano eziandio dalla naturai sogge¬ zione al bene etico ed alla giustizia. Che se vuoisi da tal soggezione inferire per ultimo che la sovranità non è una e assoluta nè appo i re nè appo le moltitudini; e l’intelletto dover salire a forza ad investigare fuor dei termini umani e mondani una natura di monarcato più originale e più vera, ciò ri¬ conduce, mi Sembra, la mente ad affermare di nuovo Óil QUATTRO DISCORSI la nostra test, che. cioè, non sia possibile di riconoscere la sovranità in creatura umana qual ec li ossìa ; non pos¬ sibile di riconoscerla così in ciascun individuo, come nel corpo intero sociale, così in uno t ome in pochi od in tutti. Fermammo che la sovranità risiede fo utilmente e sostanzialmente nella legge, E prima, nella legge eterna ed universale del bene, o vogliami dire nell 1 ec¬ celso e previdente comando, espresso da tutto V ordine delle cose e dentro gli animi significato, ed il quale emana dal giure sommo ed assoluto che è in Dio. Poi dimora la sovranità in quella legge scritta che c vivo ed ottimo mterpretamento della leggo eterna e divina, eia piega di ma no in mano e P adatta e specifica se¬ condo che portano i casi e le contingenze peculiari tlel viver comune. Quindi V esercizio, gli onori e i carichi della sovranità parte nere a coloro soltanto che di tale ottimo iirterpretaincubo hanno facoltà e scienza e pos¬ siedono vigore e bontà sufficiente per praticarlo. § n. 1 Faltra parte, che il governo, secondo ragione, sia dei sapienti e degli ottimi è verità volgare e istintiva; e sempre ne’frangenti rischiosi e nelle piu gravi e di fi Scili opere del connine un suggerimento naturale tra¬ filicela in atto. In guerre lunghe, pertinaci e cTestremo pericolo un grido universale acclama e conduce a capi¬ tanare 1 esercito il più abile e valoroso. Affidasi egli il reggimento della nave alla ciurma o al più gentile di sangue o al designato dalla sorte, e non invece al pi' Iota e aperto ed intrepido? E più la navigazione è in mari lontani e scogliosi, con tanta maggior diligenza pio\ vedesti perché il pilota sia proporzionatamente pe¬ rito e animoso. Ma il consorzio civile, Accademici, mai non ha il vento in poppa nè la marina queta e sicura» DI TERENZIO MAMIANI 373 ma procede ogni sempre tra gonfi marosi ed occulte sirti. Quindi sempre gli bisogna il più abile e corag¬ gioso dei timonieri ; quindi è provenuta la sentenza pla¬ tonica esser mestieri al mondo o che il re sia sapiente o che il sapiente sia re. Per questo rispetto adunque il sommo della perfezione sociale è toccato qualora nes¬ suno s’ attribuisca e s’ arroghi la sovranità, la quale (an¬ cor di nuovo raffermiamo) nè ad uno nè a pochi nè al popolo intiero appartiene, ma solo e tutta appartiene all 1 uni versai legge del bene e del giusto e a qualunque decreto s’informa della bontà e sapienza di lei, me¬ diante P opera de 1 più virtuosi e civili. Però gli ottimi non hanno della sovranità che il temporaneo esercizio; e, a favellare esatto, non fanno essi la legge, sì bene la trovano e la significano; non creano parte nessuna dell’ordine morale, ma lo contemplano e descrivono, non investono sè nè altri di alcun giure, ma lo dichia¬ rano e il definiscono. Sento dire : la teorica che tu ci esponi mantiene gli uomini in perplessità continua e travagliosa. Alle mol¬ titudini è gran bisogno una sovranità manifesta e pre¬ sente, una forma d’impero che sempre sia la medesima e non muti di persona; o mutando, segua modi deter¬ minati e costanti di traslazione. Invece, il tuo sovrano è un mero essere astratto, perchè gli ottimi cittadini compongono una schiera di gente che non ha nulla di fermo in sè; non è ordine, non gerarchia, non magi¬ strato, e ondeggia e varia, può dirsi, in ciascun istante: l’uno vi entra, l’altro n’esce; l’uno sembra ottimo e non è, l’altro è e non sembra; chi eccelle per l’ingegno difetta per l’animo, e così all’inverso; e chi fu ieri at¬ tissimo ai pubblici carichi oggi o domani più noi rara. Io queste malagevolezze e disconci non nego; seb¬ bene P arte politica abbia molti spedanti per ^meno¬ marli e scansarne i dannosi effetti. Ciò prova, al mio QUATTRO Disi coitili sentire, che V attuazione cV un govèrno compiutamente razionale ed esercitato dagli ottimi è opera tarda, tra¬ vagliosa e lentissima, e sempre, come tutte le cose uma¬ ne, rimansi col fatto molto di qua dall 1 idea* Esso ricerca e presuppone segnatamente im T abituale prudenza in ogni ordine di cittadini e tanta saviezza e bontà nelle istituzioni, che appunto mutandosi le persóne rimanga identica con sè medesima la sovrana maestà, delle leggi e ferma e costante la soggezione del popolo ai trova¬ tori e promuìgatori di quelle. Del resto, siffatto tra¬ passo (lai concreto all’astratto, dal singolare all' uni¬ versale e dalla verità e certezza del senso a quella del- V intelletto accade per naturale andamento in quasiché tutte le forme e le disposizioni sociali, e senza fatiche e indugi e contrastameli ti non accade in nessuna* E chi non sa che prima i documenti pratici e le massime direttrici del viver comune furono insegnate sotto figura e per via di apologhi; quindi mostrate nella schietta e nuda sembianza loro e belle rimasero della sola luce della ragione? Prima, le religioni deificarono le forze della natura ed i suoi elementi, e a qualunque manife¬ stazione e attribut o della di vinità di crono persona ed effigie ■ poi la mente di mano in mano si assottigliò a concetti men corpulenti; e Dio, quanto fu pensato in maniera menò ingiuriosa all’essere suo* tanto parve addivenire piti occulto ed ignoto. Per simile, nell’anti¬ chità la legge, se non discendeva dal cielo con mi pro¬ digio ostensibile, non riusciva nè giusta nè veneranda. Eziandio al legislatore conveniva essere o Dio o mosso da divino afflato* E figlinoli d' alcun Iddio erano i capi dei popoli, eran gli Eraclidi o gli Eacidì o gli Ori ri eli o gli Bucarli, ovvero traevano la maestà loro dal sa¬ cerdozio. Tu processo dì tempo, e crescendo ne’popoli 1 attitudine di speculare la universa! ragione delle cose, venne cessando il bisogno e V utilità che la legge e DI TERENZIO MARRAN I 375 sovranità s’incarnino (a così favellare) in certi spe¬ ciali e determinati individui e più non hanno mestieri di prodigi e superstizioni per far sentire all’ uomo la santità e divinità propria. A poco a poco la legge con- vertesi in una entità morale e sublime, ben separata da’suoi autori o discopritori che vogliati dirsi; ella si mostra una luce e una rivelazione che balena in parec- i ! ri intelletti, non è compiuta in nessuno nè scevra in¬ tra fatto d’errore e di mancamento; ma va compiendosi e ri purgandosi a grado a grado ed è onoranda sempre ed obbligatoria, dacché ha intenzione e voglia perfetta del bene e tien proporzione e idoneità coi luoghi, le opinioni e i costumi, e la sapienza sua è almen relativa se non assoluta. Di tal guisa, Vedificio legislativo umano si dilata insieme e si assoda, e il tempo gli aggiugne san¬ zione e vene r ab ili t à ; il pe rchè al fi n e ad e m pi e si in futi o quella sentenza di Aristotele 1 nella Politica: esser mi¬ gliore che la legge comandi, perocché è un desiderare e volere che comandi lo stesso Dio. L chi vuole invece che l’uomo comandi v 7 aggiunge ancora la bestia; es¬ sendo che la compiacenza ha del bestiale, e Tira sforza eziandio gli uomini buoni che sono costituiti in impe¬ rio. Onde la legge non è altro che mente senza per¬ turbando ne. § UT. Nell’ordine della scienza V intendimento dimora con gran diletto a conoscere e contemplare l’idea e l’arche¬ tipo delle cose e volentieri schiva il fastidio di esami¬ nare i vizi, i traviamenti e gli errori della materia e degli uomini. Nella filosofìa civile per altro la ricerca delle difformità è necessaria non che proficua, ed anzi 1 Lib. Ili, eap, su. 37 fi QUATTRO DISCORSI è pericoloso il troppo fermare lo sguardo nella luce pu¬ rissima degli archetipi; eh’ei potrebbevisi abbagliare e guasteremmo l’arte di ben discernere i fatti nè li divi¬ seremmo così come sono, involti nell’ ombre e nelle sozzure del mondo. A fronte adunque dell’ eccellenza e bontà di governo poc’anzi da noi definita, è da osser¬ vare in breve il termine opposto dell’ imperfezione e cattività. E prima, notando ed annoverando per ap¬ punto i contrari, ci apparirà come pessimo quel go¬ verno da cui neppure mediocremente sono eseguiti i precetti più sostanziali ed universali della legge del bene, e ciò è a dire eli’ ei non adempie quanto è Inso¬ gno i fini sociali perpetui che sono la sicurezza e tu¬ tela comune ordinaria ; ed inoltre, leva di mezzo affatto la possibilità delle emende e delle migliorazioni, e ciò per difetto e pervertimento suo proprio, non per co¬ mune ignoranza o comune depravazione. In secondo luogo affermiamo che un governo cotale è manifestamente illegittimo ; e indi nasce ne’ popoli il ir anco e pieno diritto della resistenza. E appostata- mente il chiamo della resistenza ed altro nome non gli appongo ; perdi’ ei debb’ essere esercitato il più che sia fattibile a maniera passiva, negandosi ognuno di con¬ correre in verun grado alla conservazione del tiran¬ nico e tristo reggimento e astenendosi dall’ assalirlo con la violenza dell’armi le quali sono ultima e terri¬ bile ìagion delle cose; e quando ella è invocata da una necessità suprema e dal furore dei popoli, ognun vede che nè la scienza nè l’arte politica le danno più nor¬ ma e indirizzo, ma sì lo sdegno, l’audacia, la dispera¬ zione e la fortuna. Nè solo la scienza si tace, ma il lu¬ me stesso della giustizia naturale sembra offuscarsi; conciossiachè nelle guerre intestine sogliono le molti- 1U 1111 giudicare dal solo successo, e il buon diritto ac- DI TERENZIO fttÀMUNI 377 compagiiasi quasi sempre nella opinion piti comune con ìa parte che vince. Queste cose accenno di volo e soltanto per iscan- vMv la equivocatile e far manifesto clic se il governo perfetto o prossimo alla perfezione è necessità die sia legittimo, non però segue ogni governo imperfetto e dissimile da quello da noi definito diventare iniquo e illegittimo, ma ricercarsi a ciò quel grado e termine estremo o d’errore o di prevaricazione poc’anzi de¬ scritto, E riconoscere queste cose nel fatto è men pro¬ prio assai della scienza clic della pratica. § IV. Ora ripiglio di Tmon animo la delineazione astratta ideale del governo, giusta i principi! del giure da me professati. Negli ottimi, noi fermammo, risiede un giusto e naturale diritto d’attendere all’ordine pubblico, pro¬ mulgare le leggi, esercitare l’imperio. Non pertanto, • ■gli'occorre die tutta la comunanza a cui debbono essi ben provvedere, ragguardi e riconosca anticipatamente la bontà « dottrina loro, o vogliasi dire, i titoli sì della naturale e sì dell’acquistata lor maggioranza. Levato ciò, potrebbero altri con frode e temerità usurpare e occupare il nome e il luogo degli ottimi. In cotale ricognizione giace, al mio sentire, ogni fondamento del diritto di eleggere. Il qual diritto cosi derivato conduce seco due prmcipn certi e rilevantis¬ simi di giusti za sociale. . Il p j: i m o è die gli ottimi non sono al governo alzati e non l’amministrano, perchè il popolo ve li sceglie; ma deve sceglierli il popolo appunto perche ottimi ed investiti di naturale e degnissima primazia. Lcomesen- m QCATTUO DISCORSI tenzia Aristotile x , ad essi non può dar legge nessuno* perche essi son legge. Quindi non ricevono, a parlar con rigore, nè V autorità nè il mandato loro da alcuno, ma si unicamente dalla legge morale suprema da cui sono comandati di adoperare nel bene comune ogni propria dote e prerogativa, Bensì il suffragio popolare lor confermando il carattere di legislatori e capi e il rendendo visibile e accetto ad ognuno, li abilita vie me* glio ad effettuare I 1 utilità della ^pubblica. Queste, a primo aspetto, sembrano distinzioni sot¬ tili e scolastiche e deputazioni di nomi più assai che di cose* Pure, la varietà e importanza delle applicazioni e degli atti che se ne origina sì di frequente, mostra che sono necessarie dichiarazioni e feconde e nel pro¬ cesso di questi discorsi verrà meglio avvertito. lì secondo princìpio si è che non pò ossi interdire il diritto di ricognizione ad alcun cittadino il quale sia sufficiente ad esercitarlo, E I modi per ciò fare son due. Bieonoscesi la virtù e il senno degli ottimi o per esti¬ mazione diretta e notizia propria e immediata, ovvero per V indiretta e mediata, giudicandosi col lume di molti indizi c di notabili contrassegni : forma di criterio della quale fa uso la moltitudine a marcia forza nella mag¬ gior parte de'suoi giudizi e pareri. Ili questo La suo fondamento la elezione a due gradi e in separali col¬ legi, secondo si accennerà più avanti, Egli rimane assai manifesto che dove nè V una guisa ue 1 altra di ricognizione non vale e non basta airef¬ fetto, estinguesi per intero la facoltà dello eleggere. eudio 1 elezione non è atto meccanico, ma razionale; egli e umano e non automatico; e se fosse (V automa, a oid meglio tornerebbe rimetterlo al caso; e le ini- i*. J Politica, Uib r in, DI TERENZIO MAMIANI borsazioni fiorentine apparirebbero di ciò uno stupendo modello. Non ignorasi poi da alcuno che la pratica moderna di delegare altri a far le leggi in tua vece e in tuo nome introducevasi in Inghilterra ed in Aragona piuttosto accidentalmente e per necessità materiale che per ma¬ turo senno politico. Di tal maniera un confuso istinto di libertà e di giustizia costrinse alfine le moltitudini ad esercitare il solo giure legittimo di ricognizione, se¬ condo l’abbiamo discusso e spiegato. Per contra, l’an¬ tichità intera lo disconobbe pel falso e pertinace giu- dicio suo intorno alla sovranità e al modo di effettuarla. Il quale errore affrettò poi grandemente la disgrega¬ zione e dissoluzione del romano impero. Certo, il go¬ verno che domandasi rappresentativo potea meglio assai del comando assoluto dei Cesari serbar connessa con sufficienza quella macchina sterminata e non punto omo¬ genea. § V. Consegue da tali considerazioni che il suffragio uni¬ versalissimo è veramente nuli’altro che l’ideal perfe¬ zione a cui, rispetto a ciò, dee di continuo accostarsi il consorzio civile, mediante 1’ educazione del popolo minuto. E infatto, il consorzio civile ha stretta obbli¬ gazione di procacciare quanto è possibile che niuno per assoluta incapacità d’intelletto e d’animo venga tolto a quell’ atto di solenne ricognizione degli ottimi il quale adempiesi nei comizi. Nè voglio qui, benché sia materia leggermente con¬ nessa col mio subbietto, intralasciar di notare come in tre stati e disposizioni della cosa pubblica il suffragio universale riuscir possa necessario non che profittevole. Ed uno è quando in mezzo ad una assai numerosa so¬ cietà d’uomini sonosi affievolite oltremodo ed in parte L 380 HITATTBO XUSCOltSI spente le credenze cornimi intorno ad ogni politica au¬ torità, die è il caso di alcune nazioni al di d’oggi e segnatimi ente della Francia. Imperocché, cedendosi al- lora all uopo sapremo di tutte le comunanze civili, che è quello di possedere ima qualche forma ordinala e du- ìabile di difésa e tutela pubblica e bisognando a ciòpèr lo manco il parere e 1 ' assentimento di molti e Tacquie- cien/.a di tutti, il solo spediente che rimanga possibile a praticarsi è quello ili accettare e seguire la volontà qualechessia del maggior numero. Il secondo caso incontra quando è piena e continua necessità di svegliare nelle moltitudini una operosità costante, laboriosa, destra ed arrisicata e d'amplificar loro il concetto della dignità propria e della propria ca¬ pacità e valentia : siccome accadde per appunto in Ame- liea, dove fu mestieri di dar principio con poche menti e braccia ad un opera smisurata di muramento e col ti¬ ramento e di soggiogare con immenso coraggio e sudore a Circostante natura così vasta e selvatica e così ripu¬ gnante e libelle, e d altro lato prornettitrice larghis¬ sima d ogni bene e d’ ogni ricchezza. 1 1 terzo caso si avvera , per m ì o giudici o, nelle gu erre ungile e zarose e dov’è bisogno levarsi ed ormarsi a popolo; e per simile in tutti quegli altri intrapren- . im.cn i giganteschi e straordinari che solo la gente nini a può con eroica gagliardezza, perseveranza ed cuioiie condurre a buon termine. Quindi Aristide, stato to ^ir 1 ^ Ue Ca ^° P ar t,igia!:o d’uu governo ristret- uì' 01 ,.^ democrazia compiuta e la sovrauità sistentp \ ,K mi, mirando allo sforzo magnanimo e per- crità e flV e - aE doTCva la Grecia per durare con ala- ed «dilC * "“ Ì "fa l’Ari» M*» m ‘PERIZIO aiAMTANT 381 § vi. Ma, stretto o largo clie sla il modo dell’eleggere gii ottimi, o a dir meglio, coloro elle sono ottimi re¬ putati, la volontà che regge e prevale con ragione e di- ritto è quella degli eletti. E l 1 unanimità stessa di tutto il popolo in desiderare e pretendere alcuna cosa mai non può nè dehhe acquistar valore giuridico. Salvo che, una volontà universale e costante molto diversa o contraria, di quella de’ magistrati e legislatori è accadimento im¬ possibile laddove la istituzione del viver comune non sia tanto perversa e guasta da riuscire opposta diretta¬ mente al suo fin e, che è eh innalzare appunto al governo i migliori. Ben è vero che ogni virtuoso cittadino ed illumi¬ nato non trova seggio ed uffizio tra i rettori della re¬ pubblica, ma virtualmente all’ordine loro appartiene. Conci ossi adì è la mente e P animo del governo non sol¬ tanto si stringe nei pensamenti, ne’ giudizi e nelle af¬ fezioni de 1 magistrati e legislatori, ma nelle cogitazioni altresì e ne 1 desideri di tutti i buoni e prudenti. E in questa corrispondenza appunto di pensieri e di affètti è costituita V opinion pubblica, dico la verace opinione nata da consiglio lento e sperimentato e eli e ha fermezza, maturità e posatezza. Perciò, parlandosi in universale, la opinione defittaci ini onesti e prudenti e quella de 1 reg¬ gitori esattamente si conformano e sono uno; e dove ciò non accade, è profonda perturbazione; e occorre di giudicare o che quivi non governino i buoni, oche gli spiriti sieno travagliati da passioni stemperatissime e cieche. Ma nella generalità de’casi, e presupposta certa equità ordinaria di animi e ri’intelletti, un governo si¬ mile a quello da noi descritto mai nei concetti e nelle opere non si discosta dall 5 opinion più comune ed anzi vi aderisce e la segue; e ciò domandasi oggi con parola adn- QUATTRO DISCORSI 382 latriee inverso le moltitudini ascoltare e seguire le vo¬ lontà espresse del popolo» § vii. A queste poche e fondamentali nozioni di giure pub¬ blico, cavate logicamente Pana dall'altra, dovremmo per fare utile il nostro parlare e più prossimo alle con¬ dizioni ed alle emergenze de 1 nostri tempi, aggiungere quel che viene insegnato in ordine a ciò ed a maniera universale dall'arte politica, la qual ritraendo i canoni suoi dalla storia e dalle induzioni sperimentali, incor¬ pora, a così dire, nei fatti la scienza e ne cimenta i ra¬ ziocini e le prove. Toccherò qualche capo, perchè di tutti sarebbe discorso infinito, ed io fo proposito uni¬ camente di mettere in luce per vìa d'esempio i legami e Ì trapassi della scienza nell 1 arte e di questa in quella. Lino di tali canoni insegna che paranco nella ma¬ teria dì cui ragioniamo appare certa naturale contra¬ rietà ed opposizione tra V imperio degli ottimi e T en¬ trare del popolo ai comizi universali e alle altre parti della pubblica vita. Contrarietà troppo vera che le fa¬ zioni negano e disconoscono, sebbene non posson cau¬ sale nè vincere. E mi è avviso, Colleglli onorandi, che nel combatterla e nello stremarla al possibile sta la migliore arte e il maggior secreto dell’ottimo ordina¬ mento polìtico de nostri tempi. Ita un lato, nessuna cosa affretta e propaga da van- .aggio la educazione del popolo minuto e infondegli maggioi sicurezza e fede nel reggimento politico, nes- sniìa crescegii tanto il senso della dignità propria e lo ^ca t a t amore così profondo ed eroico inverso la pà- |ita e o immedesima con la vita comune e con le uti- _ pUbb ™’ *^suna infine fagli gustare ed assapo- um a lettanta dolcezza il pregio della libertà e I A ]>I TERENZIO MAI#® 383 dagli concetto piu vivo della santità della leggio, quanto il partecipare egli stesso in alcun grado e maniera ai poteri dello stato e ad alcuna delle principali funzioni del consorzio civile. Dall 1 altro lato, dove cotale parte¬ cipazione non sia tuttogiorno con dna e. difficilissima in¬ dustria temperata e corretta, diventa impossibile quella eccellenza e nobiltà di governo che abbiamo discorsa, e che ha il fondamento primo nella sovranità della legge e nella interpretazione ed esecuzione di lei per opera dei migliori in sapienza e virtù. Considerale, o Colle- gin, per prima cosa che sempre sta con la gente mi¬ nuta il vantaggio materiale del numero ; e perciò, dove questo solo prevalga, il popol minuto non mancherà in poco intervallo di tempo di diventare padrone ed arbi¬ tro dei suffragi. Ma i suffragi in mano di lui pericolano di contrarre, ed anzi, non apponendovi rimedio, con¬ trarranno del sicuro ed a breve andare i difetti che iu qualche porzione almeno sono inerenti allo stato e na¬ tura sua; e quattro principali sene distìnguono, Vigno- ranm cioè, la volubilità ^ la decemone e l 1 interesse. Certo, non può non rimanere molto ignorante la plebe in comparazione del picciol numero di coloro che vacano per tutta la vita agli studi e albi meditazione ed in cui la pratica delle cose e degli uomini si affina e moltiplica con Fuso coti diano dei gran negozi e il con¬ tinuo scorrere e conversare in ogni parte del mondo ; laddove il popol minuto per legge di necessità insupe¬ rabile si applica tuttodì e con tutte le forze alle faccende moceaniche. GF ignoranti poi e non guari avvezzi al pro¬ fondo e abituai raziocinio vengono di leggieri svolti e aggirati ; come altresì non hanno sodezza e stabilita di opinioni e cedono assai facilmente all impeto degli af¬ fetti e a quello che lor persuade la fantasia: di quindi ai origina la voliètìità e la deccmme. Da ultimo, del perfezionaménto vario e complesso del viver sociale in- ;ì84 QUATTRO llISCOKSI tende la plebe poco altra che quella porzione la qual tocca i suoi interessi immediati di sostentamento egna- (lagno* Però ella dee volere che di cotesti si occupi anzi tutto Io Stato e ogni cosa a loro sottordi nata sì riman¬ ga. E, per maggior danno, neppure ha capacità e gin- clic-io per ben ravvisarli e conoscerli, nè sa Parte di provvedervi iu modo efficace e dura Iole; essendo dottrina multo recondita e occupando anzi la parte più alta e dif¬ ficile della pubblica economia e d'altre scienze sociali § Vili. Notate le quali cose, subito corrono alla vostra mente le conseguenze; che cioè da una parte chiunque si ad¬ dirizzerà alla plebe con parole audaci ed infiammativi? e abuserà della credula mente di lei con magni He ho prò- messe e utopìe e studierà meglio i modi di andarle a Versi e di accarezzarla* verrà nei comizi chiamato e scelto it dettare le leggi e maneggiare lo Stato* E d'altra parte, i suffragi verranno negati ai migliori* Perchè i veri sa¬ pienti sono riservati e modesti, abbonarne fi eloquenza da. trivio, non adulano gli errori e i vizi del popolo, le passioni astiose non ne provocano, le fantasie non ne scaldano e gh interessi materiali ne aiutano e ne tute- hniu in modo razionale e discreto, modo più assai s<> s a ozioso rii e appariscente, più durabile che spedito ed a ^ evo L e * n r ^pond enza continua con tutti i nobili fini e con ^ perfezione intera o bene infra sè concordata. Vy * civ ^ e " ^ capienti cercano dei fatti le cagioni ° CCU ■ e G r l emote e Però nascoste agli occhi del volgo; ^ i confidano nel tempo e indagano le opportunità; V Moyai ‘ e Procedono per grado e con all * in ma v^* 1 ■ norme e pratiche odiose ; m J™r“ftìS 6 ’ 118110 deboie ■ -Tie iallaci apprensioni e cupidità, Gli ot- DI TERENZIO MAMIANI 385 timi adunque abbandonati alla potestà ed arbitrio del numero certissimamente soccomberanno. Sento dire: la educazione pubblica scemerà questi vizi e diraderà questi errori. Sì certo, ma estirparli af¬ fatto mai non potrà, perchè al popolo lavorante mai non sarà dato V agio d’intendere a lunghi studi e a pro¬ fonde meditazioni e di voltare e rivoltare le carte del gran libro del mondo. E se negl’infimi si diraderà la ignoranza, crescerà d’altrettanto ne’sommi il sapere, e ogni dì la scienza del viver comune diverrà più impli¬ cata e vasta e però più difficile e richiedente maggiore ampiezza di cognizioni e meditazioni; sicché l’inter¬ vallo che separa ora i volgari intelletti dagl’ istruiti ed esercitati, stringerà d’assai poco spazio i termini suoi, perchè i termini della proporzione amplificandosi tutti, mantengono uguale o poco diversa la proporzione me¬ desima. Similmente, come la fortuna del popolo minuto e l’uso e il tenor della vita non può nella sostanza mu¬ tare, così egli avrà sempre a cuore, innanzi ogni cosa, di scemarsi l’inopia e i disagi e crescere le comodezze. TI qual fatto ( e pregovi di averlo in memoria ) è mag¬ giormente vero e certo a’dì nostri ne’quali l’interesse privato porge all’ occupazione degli uomini la prima e cotidiana materia ; quandoché nelle repubbliche antiche la vita comune e propriamente politica prevaleva senza misura alla individuale e domestica. 1 § ix. Non avvi dunque nell’arte di governo problema forse più degno e di maggiore importanza e più malagevole a venir risoluto che questo, e potrebbe annunciai si bie- vemente così: rinvenire il modo miglioie di fai paite* i Vedi Saggi di Filosofia civile ecc., pag. 138 e seg. Genova, 1852. 25 386 QUATTRO DISCORSI cipi del reggimento politico le moltitudini senza che per ciò sia scemata o difficultata la prevalenza e l 1 im¬ pero degli ottimi. Si tentò in più tempi ed usa tuttavia in alcune provincie di eleggere rappresentanti e uffi¬ ciali con doppio suffragio, e vale a dire che nei più lar¬ ghi comizii son nominati gli elettori e da questi in ri¬ stretto comizio i deputati al Parlamento. Ma se tal modo di eleggere, e secondo i principj nostri, tal modo di riconoscere appare il più razionale, poco accetto si mostra e poco fortunato nell’uso; dacché l’infima mol¬ titudine scorgendo da ultimo riuscire eletta altra sorta di candidati che i presunti e desiderati da lei, cessa di frequentare i proprj comizj e con l’astenimento li scre¬ dita prima, quindi li annulla. A noi, frattanto, non rimane dubbioso il dire, co¬ me giusta illazione di tutte le nostre premesse, che il più perfetto dei reggimenti civili dee reputarsi quello dove i probi e i sapienti ricoglieranno maggiori ono¬ ranze e maggiore autorità spiegheranno e dove le isti¬ tuzioni e i costumi abbiano per effetto ordinario di moltiplicare gl’ ingegni grandi e bindoli animose e ma¬ gnanime. Tristo invece e spregevole sopra ogni altro quell’ ordine di comunanza ( sia in mano di uno o di molti o di tutti) per effetto del quale gli eccelsi inge¬ gni e caratteri si diradino e scemino ovvero si giacciano poco onorati e impotenti. Alle quali sentenze voi ben sapete, Accademici, che risponde a capello l’apotegma antichissimo dell’ uno dei sette savi di Grecia dalla cui bocca uscivano per appunto quest’auree parole: otti- ai ouom ed ai valorosi. Ovvie e semplici verità sono co¬ uste, noi noi neghiamo, e tanto vecchie e così lucenti . 3 P iena evidenza, che son fatte volgari. Ma non deesi imputale a difetto nostro se diventa necessità il ricor- l.ule alla moderna democrazia, la quale non può pen- DI TERENZIO MAMIANI «are d’aver sanato e rifatto il mondo, nè adempiuto alle esigenze solenni ed indeclinabili della giustizia co¬ mune col solo contare i suffragi in luogo di ben pe¬ sarli, e col far sì che Fumili e folte gramigne sorgano e prosperino tanto da soffocare sotto esse le nobili pal¬ me. Distruggere i privilegi e le artefatte disuguaglianze fra gli uomini è santa cosa ; pessima, F abbattere o l’im¬ pedire o lo spossessare qualunque naturale eccellenza e grandezza. DISCORSO QUARTO § I. La sovranità,cornati una c assoluta, è similmente in¬ finita e impartitole. Ma l 1 esercizio di lei venuto alle mani degli uomini, subito incontra divisione e limita¬ zione, Parecchi sono gli esercizi della potestà civile e politica e in ciascheduno trovami più specie e maniere fli limitazione, delle quali voglio quest 1 oggi mostrarvi solo, Accademici, la ragione e il fondamento comune, peichè usciranne un concetto maggiormente chiaro e con più esattezza definito della origine, natura e costà turione d ogni sovranità che è il principale argomento di questi discorsi. Per ferino, sarà concetto molto spe¬ culativo e terrà assai del metafisico. Ma la verità deb* b essere investigata laddove dimora effettualmente, in alto o d accosto, tra i pensieri famigliavi o tra i pelle¬ grini ed insoliti. § IT. Stanno nel mondo morale due termini cardinali TEI? lX f}° a ^ a ^ ro contrapposti ; ciò sono la leg§ _ ^ f° r ^a. ed espressione dell 1 orci ? ( * ! > k legge, o vogliasi dire la ragione eterna ed universale del bene, fu ingenerata dal primo amante che si compiacque dì ogni cosa ordinare al bene. Per simile, Vamore inge¬ nerò libera V anima ed esente da coazione ; perchè tra libertà e violenza non è alcun mezzo; e l’amore, scrive Fiatone, è un Dio che non fa e non può ricevere in¬ giuria e violenza, siccome colui che spontaneamente si dà e spontaneamente vieu ricevuto. Quindi su le due virtù e forze disgiunte, la legge e la libertà, fu prepo¬ sto dalla bontà eterna e moderatrice V Amore, il quale imprime la legge così saldamente e così addentro nella ragione e nello spiritual senso degli uomini, che la tra¬ sforma e converte nella ragione loro individua e in sen¬ tir naturale ed abituale. Quindi alla legge vien meno quel suo rigido carattere di comando assoluto e non declinabile, e diventa ciò che Pindaro diceva della sa¬ pienza, il frutto più saporoso della mente e del cuore. In Hne, allora non sembrano nè la legge da sé e per se uè la ragione universale in lei contenuta sottomettere \ uomo e sovranamente governarne le azioni, ma invece immedesimarsi con Ini, diffondersi in tutto l’essere suo ed operare per le sue mani, § VI. Succede ora regolarmente il cercare, Accademici T io i he guisa egli accada, sotto l 1 imperio soave d’amore, q e*to alto connubio tra la legge e la libertà, E qui DI TERENZIO MA MIA NI 393 pure interviene Platone a rispondere, ed il quale affer¬ ma le cose dure e feroci essere nate dalla necessità; ma i beni così degli Dei come de 5 mortali aver comin¬ ciato quel giorno che amore fu partorito dal desiderio di bellezza. Appena pertanto la bellezza celeste e inef¬ fabile sì della legge e sì dell" ordine etico universale si disasconde e perviene a sfolgorare negli occhi snebbiati dell 1 uomo, è al tutto impossibile a lui di non subito desiderarla. E voi ben sapete che quel desiderio puro e intensissimo della bellezza è amore ; il quale in fra gli altri prodigi compie eziandio questo di unificare in modo arcano la libertà e la necessità, quello che per se si move e quello che è mosso, fattivo e il passivo, lo spontaneo e il coatto* Libero è V uomo nel volere ed amare, per¬ chè nell’imo e nell 1 altro è affatto spontanea f azione sua. Dolce e irrepugnabile necessità pur nullameno Io lega, poiché nessuna cosa è più forte ed irresistibile come f attraimento tf amore. § VII. Ma chi discuopre all 1 uomo la bellezza eterna e sfol- goreggiante della legge che è come dire dell'ordine inal¬ terabile e del magistero maraviglioso con cui gli esseri tutti armonizzando cospirano al bene ? Considerate, o Signori, che la sapienza sola, o vogliam dire la saggez¬ za, ad una, e la scienza studia e conosce intrinseca¬ mente sè medesima; e però la vaghezza e formosità in¬ finita dell'ordine, la qual procede da bontà e senno infinito, non può altrimenti venire svelata dir nomo che dalla sapienza eterna comunicatagli in alcuna pai te e siccome quella che intende f opere proprie e compia¬ ce si di manifestarle al senso e al pensiero umano. 394 QUATTRO DtSCtfRSJ § VITI. Voi possedete ora, Accademici, tutti i punti di que¬ sto arguto ragionamento e di questa, a così chiamarla, in generazione di enti astratti. Li uomo è libero essen¬ zialmente; e siccome tale, non soffre Impero nessuno sopra di se; e tornagli grave e penoso perfino quello della sovranità della legge inorale, tanto tempo almeno quanto egli s’indugia a trasformarla in proprio intel¬ letto ed in proprio volere. La quale trasformazione poi si opera in lui per virtù dell’amore, uscente dalla con¬ templazione della bellezza eterea e sopramondana della legge e dell’ordine. Bellezza che chiusa o abbuiata dalle passioni, travisata dalla calda concupiscenza, avuta a schifo da interessi ignobili e falsi, a poco a poco si ste¬ nebra e si manifesta ne’suoi splendori vivissimi me¬ diante le lunghe speculazioni che s’ausa di farne una sapienza purgata e matura. Nè per tale connubio del nostro intelletto e del no¬ stro animo con V autorità e la legge vi pensate mai che la libertà sopporti veruu detrimento. Ella in quel cam¬ bio s 1 ingagliardisce mirabilmente e moltiplica; perchè qui pure, ed anzi con significazione molto più larga, e da ripetere la sentenza degli stoici: il solo sapiente es¬ ser libero. Per vero, la spontaneità umana non è intera giammai nè fruttifera, insilio a tanto che sciupa le forze sue ad insorgere contro la legge, ovvero le adopera, m conformità della legge, ma con istento e con poco nerbo ed alacrità e rendete appena soggiogate e passive da ri¬ luttanti e ribelli; od infine, le esercita in atti volti al mero interesse privato, in atti usuali e a ninno forse nocivi e però indifferenti, ma non virtuosi, non gene¬ rosi e che assai poco rilevano alla perfezione propria e d’altrui e non s 5 addirizzano a vermi concetto supe- DI TERENZIO MAlOiM 395 l'ioro di giustizia, di bontà e eli scienza. Invece, la spon¬ taneità mossa e infiammata (come spiegammo poc’anzi) dalla bellezza e dall’amore e volta a fini pienissimi e indefettibili, trova e produce quanto di produrre ha possanza* nè lascia seme di opere grandi nè parte di ef¬ ficacia e di attività die non conduca a nobili effetti. die dio volessi a cotali astrazioni dar corpo e co¬ lore e seguir V esempio del Vico, al quale non sembrò sconveniente di chiarire per virtù d’immagini e di pit¬ ture i principi! della sua scienza nuova, io porrei in im quadro dal lato sinistro la libertà o propriamente il li¬ bero arbitrio umano clic è fondamento ed inizio d'ogni spontaneità e d 1 ogni franchigia, e il porrei sotto la sem¬ inarmi d ? un giovine ben formato e robusto , ferino sui piedi ed agevole e con la faccia eretta e sicura, e in¬ torno a cui a 1 aggirino parecchi sìlfi e gnomi, simboli delle rette o pessime inclinazioni, ciascuno dei quali faccia prova à' allettarlo e dismoverlo. Dall’altro canto e come suo contrapposto, dipingerei la sovranità o la legge, che voglia dirsi, maestosamente seduta sopra dhm alto scanno (mezzo ferro e diamante come fìnto è dai poeti quello delle Parche) e la quale additi con atto im¬ perioso dell’ìndice le tavole de 1 suoi decreti che stall¬ inole appresso. Io la ritrarrei tutta involta e chiusa in un velo ampio e fittissimo, girato tre volte d T attorno alla sua persona ed eziandio d attorno al capo ed al volto; se non che, da questo verna rimosso pian piano e quindi con assai rispettoso atto ini po’ sollevato e spie¬ gato dall’agile mano d una matrona d’aspetto augusto, ma canuta e curva per gli anni e per le vigilie, e la q u al e sar i a. figli r a d eli J u m au a. s api e n za ; s op r a 1 a cuì fronte farci brillare tni raggio che procedesse dall alto e mostrasse di movere dalle cime più serene della luce eterna ed inaccessibile* In tal maniera apparirebbe di sotto all’arcano velo porzione della bellezza angelica 396 QUATTRO DISCORSI e inestimabile della legge ; e percosso dai primi baleni di quella divina formosità scorgerebbesi il giovine al¬ tero da me poc’ anzi delineato dirizzarvi intensivamente lo sguardo, e l’anima sua riceverne i lumi e le grazie e tutta in lei trasmutarsi. Il che succedendo vedrebbesi l’aria del cielo aprirsi ed accendersi e tra innumerabili fiammelle di foco giù calare vittorioso il più sacro e an¬ tico di tutti i genj, V Amore ; e quindi altri genj minori apparire da ogni banda e spargere fiori e toccar le ce- tere e volteggiando trascorrere sulla terra e pel firma¬ mento, quasi invitando la natura e le stelle a plaudire e solennizzare le mistiche sponsalizie tra Y umano ar¬ bitrio e la legge. § IX. Del rimanente, queste cose da noi divisate in astratto e come nude teoriche e le quali mostrano di attenere alla metafisica molto meglio che alla filosofia civile, il¬ lustrano la pratica della vita particolare e comune più che altri forse non opina; e se ne ritraggono eziandio certissimi ed efficacissimi documenti per la scienza di* Stato. Per fermo, girando l’occhio della mente sul tutto insieme delle proposizioni anteriori, voi subito scorgete come la libertà civile e politica sia per sè istituzione sacra e inviolabile ; imperocché la spontaneità vera del bene senza libertà interiore ed esteriore non può sussi¬ stere, essendo che qualunque specie di restrizione e di sforzamento la scema e la intorbida; e d’altra parte, vedemmo la spontaneità essere principio e cagione così della privata come della pubblica eccellenza morale, e da entrambe esse le altre tutte rampollano naturalmente ed agevolmente. Vedemmo eziandio come la compiuta armonia tra la legge e la libertà sia nel mondo civile DI TERENZIO MA Mi INI 397 mi prezioso e tardivo frutto della sapienza, la quale vuol dire, come altre volte si è definito da noi, la scienza profonda insieme e operosa, quella clic informando con pari industria l’intelletto ed il cuore, mai non diverte lo sguardo dalle socievoli utilità e tende a convertirò ogni sempre la cognizione in azione, ridea in fatto. Dal che segue dirittamente che ottima natura ed isti¬ tuzione di governo sarà pur quella, dove ogni cosa darà Ulano ad accrescere in modo speciale una educazione ed una istruzione che immedesimi a poco a poco II no¬ stro intelletto e V animo con la legge universa del bene e ne penetri i secreti e ne riconosca i gran fini e ne senta la bellezza eterna ed incorruttibile. e tutto ciò instilli negli affetti, ispanda nelle moltitudini, insinui negl*interessi e faccia risplendere nelle opere. D’altro lato, quella istituzione ottima di governo studierà del sicuro, giusta i consigli della sapienza, di dilatare quanto è fattibile mai le franchìgie private e le pubbliche, affine che cresca altrettanto e dilatisi la spontaneità umana nell’effettuazione varia e molteplice del retto e del buono. Ad ottenere la qual cosa è gran¬ demente mestieri che la sovranità della legge umana astengasi (V intervenire e di governare laddove gli al¬ trui diritti nocumento grave e visibile non sopportano, o può ripararvi la virtù dei costumi, V efficacia del tempo e l 1 altre forze perenni ed universali della civiltà. A ri¬ spetto poi del vivere propriamente comune e politico, egli occorre che non Isdegui la legge di consentile via via all’opinione pacata, matura, permancvole e gene- rale, che è come dire all’opinione promossa, meditata e difesa dai sapienti e dagli ottimi; perchè quella del volgo non ha maturerà, non permanenza, non ferma ragione di se e la travagliano e la turbano di continuo le passioni e la fantasia. Così T opinione spontanea e li¬ bera da una parte c la legge autorevole e imperativa 39.8 QUATTE0 DISCORSI dall 1 ultra, si unificano per se medesime in un pensa¬ mento ed in un volere. § X. Ter ultimo, ridueendo il nostro discorso a quel punto medesimo dal quale moveva, affermiamo novellamente la legge tenere il sommo della sovranità ed ogni cosa doverle obbedire. Ma d' altro lato, essendo ella espres¬ sione fedele ed esatta dell ordine morale universo e del’ 1 eterna saggezza e bontà, vuol essere spontaneamente negli animi ricevuta e divenire come sostanza della ra¬ gione individuale e convincere i cuori con la sua divina bellezza e splendei!za. Quindi la legge per quel volere e senno foniate che la produsse, invece di dominare e impedire la libertà, sollecitamente la cerca, la pone, 1 invigora e la amplifica. Però la legge umana positiva, seguace e interprete della divina, restringe e dirada, ovunque il può senza danno gravissimo, l'opera e hin- terveniinento suo e mira soprattutto con isttipende arti e sottilissimi accorgimenti a sminuire di mano in mano e stremare la necessità delle coazioni. E quanto ella rie¬ sce a poter cedere del suo campo, tanto la ragione e la moralità dei popoli ne occupano e ne conquistano, e cresce e si agevola il regno, eziandio esteriore e visi¬ bile, delle corrette ed illuminate coscienze. § XI. Nella gran macchina adunque del mondo morale la libertà (e non vi sia tedioso l 1 udirlo ripetere) è una divina istituzione che per tale celeste originamento in¬ genera negli uomini un diritto primitivo, fondamen¬ tale e intangibile, e il qual dee, contemperandosi vie- inaggionncnte con le norme e i decreti dell 1 ordine, DI TERENZIO HAMIANI 399 divenire quaggiù movente universale di bene e inde¬ clinabile condizione d’ogni eccellenza e d’oo-ni per- fezionamento. & 1 La ignoranza e le passioni sbrigliate ora fanno ne¬ cessario il servaggio, ora un più esteso e veemente esercizio della sovranità della legge umana e del suo ìigido lepiimento. Ma la sapienza civile crescendo e con esso lei la comune erudizione e moralità, rimena a grado a grado fra gli uomini la pienezza della li¬ bertà loro naturale ed ingenita e quindi l’abituale spontaneità delle opere, innanzi alla quale ritirasi al¬ legra e s attuta in buona porzione e a poco per volta la legge scritta. Quell’ azione poi che rimane di lei tut¬ tavia, è non pure difenditrice e tutrice, ma completiva ed esemplare, modi solenni d’ingerimento che esser non debbono praticati se non per 1’ ufficio e per le mani degli ottimi. Ma quale peculiare significazione connet- tesi, giusta il mio sentimento, a queste azioni e in¬ ter venimenti della legge civile e politica spiegammo in altro discorso. 1 Qui giovami di conchiudere, prima col farvi notare la bella e aperta testimonianza che abbiamo testé rac¬ colta della verità professata in particolar guisa dalla nostra Accademia, la speculazione cioè de’sommi prin¬ cipi, non che essere vana e povera di profitto, recare in quel cambio una luce sempre copiosa sì alle teoriche e sì alle applicazioni sociali e politiche. La soda filo¬ sofìa di elegante e arguta dottrina non s’ appaga, e non mai contempla la verità a fine solo di contemplarla. Ricordivi, onorandi Colleghi, che Dante Alighieri la definiva stupendemente, chiamandola nel suo Convivio uso amoroso di sapienza; cioè non amore soltanto e spe¬ culazione del sapere, come disse Pittagora, ma adope- i Vedi Saggi di filosofia civile, ecc. pag. 113, Genova, 1852. 400 QUATTRO DISCORSI L'amento ed uso; nè uso pigro o gelido, ma sì infiam¬ mato, come T amore comanda, e non del sapere astratto ed arido, ma bensì di quello che abbraccia la immen¬ sità delle cose per ricavarne il senno civile e moderare gli umani destini, della sapienza in somma che è voce sinonima di suprema saggezza. In secondo luogo io vi prego, Uditori, che questa consolazione pigliate oggi dalla filosofia di non dubi¬ tare che mai soccomba e s’affievolisca per lungo tempo tra gli uomini il retto imperio della libertà. 1 lo v 1 ho mo¬ strato, mi penso, con qualche saldezza di prove che ella innanzi di divenire il desiderio generoso e indomabile di tutte le forti e colte nazioni, fu un concetto sublime di provvidenza e campeggiò nel disegno preordinato da lei del mondo morale e della progressiva e ma li- fica attuazione del bene. Non ci turbi adunque e non ci disamini il vederla talvolta esulare dalle sue anti¬ che dimore e che se ne smantellino i templi e i sacer¬ doti se ne perseguitino. Nè veramente ciò accade (come giudica il volgo) per furore di guerre, per ferocità dì conquiste, disorbitanze di casi, arte fortunata di ti¬ rannia; ma sì per li soli errori e le sole colpe degli uomini; perchè io v’ho dichiarato che libertà perfetta e durabile vuol significare dottrina e virtù; dottrina profonda e civile, virtù serena e spontanea. Risorgendo fra i popoli la moralità e la scienza, risorgono quasi per se medesimi gli altari della libertà, e guai per chi li atterra e contamina! Imperocché f piacenti di riconfer¬ mare ogni detto mio con queste solenni parole di Gian- Vincenzo Gravina nel suo libro famoso De Origine Jitris 1 Correva allora Carino 1850, c nella piti parto d’Europa durava la rea* 55 ione contro ì principi! liberali scoppiata massimamente in Trancia al cadere della repubblica e costituirsi dqjl* impero. DI TERENZIO MAMIANI 401 dedicato alla Santità di Clemente XI): « Sacrosanta cosa è la libertà e di giure divino, perchè da Dio me¬ desimo innaturata nell uomo ; talché tentarla diviene scelleraggine, empietà è assalirla, nefandezza è occu¬ parla. » FINE. SOMMARTI LETTERE DUE DI TERENZIO MAMIANI I. Occasione delle Lettere—Insufficienza del principio della Utilità per cardinare il Diritto — Difetti delle teoriche dei razionalisti — Se la scienza del Giure possa fondarsi nell’ evidenza di fatto— Come si giovi della logica naturale — Come possa divenir positiva — Ne¬ cessità di dedurre la scienza del Giure dalla filosofìa morale — Fi¬ losofìa morale ontologica — Prove dell’esistenza del Bene assoluto — Principio supremo della filosofìa morale—Teoremi che ne derivano— L’universo è ordinato alla massima partecipazione del Bene asso¬ luto _ Definizioni dell’ Ordine morale , della Legge morale , e della Legge in sé-Definizioni del diritto e del dovere-l diritti non sono ingeniti nell’uomo, ma trasmessi dalla legge morale suprema- Genesi dei diritti-Se il diritto anteceda al dovere. IL Uno è il Diritto, una la Legge; e però il Diritto'non può di¬ stinguersi sostanzialmente dalla Moralità - Nozione del bene so¬ male e dell'ordine sociale umano - Diritto naturale d ^per.o dei primeggiami per virtù e per prudenza civile - Forme particolari di Diritto Civile, tutte tendenti alla maggmre partempazmne del Bene assoluto - Ragion morale del diruto de le genU - No™» della Giustizia — Dimostrazione dell' adagio: ti bme ^ l ^ t Z’e il male riscuote male- Alla società umana incombe di effettuare al possibile le condizioni dell’ordine superiore assoluto - Ogni in dividuo,parlandosi astrattamente, ha debito> di reintegrare or m morale perturbato - Unico fondamento del dtrtuotUpuntre --U. possibilità e la convenienza condizioni dell’esercizio d. talamo Perchè il privato non possa esercitare la giustizia penale - Tutte le offese alla legge morale sono di competenza dell’ umana giustizi 404 S 0 M M A E 1 I Limiti del diritto di punire. — li) essi non giace nulla di assoluta e cT irrevocabile — Illegittimità del diritto die pone a fine unico della pena il prevenire i reati — Relazione tra il mal del reato e quello della pena- Misura delle pene — Pena del taglione — Misura del dolo — Oppugnasi il criterio del senso comune applicato a misurare le pene — Epilogo delle tesi — Esclusione dalla scienza del pud nei- pi o politico e de IP empirismo. LETTERE DEL MANCINI t Necessaria relazione della Filosofia morale col Diritto — Prin¬ cipio della Morale — Vobbligazione morale non è graduabile — Vi ha sostanziale diversità Ira la Morale ed il Diritto Distinzione del dovere e del piacere* del bene morale n del bene, sensibile — Possibilità dèlia loro separata esistenza — Otto differenze tra la Morale ed il Diritto — 1J Diritto contiene V elemento niorale ed il sensibile ; suo principio e scopo, il bene della personalità umana—SI confuta la definizione della Legge, data dal Mmuìnni — Or neri de diritti e ri© 1 doveri —- Scaturiscono ambì dalla nat ura umana - - Se il Diritta corrisponda sempre al Dovere t e qunle di essi anteceda all 1 altro - - I diritti non sono trasmessi alFimmo dalla Legge morale — li imperio umano non è similmente trasmésso dalia L e gge su prema — S i oppa gn a p e r q u a ttor d icì capi T origine a s se- gnata ni Diritto di punire — SÌ oppugnano le condi zie mi li mi tali ve del medesimo ►—Autorità dì'Vico Vera derivazione del Diritto di punire —Misura della pena — Il male della pena dev’essere proporzionato al male del reato, non eguagliarlo — Inconvenienti del taglione — Il principio il ella Morale e quello dell' Utilità de¬ terminano la quantità della pena— Conclusione, II. Obietto (Iella Lettera, V esposizione dello dottrine del l'Autore — fondamento e condizioni della Morale — Assiomi della Morale — Massaggio albi nozione del Diritto — Legittimità del bene sensibile o della utilità in certi limiti -— Assiomi del Diritto Fondamenti 1 del Diritto) il bene morale e sè^ibile, ossia 11 bene della Perso¬ nalità umana — 1/ idea della Sociabilità si contiene in quella della Personalità - È falso che il Diritto civile tutte le Leggi positive possano in qualche parte allontanarsi dal Diritto naturale — Ite¬ ti limone della Lègge — Passaggio alla qnistione del Diritto di pu- SOJOIÀ hu 405 nifi. Il Diritto lieli" iti divi duo non è titolo legittimo al]' uso rialto forza - Legittimi Là delia forza individuale noi solo caso di vio- lenta difesa — Applicatone dei principio delia difesa alla teoria della guerra: ogni guerra aggressiva e ingiusta, — Legittimità, della forza sociale contro gl’ individili — Fondamento dei Diritto di punire — Differenza tra, la giurìsdizion civile e la penale nella Società — Elementi costitutivi {lei reato — Limiti delle pene - il le¬ gittimi (A Hi quelle che di stri) g g Olio 1 a Person alita u mania — Appli- eaziime delle precedenti $pttrme &Èe princìpali teoriche della pena¬ lità — Quadro e critica di niti’ i precedenti sistemi sul Diritto di punire — Conclusione. NUOVE LETTERE DEL MAAMAX3 L Necessità di fondare nell" obbiettivo e nell assoluto la filosofili intera ilei Lene — Errore 'lì Kant e di Joutlroy,. merito del Palla vi¬ cino * — Teorici! universale del bene - Eccessività della scuola leile- sc>» — Filosofia naturale e dimostrativi, e loro metodi peculiari — Il sentimento rie! dovere prova la sussistenza del bene assoluto —1 so dei ]) ri nei pii del senso comune nell 1 ! minzione speri mentale — Ana¬ lisi del concetto di dovere — Se ne deduce resistenza del beneM- fiolnp, — Desiderio «Duna critica del senso comune — Suoi dogmi l onci amen tali — La partecipazione al bene assedino è rapace di gra¬ di — Errore degli Stoici — DeJT assoluto e del relativo nella scienza morale — Della sensibilità e del bene morate — Questo contiene ì beni sensibili, e la materia dell* uJJJe A pur sua materia - Dell’niiU' e dell’insito — Loto rtifTewane — L’utilenen è mai principio- Lei beni indi (Ferenti - La legge morale sole governa il diritto umano - Errore rii chi spartisce il diritto fra. 1* moralità e I utile- Impos¬ sibili* di trovare un principio ad ambi superiore e comprensivo di entrambi - Dell» personalità ornami — insufficiente a spiegare il diritto e distinguerlo dall’etica-Naturale capacità del uomo a volere il bene pél bene - Analisi -Ielle azioni virtuose che d prove - \]rri patti delia coscienza che oppugnano il sistema esdus.v.. i-arnor proprio - Insufficienza della dottrina di Ka«> - L »"«"«■ Jepgia tra. il ti ni lo e l' influito - Errore degli aulisti, d Ansio,, le e ,|, Kant intorno al sommo bene — Merito di nettane. L’uomo è condotto al bene da quattro sorta T impulsi - W- r appetenza istintiva - Dalla simpatia - Dalla legge morale - DMU 406 S 0 M M A K11 umana — Questa è applicazione, specificazione e complemento ac¬ cidentale della legge suprema — Identità e differenza tra la mo¬ ralità e il diritto — L’istituzione del comando civile è V origine del diritto umano — Questo è necessariamente civile — Sua defini¬ zione — False accezioni della voce diritto — Otto differenze tra il Giure e la legge morale — Identità sostanziale di entrambi nell’ori- trine, nella ragione e nel fine — Errore di Kant e di Romagnosi. III. Il diritto non può originarsi dall’uomo — Tre sorta di diritti, T assoluto, il derivato e il facoltativo — Errore della scuola tede¬ sca— La libertà non è materia propria, essenziale ed universale del diritto — Armonia del diritto col principio di libertà — Differenza fra il giure divino e il teocratico — Il naturai giure del sapiente debb’essere riconosciuto dalla civile società — Difesa della proposta definizione della legge — Dichiarazione delle parole comando au¬ torevole — Ogni legge è necessariamente un comando — La defini¬ zione della legge debbe esprimere la sua universalità — Non può significare a un tempo la legge morale e la fìsica. IV. Errore dei giuristi che contradicono o non badano agli adagi del senso comune —• Dieci teoremi di scienza morale — S’impugna la teorica della difesa indiretta — E dell’utile universale — La sen¬ tenza che l’onesto è sempre utile e il vero utile sempre onesto è dedotta e non indotta—La teorica dell’espiazione non si contra¬ dice — S’accorda con gli adagi del senso comune — Il consorzio ci¬ vile ha debito di rimunerare il bene — Limiti all’ esercizio di tal dovere — Insufficienza del trattato di Kant — Dell’adagio, il bene riscuote bene e il male riscuote male — Due parti della sua dimo¬ strazione— Delle facoltà e condizioni che pongono in atto il gius criminale — Di nuovo si dimostra che niun privato può esercitare la giustizia punitiva — Condizione essenziale per usare legittima- mente del diritto di punire — Due caratteri della pena giuridica, 1 espiazione e la preservazione — Si dimostra di nuovo la teorica dell’espiazione — De’limiti all’esercizio del gius criminale — Pri¬ mo limite, la grave e durevole perturbazione — È il criterio delle azioni criminose — Non è assoluto nè immobile — Incertezza di al¬ tri criterii — Norme pratiche per la determinazione dei reati. — lui- perfezione de’mezzi, secondo limite — L’innocenza guarentita, dalla sola teorica dell’espiazione — Si sciolgono alcune istanze — Del SO MM A RII 407 metodo più comune ai moderni — Si può seguire senz’alterazione dei principii. V. Principii assoluti intorno al misurare le pene — È necessaria un’equazione tra il delitto e la pena —L’attinenza, tra il male fìsico della pena e il morale della colpa è razionale e dimostrabile — La massima pena non può eccedere il mal commesso — L’equazione tra Luna e l’altro giace nell’identità o equivalenza del male del danno col male della pena — Si scioglie un’obbiezione. Errore di Kant — L’equazione risulta sì dall’identità e sì dall’equivalenza ed analogia tra il delitto e la pena — Questa dee scemare scemando le necessità che la inducono — Del danno e del dolo — Danno fìsico e danno morale — Questo è sempre in ragione diretta col dolo — I gradi di malvagità sono proporzionati con gli effetti presunti di danno — La teorica dell’espiazione raccomanda somma indulgen¬ za — Della vera misericordia, del giudice secondo Aristotele — Pan¬ teismo comune ai sistemi alemanni intorno al diritto — Epilogo della dottrina in diciotto pronunciati. DISCORSI DEL M AMI ANI SULLA SOVRANITÀ I. Perchè i giuristi del secolo andato originarono dall’uomo la so¬ vranità e il diritto — Ne nacque una falsa teorica — La dignità e grandezza umana in che veramente consistono — E come que’ filo¬ sofi le appiccolirono — La superstizione e lo scetticismo concorrono ambidue ad un fine medesimo — Importanza speculativa e pratica del sapere l’origine e natura della sovranità —Opinioni della scuola giuridica chiamata, storica in Germania — Sono confutate — Opi¬ nioni incerte dei legittimisti francesi —I giuristi del medio evo e loro teorica perpetuata — Se ne mostra la falsità — Paradossi della teorica del Rousseau — Sovranità della ragione acclamata in Fran¬ cia dalle cattedre — Il popolo segue a giurare nella propria sovra¬ nità — Se ne mostrano le conseguenze logiche — La necessità socm e non è principio di ragione — Finito il computo dei sistemi, si co¬ vano tutti difettivi - Dubbio che la sovranità compaia fra gli u - mini, ma non sia degli uomini. 408 S 0 M M A RI I IL Platone nel Menesseno accenna alla vera dottrina — Primordi della società umana — In essi non è verun imperante, ma solo im¬ pera la legge morale — Definizione di essa legge e sue applicazioni nel mondo antico patriarcale — Quel che fosse allora il diritto di coazione — Rimutamenti del mondo antico e creazione del comando civile — Di nuovo si confuta il domma della sovranità del popolo — E provasi quello della sovranità della legge — E che gli ottimi ne hanno il naturale esercizio — L’uomo non obbedire mai aH’uomo, ma sempre alla legge — Caratteri della bontà e autorità di questa — Di nuovo si mostra come la teorica dell’autore alza e amplifica la dignità, libertà e grandezza umana. III. Sentenza del Lamennais e d’un pensatore italiano — Se ne mo¬ stra l’errore — Si riconferma, il principio della sovranità della legge e che l’esercitarla è degli ottimi — Si scioglie un’istanza e descrivesi il lento passare degli uomini dal concreto e individuale all’astratto ed universale — Massima di Aristotele — Del governo imperfetto e dell’illegittimo — Diritto nel popolo di riconoscere gli ottimi — E il presceglierli è doveroso e non arbitrario — Estensione e limiti del diritto di ricognizione — Governi rappresentativi fondati in giusti¬ zia e pur nati dal caso — Il suffragio universale è un’idealità di re¬ motissima perfezione — In qual condizione di cosa pubblica divenga necessario non che profittevole — La volontà del popolo non dee mai prevalere su quella degli eletti — Ma questi aderiscono e assentono alla, opinione comune — Naturale antagonia tra il governo degli ot¬ timi e rintermettimento del popolo — L’arte dee travagliarsi a di¬ scioglierla — Somma razionalità del doppio suffragio — Utilità e danni dell inframettersi del popolo — Suoi naturali errori e difetti — Gran pericolo che i migliori vengano esclusi — La educazione pub¬ blica. non muta ciò sostanzialmente — Contrassegni dell’ottimo dei governi. IV. La sovranità è una e infinita, ma negli esercizi umani incontra divisione e limitazione — Fondamento della limitazione è il contrap¬ posto dei due termini, la. Legge e la Libertà — Definizione di entram¬ be Del perfetto motivo delle azioni umane e come se ne costituisca I idea archetipa del viver civile — E tenda, a sciogliere l’antinomia SOMMARII 409 tra la legge e la libertà — L'Amore è termine ad ambedue supe¬ riore — E le concilia e congiunge mediante la divina bellezza del- ì ordine disvelata dalla sapienza — La libertà immedesimandosi con la legge si estende e perfeziona — Pittura allegorica di ciò che pre¬ cede — La libertà civile e politica è cosa sacra e inviolabile — Ot¬ timo è il governo che tanto scema Fazione sua nella pubblica vita quanto fa crescere la notizia e il sentimento del bene — E incor¬ pora la legge civile con l’opinione comune — Nuova delineazione «Iella teorica dell’autore — La legge vuol essere ricevuta spontanea¬ mente — Però ella stessa vuole e fonda la libertà — Quindi la legge umana tende a sminuire l’intervenimento proprio e abolire la coa¬ zione — E lascia occupare il suo luogo alla ragione e moralità dei popoli — Ma Fazione della legge civile non è unicamente difensiva e tutrice — Utilità degli studi speculativi per le applicazioni civili — Definizione dantesca della filosofia e sue verità — La libertà caduta forza è che risorga perchè è divina istituzione — Parole di G. V. Gravina. h $ I INDICE Avvertenza ai Lettori.P a g* Sull’ importanza dello studio della filosofìa del Diritto. Avviso premesso nel 1841 alla edizione napolitana delle prime lettere. Lettera prima. Lettera seconda. Intorno allo stesso subietto. — Lettere due di Pasquale Stanislao Mancini. Lettera prima . Lettera seconda Nuove Lettere di Terenzio Mamiani. Lettera prima Lettera seconda Lettera terza Lettera quarta Lettera quinta Quattro Discorsi di Terenzio Mamiani sulla origine , natm a e costituzione della sovranità. Discorso primo. Discorso secondo Discorso terzo . Discorso quarto. Sommarii. . * Opero pxioblicato* DE intTJBEDNiVTIS* — Storia del Viaggiatori Italiani nelle Indie Orientali ? pubblicata in occasione del Congrèsso « eo- orafìco di Parigi — Un volume ili pagine 408 . ... 1 - 4 Scritti letterari di Giosuè Cai*' | ducei. Un voi. in IG. 1 '- 1 * .. - L.^4 I massimi sistemi di Galileo* l a voi. in 16. ° con incisioni intercalate nei testo.. - 1 & Epistolario di Galileo Galilei, Due volumi j ti !G* i; j . * * - * 4 1 Bicordi e Biografie livornesi di Frano.. Pr.n a. I n vuL in 16, o . » 5 : Poesie di Giuseppe Chiarini. Sto¬ rie, Conti, Trruhttif'>iti di Hitné, Trttthi- sifììii di p oi. H c i 'jitsi. Un volli ino di pa-gg. fci8 in lo, a .....* 4 Arnaldo da Brescia o in. Rivolu¬ zione romana del XII secolo* — Studi eli Giovanne db Castro* — Un voi. di [} rari * Leggenda e X i S. Guiglielrno d’ Orinerà. Sor. drd aoc, XI \ ora per la prima u]iu pubblicata e illustrata da G. CuiAiir-;. Iviiziono di soli SUO cscni|ilari n tulli m carta a in ano, ad o r n a d r o 11 r o s e > sa n fa in e i- sjoni, allusivo agli argomenti dei capi- lui i nei quali la legge ri dr è di' Irà. « -i La Legenda delia ReinaBosana e di Rosana sua fì^liuola, te ; a i nedHo de 1 sec . XI V, r ni diI ica io 1 i sui codici fiorentini dal Ur d. AJ.r - S-A X DII0 lì 1 ÀN 1 :0NA. Fdiziùlie di -■ -1 j Eb I Caotnplan, ludi in caria a nian<< adorua di Incisioni.* H Le Novelle edite e inedite di Geri¬ tile Ber mini Senese, '-ra per b prima voli a raccolte e pubblicai e licite loro integrila., (Sodo 4£> ic indio, 3- dflìle quali inedite). Un volume in 8. grande. E-li/dono di soli 226 -asem- pia ri, dei quali 2-ìU iu caria papale a mano di Fall ria un, 20 in carta reale a inauu d'Olanda o 0 in pergamena di Frane fa. V rezzo : in pergamena L. Via iu caria ri'Olanda L. 33, m carta d, Fabmn». .*..**.* r 2’* La, Redola dei Servi della Verghi- jdprioia, orai naia * falla in Bolu n; nell anno 1281. — Udizione dr -.ni ■fin esemplari in carta a mano -lì J 'a brianr), jirogresijivamente numer li Prezzo. , . - * 4 so eli stampa. Rime di Francesco Petrarca sc- pra argomenti storici morali « diversi. — S.iggin di un testo e com¬ mento nuova ibilto «al raffronta dm miglieri e di tulli i cmnmenhin , pubblicalo per cura di GtoscÈ C a fi¬ rmaci. Un voi. in iG. 111 Gli Amori di Tolfan^o Goethe, Traduziniin dal Ln desco ora per In prima volto pubblicata. Un volumi jj !6*o Le Poesie di Ggro Foscolo nuova¬ mente riordinate o rivedute sul niann- : J f i da G. CiitARtNi , e il accrésciute 1 = 'i vaiumu iu Uh'> INV. S.B.N. _ BID. S. P. ■ ’SèlPkGfaSZ Servizio Si -IL.:cario Nazionale fot e3 if-doooo<8vJ3>